L’impianto cerebrale Neuralink non sta funzionando come previsto

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Uno degli impianti di Neuralink (Neuralink)

Nel primo e per ora unico paziente si è scollegato l’85 per cento del dispositivo, rendendolo più difficile da utilizzare e lontano dagli annunci di Elon Musk

Quando alla fine di gennaio fu annunciato il primo impianto cerebrale di Neuralink in un essere umano, la notizia fu accolta con un certo entusiasmo sui giornali e presentata come una rivoluzione con qualche scenario da fantascienza da parte di Elon Musk, il fondatore della società. Dopo poco meno di quattro mesi, l’esito dell’intervento sembra però essere meno positivo di quanto previsto inizialmente: buona parte dell’impianto si è scollegata dal cervello del paziente, che ha perso il controllo di alcune funzioni per interagire con un computer attraverso comandi mentali, a dimostrazione di quanto ci sia ancora da lavorare su questo tipo di tecnologia.

Neuralink esiste dal 2016 e ha la propria sede principale in California, dove impiega circa 400 persone, e un campus in fase di allestimento in Texas. La società ha l’obiettivo molto ambizioso di realizzare microchip e altri componenti di nuova generazione da impiantare nel cervello, in modo da controllarne alcune funzioni e – secondo Musk – in un futuro neanche troppo lontano di estendere le capacità cerebrali di chi li utilizza. Musk ritiene infatti che gli impianti potranno essere utilizzati per accedere alle informazioni online direttamente nella propria mente, arrivando alla possibilità di scaricare una nuova lingua e parlarla fluentemente da subito.

Al di là degli usi fantascientifici prospettati da Musk, sui quali ci sono fortissimi dubbi, nei suoi otto anni di esistenza Neuralink ha lavorato soprattutto per realizzare impianti che permettano alle persone con paralisi di comandare con la loro mente un computer o in futuro di recuperare la mobilità degli arti. Teoricamente queste “interfacce neurali” possono quindi aiutare a rendere nuovamente attiva un’area del cervello che si era spenta, a causa di un trauma o di una malattia, o per fare da ponte per ripristinare alcuni collegamenti nel sistema nervoso centrale facendo in modo che gli impulsi nervosi arrivino a destinazione.

Le interfacce neurali sono sperimentate da vario tempo, ma prevedono quasi sempre l’impiego di unità esterne da mantenere collegate via cavo all’impianto vero e proprio. Neuralink ha invece sviluppato un chip che viene impiantato nel cervello attraverso una serie di piccolissimi connettori, più sottili di un normale capello, che entrano in contatto con il tessuto cerebrale. Una volta applicati, attraverso un’operazione che rende necessaria la creazione di un’apertura nella scatola cranica, i connettori rilevano i segnali elettrici prodotti dal cervello, li elaborano e ne trasmettono di nuovi per trasferire informazioni. Il chip ha una propria batteria interna e si collega in modalità senza fili a un computer esterno, per esempio per far muovere il suo cursore sullo schermo o comporre le parole senza dovere utilizzare mouse e tastiera.

Dopo gli esperimenti su alcuni maiali e su alcune decine di scimmie, talvolta criticati per il sospetto che avessero causato sofferenze negli animali (circostanza minimizzata dalla società), Neuralink aveva fatto domanda alla Food and Drug Administration (FDA) per avviare la sperimentazione sugli esseri umani. La FDA, che è l’agenzia statunitense che si occupa tra le altre cose di farmaci e dispositivi medicali, nel 2022 aveva negato l’autorizzazione esprimendo vari dubbi sull’opportunità di installare nel cervello un chip dotato di batterie elettriche e connettori così piccoli, che nel caso di un distacco avrebbero potuto danneggiare i tessuti cerebrali.

Neuralink aveva allora effettuato altri test e raccolto nuovi dati per mostrare gli effetti di un eventuale distacco degli elettrodi, ottenendo infine l’autorizzazione a effettuare un test clinico, segnalando periodicamente alla FDA il suo andamento e i suoi esiti. La società aveva avviato l’arruolamento di volontari e aveva infine scelto Noland Arbaugh, l’uomo di trent’anni che a inizio 2024 è diventato la prima persona a ricevere un impianto cerebrale Neuralink.

Arbaugh è tetraplegico dal 2016 quando ebbe un incidente mentre lavorava in un campo estivo in Pennsylvania. Mentre giocava con i propri amici a tuffarsi, si buttò in acque troppo basse e rimediò una grave lesione spinale, rimanendo paralizzato dalla quarta vertebra. Da allora Arbaugh non può quindi muovere né le gambe né le braccia e, come molte persone nelle sue condizioni, negli anni ha sperimentato diversi dispositivi per ridurre gli effetti della propria disabilità, quasi sempre con esiti poco soddisfacenti.

Nel 2023 un amico gli raccontò del reclutamento di Neuralink e Arbaugh decise di candidarsi, immaginando che ci fossero così tante richieste da avere poche possibilità di essere scelto. Qualche mese dopo era invece in una camera operatoria con un foro nel cranio e un braccio robotico che effettuava un intervento di precisione per collegare gli elettrodi dell’impianto. La società annunciò subito che Arbaugh stava bene dopo l’intervento, ma per settimane non fece sapere nulla sui suoi effetti, anche perché per il paziente era appena iniziato il lungo periodo di addestramento del sistema per tradurre i segnali elettrici prodotti dai suoi pensieri in comandi per un computer.

Arbaugh ha raccontato di recente al New York Times che quelle prime settimane di addestramento furono ripetitive e noiose, ma al tempo stesso gratificanti per i piccoli e costanti progressi che riusciva a ottenere. Al termine dell’addestramento, i tecnici di Neuralink iniziarono a far sperimentare al paziente il controllo con la mente di un computer, confrontando i suoi risultati con quelli ottenuti in passato da altri sistemi: erano di gran lunga superiori alle stesse aspettative dei responsabili di Neuralink.

Acquisita una certa dimestichezza con i comandi per muovere il cursore, Arbaugh aveva iniziato non solo a navigare online, ma anche a giocare ad alcuni videogiochi compreso Mario Kart. Le sue interazioni con il computer erano diventate molto più semplici rispetto a dover impartire comandi con movimenti della testa, come faceva in precedenza, ma dopo qualche settimana Arbaugh notò di non riuscire a controllare il sistema come all’inizio e di avere qualche difficoltà. Alcuni elettrodi si erano scollegati dal tessuto cerebrale e non potevano più ricevere e inviare impulsi.

In pochi mesi si è scollegato l’85 per cento degli elettrodi dell’impianto e i tecnici di Neuralink sono dovuti intervenire per rimodulare il suo funzionamento, in modo da permettere ad Arbaugh di continuare a utilizzare il sistema. La modifica è stata effettuata unicamente sul software perché sarebbe rischioso sottoporre il paziente a un nuovo intervento, di conseguenza Arbaugh si è dovuto sottoporre a nuove sedute per tarare il sistema modificato e sfruttare il 15 per cento delle connessioni con il tessuto cerebrale ancora funzionanti.

Nonostante le difficoltà e la prospettiva che ci possano essere ulteriori distacchi degli elettrodi, Arbaugh dice comunque di essere soddisfatto della sua esperienza: «Voglio coinvolgere tutti in questo viaggio. Voglio mostrare a tutti quanto sia strabiliante. Inoltre è così gratificante. Insomma, sono entusiasta di andare avanti».

La perdita dell’85 per cento dei collegamenti è comunque significativa e conferma quanto sia difficile produrre impianti progettati per essere interamente all’interno del cranio come quelli sviluppati da Neuralink, che sembra avessero da tempo problemi. Il cervello galleggia all’interno del liquido cefalorachidiano, un fluido contenente sodio e altre sostanze che possono far degradare gli impianti. Inoltre, il cervello si muove all’interno della scatola cranica e questi movimenti, per quanto minimi, possono far sfilare gli elettrodi. Si ritiene che dopo l’intervento il tessuto cerebrale cicatrizzi intorno ai punti di contatto, rendendoli più saldi, ma non sembra sia stato questo il caso con l’impianto di Neuralink. Non è al momento chiaro se l’applicazione degli elettrodi più in profondità possa ridurre il problema ed essere al tempo stesso a basso rischio.

Mentre continua a tenere sotto controllo gli effetti su Arbaugh, e a riferirli periodicamente alla FDA, Neuralink ha confermato di essere al lavoro per il reclutamento di nuovi volontari per sperimentare i propri sistemi. L’azienda non è comunque l’unica a occuparsi della ricerca e dello sviluppo di interfacce neuronali, un ambito dei dispositivi medicali in rapida espansione soprattutto negli Stati Uniti, con numerose startup impegnate a raccogliere dati per ottenere dalla FDA l’autorizzazione a provare le loro soluzioni sugli esseri umani.

Gli approcci variano molto a seconda delle aziende e degli ambiti di sviluppo. Alcuni sono più simili a quello di Neuralink, ma prevedono l’impiego di impianti di maggiori dimensioni e già testati in passato, ma con nuovi approcci dal punto di vista delle tecniche di inserimento nel cervello e del software. Altri approcci riguardano invece l’uso di strisce con sensori da applicare sul tessuto cerebrale o di collegamenti alla base della corteccia motoria, responsabile nella gestione dei movimenti volontari del corpo.

Le sperimentazioni con gli impianti di nuova generazione sono ancora agli inizi. Le applicazioni pratiche, durature e affidabili di queste tecnologie sembrano essere ancora molto lontane nel tempo, nonostante le periodiche dichiarazioni di Musk su un’imminente rivoluzione nel modo in cui il nostro cervello comunica con i dispositivi elettronici. Al momento appare improbabile che le autorità sanitarie e di controllo possano facilmente autorizzare l’impiego di impianti in persone sane, semplicemente per potenziare le loro capacità cerebrali come sostiene Musk. Gli interventi per inserire gli impianti sono rischiosi e dovrebbero essere ripetuti con una certa frequenza, con potenziali infezioni e complicazioni tali da rendere preponderanti i rischi sui benefici.

Redazione IL POST

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