«Perché il mondo del turismo – scrive Roberto Vitali – fatica ancora a credere nel turismo accessibile?» «Innanzitutto – sottolinea – non vanno confusi il turismo accessibile e quello sostenibile: se quest’ultimo, infatti, è quello attento al consumo delle risorse ambientali e all’inquinamento di un territorio, il turismo accessibile coinvolge i diritti umani e dovrebbe essere l’elemento centrale di ogni politica di turismo sostenibile e responsabile, oltre ad essere un’eccezionale opportunità commerciale e un vantaggio non solo per le persone con disabilità, ma per tutti»
Perché il mondo del turismo, a parte pochi imprenditori illuminati, fatica ancora a credere nel turismo accessibile? La domanda fondamentale da porsi è questa, nonostante le piccole, grandi conquiste di questi ultimi vent’anni.
Proviamo a partire da alcuni “macro-temi”. Il 28 maggio scorso l’Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO) – agenzia specializzata delle Nazioni Unite che si occupa del coordinamento delle politiche turistiche e che promuove lo sviluppo di un turismo responsabile e sostenibile – ha pubblicato le proprie Linee Guida per far ripartire il turismo post-coronavirus.
In esse ci si sofferma sostanzialmente su sette punti: garantire liquidità economica e proteggere i lavori; recuperare fiducia attraverso la sicurezza; favorire la collaborazione tra settore pubblico e settore privato per un’efficiente riapertura; aprire i confini con responsabilità; armonizzare e coordinare i protocolli e le procedure di sicurezza; conferire valore aggiunto ai lavori svolti all’insegna delle nuove tecnologie; basare le proprie azioni sui concetti di innovazione e sostenibilità.
Ebbene, a un’attenta lettura del documento, si rileva che esso, purtroppo, non spende una sola parola in più a favore dell’accessibilità e dell’inclusione. Si parla infatti sempre di sostenibilità e innovazione, ma le parole accessibilità e inclusione non compaiono una sola volta in un testo che tra l’altro è stato reso pubblico in un formato non leggibile da parte di una persona con disabilità visiva.
In realtà, come si accennava, negli ultimi anni il mondo del turismo professionale sta dando sempre più attenzione, anche a livello nazionale, al turismo accessibile, parlandone nei convegni, producendo documenti e istituendo anche un premio per i Paesi maggiormente impegnati in questo àmbito. E tuttavia, nel passaggio dalle dichiarazioni di principio ai fatti, manca sempre la parte pratica e applicativa, cosicché alla prima occasione in cui a livello mondiale si poteva parlare universalmente di accessibilità l’occasione è stata persa.
Ma perché il turismo accessibile va considerato come un’innovazione? Perché esso racchiude in sé più di un elemento di estremo valore.
Facciamo riferimento, ad esempio, ai 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile presenti nell’Agenda ONU 2030 e vediamo in quali di essi si parla espressamente di inclusione:
– Obiettivo n. 4: Fornire un’educazione di qualità, equa e inclusiva e opportunità di apprendimento per tutti.
– Obiettivo n. 8: Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti.
– Obiettivo n. 11: Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili.
– Obiettivo n. 16: Promuovere società pacifiche e più inclusive per uno sviluppo sostenibile; offrire l’accesso alla giustizia per tutti e creare organismi efficaci, responsabili e inclusivi a tutti i livelli.
In ognuno di questi Obiettivi si parla espressamente di “inclusione” e per quanto riguarda il turismo accessibile, sicuramente ci sentiamo a nostro agio con l’Obiettivo n. 11, senza però escludere tutti gli altri.
L’approccio che viene proposto, però, è sempre quello dell’etica, mentre io vorrei tentare di spostare lo sguardo dall’Etica (pur con la E maiuscola) al Business (Business Travel), così come viene descritto, ad esempio, da Taleb Rifai, segretario generale UNWTO.
«L’accessibilità – ha dichiarato infatti – è un elemento centrale per qualsiasi politica di turismo responsabile e sostenibile. È un imperativo in àmbito di diritti umani, ma anche un’eccezionale opportunità commerciale. Soprattutto bisogna capire che il turismo accessibile non giova solo alle persone con disabilità o in generale con bisogni speciali, ma è un vantaggio per tutti noi».
Pubblicando alla fine dello scorso anno la sua graduatoria sui principali trend commerciali per il 2020, l’organizzazione Euromonitor International ha inserito al quarto posto proprio l’inclusione per tutti, con la seguente motivazione: «Le disabilità si presentano in una miriade di forme e le persone hanno spesso esigenze specifiche per poter affrontare la vita di tutti i giorni. Le aziende, nei loro modelli di business, tendono ad evitare di prestare attenzione a quello che richiedono questi clienti, ma dovrebbero prestar loro più attenzione, perché essi esprimono esigenze più complesse. Invece le aziende che comprendono le esigenze di questi consumatori, mettendo la comunità delle persone con disabilità al centro dello sviluppo dei loro prodotti, sono più attente all’ascolto di tutti i clienti e creano prodotti per tutti. La diversità diventerà una misura della pertinenza di un Marchio e Inclusive for All sarà la nuova norma».
A questo possiamo aggiungere alcuni dati.
Nel 2019 il 18% della popolazione mondiale aveva più di 65 anni (701,5 milioni di persone), mentre 676 milioni di bambini e bambine avevano meno di 4 anni, tendenze in crescita. In Europa si stima che nel 2030 saranno il 33% le persone con più di 65 anni.
Sono circa un miliardo le persone con una qualche forma di disabilità.
Vi sono poi tutte le persone con disabilità temporanee dovute a incidenti, interventi chirurgici o altro.
Molte persone, infine, hanno disabilità cosiddette “invisibili”.
Restando al nostro Paese, ci sono imprenditori, come Marco Maggia, proprietario dell’Ermitage Bel Air Medical Hotel di Abano Terme (Padova), che segnalano questo: «Negli ultimi tre anni l’incidenza nei ricavi del segmento Turismo Accessibile è passata dal 5% al 25% e l’aumento complessivo è stato del 20% nel triennio. La permanenza media in hotel di questi clienti è del doppio rispetto agli altri ospiti, con una disponibilità all’acquisto di servizi superiore del 30%.».
Dal canto suo, Gianfranco Vitali, proprietario dell’Holiday Village Florenz di Comacchio (Ferrara) sottolinea che «l’incidenza dei ricavi nel segmento del Turismo Accessibile è pari all’11%, con un aumento, nell’ultimo quinquennio, dell’8,5% annuo».
Né si può dimenticare che vi sono interi territori i quali hanno scelto di diventare Destination4All (“destinazione per tutti”), come la località di Bibione (Venezia), dove l’Organizzazione di Gestione della Destinazione Turistica (DMO di Bibione e San Michele al Tagliamento) ha deciso di investire in un progetto pluriennale finalizzato ad acquisire le conoscenze e le competenze sul turismo accessibile, da parte di imprenditori e collaboratori del sistema della ristorazione e del commercio, nonché del sistema dei trasporti intermodali e di coloro che creano i prodotti turistici [se ne legga già ampiamente anche sulle nostre pagine, N.d.R.].
A questo punto torniamo alla nostra domanda iniziale: perché il mondo del turismo, a parte pochi imprenditori illuminati, fatica a credere nel turismo accessibile?
Abbiamo visto più volte Bandi Europei o Ministeriali (Tax Credit), Bandi Camerali ecc., voluti per incentivare l’accessibilità, andare letteralmente deserti, nonostante la disponibilità di risorse economiche, mentre tutti si “mettono in fila” per ricevere contributi destinati alla sostenibilità.
La sostenibilità, questa parola magica che muove milioni di persone, ma non sempre con le giuste intenzioni. Pensiamo semplicemente al greenwashing, ovvero a quella strategia di comunicazione volta a sostenere e valorizzare la reputazione ambientale di un’impresa tramite un uso disinvolto di richiami all’ambiente nella comunicazione istituzionale e di prodotto, non supportato, però, da risultati reali e credibili sul fronte del miglioramento dei processi produttivi adottati o dei prodotti realizzati. A tal proposito, quante sono le etichette e i riconoscimenti che vengono dati basandosi sulla sola autocertificazione, senza che poi nessuno controlli la veridicità di quanto viene affermato? In alcuni casi estremi, si arriva a promuovere la semplice sostituzione di qualche lampadina, di qualche pannello solare o l’installazione di cestini per i rifiuti colorati…
Ogni rispetto, naturalmente, va alla parte ambientale della sostenibilità, ma ben pochi sono quelli che arrivano fino alla parte dell’accessibilità e dell’inclusione.
Non facciamo quindi confusione tra turismo accessibile e turismo sostenibile: se quest’ultimo, infatti, è quello attento al consumo delle risorse ambientali e all’inquinamento di un territorio, il turismo accessibile coinvolge i diritti umani e dovrebbe essere l’elemento centrale di ogni politica di turismo sostenibile e responsabile, come sottolineato dal citato Taleb Rifai.