Con qualche ritardo, ha iniziato a sperimentare dentro Chrome un sistema alternativo ai cookie che tracciano le attività online, tra molti dubbi e critiche
Nelle ultime settimane Google ha iniziato a sperimentare un nuovo sistema per mostrare le pubblicità personalizzate alle persone che utilizzano il suo browser Chrome, il programma più utilizzato al mondo per navigare online. Il test riguarda l’1 per cento circa degli utenti, ma la società ha intenzione di far passare tutti i propri utenti alla nuova soluzione entro fine anno. Il passaggio potrebbe cambiare radicalmente il modo in cui viene mostrata la pubblicità online e sono tracciate le abitudini di navigazione delle persone, ma gli editori dei siti web e alcune delle più grandi aziende che gestiscono la pubblicità dicono di non essere pronti e che potrebbero esserci conseguenze negative per i loro ricavi.
Google ritiene invece che i tempi siano maturi per compiere il passaggio, anche perché il suo progetto per farlo è in ritardo di più di un anno rispetto alle tempistiche comunicate qualche anno fa quando la società aveva iniziato a lavorare ai sistemi di tracciamento per la pubblicità online. Il sistema ormai in via di attivazione ha però fatto sollevare altre perplessità, con accuse rivolte a Google di voler avvantaggiare il proprio browser rispetto a quelli della concorrenza e di voler tutelare il proprio sistema per la pubblicità a scapito sempre dei concorrenti. La faccenda è complicata, ma ci riguarda tutti e parte da un “biscottino”.
Cookie e terzi
Ogni volta che visitiamo per la prima volta un sito, questo installa nel browser uno o più cookie (“biscottino” in inglese), piccoli file che servono al sito per riconoscere il browser che lo ha visitato in modo da offrire alcune funzionalità. I cookie sono per esempio importanti per far funzionare il carrello quando si fa shopping online, oppure per riconoscere una persona quando è collegata a un sito con un proprio account, su un social network o perché si è abbonata al Post.
Agli inizi di Internet i cookie erano relativamente pochi e servivano a fare queste cose, ma nel tempo il loro impiego da parte dei siti è aumentato enormemente, con sistemi via via più sofisticati per sfruttare le informazioni dei singoli utenti a fini commerciali. Se inizialmente i cookie avevano un unico referente, cioè il sito che li aveva emessi, oggi ci sono cookie di altri soggetti ospitati sui siti che servono soprattutto a mostrare la pubblicità e in certa misura a tracciare le attività degli utenti (qui è spiegato più estesamente).
Grazie ad alcuni di questi “cookie di terze parti”, le piattaforme che gestiscono la pubblicità riescono a farsi un’idea piuttosto accurata delle abitudini dei singoli utenti perché i loro sistemi sono presenti su più siti (e applicazioni), di conseguenza possono sapere chi è passato dal sito tizio.com e da caio.com.
Tecnicamente queste informazioni sulla navigazione dovrebbero essere anonime, ma è stato ormai ampiamente documentato che la grande mole di dati raccolta sulle abitudini di navigazione porta a catalogare gusti e preferenze dei singoli in modo da mostrare pubblicità più pertinenti per loro. E una pubblicità più pertinente è di solito più remunerativa per la piattaforma che la gestisce, per il sito che la mostra e per chi ha scelto di promuovere il proprio prodotto.
La combinazione di queste informazioni è ciò che fa sì che dopo avere visitato un sito per controllare il prezzo di una racchetta da tennis ci ritroviamo per giorni pubblicità che propongono altre racchette da acquistare. In altri casi la profilazione, cioè la catalogazione dei gusti e delle abitudini di un singolo utente, è più sottile ed è basata sull’età, la condizione economica e il genere, ricostruiti sempre basandosi su ciò che quel dato utente ha fatto online.
Privacy
Col passare degli anni e il miglioramento delle tecniche di profilazione, secondo la maggior parte degli esperti il sistema è finito fuori controllo con preoccupanti ripercussioni per la tutela della privacy di chi visita i siti. In vari paesi sono state adottate politiche più rigide sulla gestione dei cookie, specialmente nell’Unione Europea con le varie evoluzioni delle normative per il mercato digitale. Gli avvisi che si ricevono periodicamente sui siti per accettare i cookie sarebbero dovuti servire a mitigare il problema e a rendere più consapevoli gli utenti sul tracciamento, ma è andata a finire nel modo esattamente opposto: pochi ci fanno caso e quasi tutti cliccano su “Accetta tutto” per proseguire la navigazione senza fastidi.
Anche su pressione di alcune organizzazioni per la tutela della privacy, negli ultimi anni alcune società che sviluppano i browser hanno iniziato a limitare i cookie di terze parti direttamente all’interno dei loro programmi per navigare online. Firefox di Mozilla e Safari di Apple, per citarne solo un paio, applicano filtri molto più rigidi di un tempo per ridurre il tracciamento degli utenti. Il sistema funziona, ma riduce sensibilmente la resa economica degli annunci pubblicitari che non possono essere più personalizzati come un tempo, con conseguenti riduzioni dei ricavi per chi fa pubblicità (gli inserzionisti), per le piattaforme che gestiscono gli annunci (come Google e Meta) e per i siti che li ospitano (spesso già in difficoltà a causa della bassa resa degli annunci).
Superare i cookie
Google deriva la maggior parte dei propri ricavi dalla pubblicità online, un settore che nel complesso genera circa 600 miliardi di dollari all’anno, e ha quindi l’interesse a trovare un sistema alternativo ai cookie che non passi da una loro forte limitazione come hanno fatto Mozilla e Apple. Per questo motivo da quasi cinque anni sta studiando una soluzione che salvi il concetto degli annunci personalizzati, ma che al tempo stesso smonti quello del tracciamento, nell’ambito di un’iniziativa che ha chiamato “Privacy Sandbox” (in informatica “sandbox”, letteralmente “sabbiera”, è un ambiente separato ed estraneo al normale flusso delle applicazioni).
Farlo si è rivelato molto più difficile del previsto, anche perché implica per forza trovare un compromesso accettabile tra miglioramento della tutela della privacy degli utenti e mantenimento della resa della pubblicità. Inizialmente Google aveva pensato a un sistema simile a quello dei cookie di terze parti, ma diluito in gruppi di utenti molto grandi in modo da ridurre le possibilità di risalire ai gusti e alle abitudini online di ogni singolo computer collegato a Internet. Aveva sviluppato e annunciato un tipo di tracciamento chiamato “Federated Learning of Cohorts” (FLoC) allo scopo, ma in poco tempo era emerso come fosse insufficiente a impedire di risalire a singoli utenti coinvolti nel tracciamento.
Il rischio concreto di mettere in piedi un sistema non così diverso dal precedente, ed esposto a critiche e provvedimenti da parte delle autorità antitrust e per la tutela della privacy, indusse Google a riprogettare tutto da capo pensando a un approccio ancora diverso.
Temi e browser
Abbandonato FLoC, all’inizio del 2022 Google annunciò di avere sviluppato una nuova soluzione chiamata Topics, “temi” in inglese, il sistema che ora ha iniziato a sperimentare sull’1 per cento circa di computer e smartphone che utilizzano Chrome. Come suggerisce il nome, Topics prevede la condivisione di temi molto ampi e generali sugli interessi degli utenti, al posto di informazioni molto più dettagliate sui siti visitati come avviene con i cookie di terze parti.
I siti vengono identificati per area tematica in base al nome del loro dominio o ad altri indicatori. Quando si visita un sito che si chiama calciogiocato.com vengono associati i temi “sport”,“calcio” e “notizie”, per esempio. La classificazione è unicamente tematica e non riguarda altre informazioni come il genere o l’età che con i cookie di terze parti può essere ricostruito con una certa facilità. Inoltre, i temi sono conservati unicamente sul browser dell’utente, che provvede a determinarli senza contattare servizi esterni. Un esempio pratico può aiutare.
Immaginiamo che Demetra usi normalmente il computer per visitare siti che trattano vari argomenti, e che di conseguenza per ognuno si generi nel browser un tema: “musica classica” per un sito su Stradivari, “moda” dopo avere visto il sito di una stilista, “cucina” per avere cercato qualcosa su un sito di ricette e così via. Col passare del tempo, alcuni temi diventano più ricorrenti di altri, semplicemente perché Demetra ha cercato spesso ricette o sonate per archi. Una volta a settimana, il browser identifica i cinque temi più popolari nella cronologia e li salva in una lista, che ogni tre settimane viene cancellata. Sul browser di Demetra in ogni momento ci sono quindi tre liste di cinque temi che riflettono i suoi interessi in base a cosa ha fatto online di recente.
Quando Demetra visita un nuovo sito, la piattaforma che gestisce la pubblicità deve decidere quale annuncio mostrare e per farlo chiede al browser di dirgli i temi che aveva messo da parte nelle sue liste (c’è un meccanismo di selezione aggiuntivo per ridurre ulteriormente il rischio di tracciamento). A questo punto la piattaforma sa di cosa si occupa il sito dove deve mostrare la pubblicità e sa quali sono gli interessi di Demetra e mostra una pubblicità di violini. La piattaforma è unicamente a conoscenza dei temi, mentre non sa nulla sull’utente né sui siti che ha visitato in precedenza: può mostrare una pubblicità coerente con i suoi interessi, senza tracciarlo direttamente.
Google dice che con Topics si elimina la necessità della profilazione tipica dei cookie di terze parti, perché le pubblicità possono essere ugualmente rilevanti per gli utenti tutelando al tempo stesso la loro riservatezza. Il sistema è inoltre più trasparente, perché al posto dei cookie (difficili da trovare e tenere sotto controllo nel browser se non si ha un minimo di esperienza informatica) l’utente può vedere la lista nelle impostazioni del browser, decidendo di cancellare alcuni temi o di negare del tutto la loro memorizzazione.
Dubbi e critiche
Topics, insieme ad altri sistemi sviluppati da Google all’interno di Privacy Sandbox, non convince però tutti e la sua introduzione è stata accompagnata da molte polemiche e qualche protesta da parte degli editori dei siti e dei gestori della pubblicità online. La critica principale è che Google abbia pensato a sé sviluppando una soluzione che sarà altamente integrata all’interno di Chrome e che la società potrà padroneggiare da subito, con vantaggi per la propria piattaforma di compravendita della pubblicità online. Google potrebbe quindi avere un vantaggio competitivo non indifferente, riuscendo a gestire meglio la transizione verso il nuovo sistema.
La società ha risposto a queste critiche dicendo di essersi impegnata con la Competition and Markets Authority (CMA), cioè l’antitrust del Regno Unito, per non avvantaggiare i propri prodotti rispetto a quelli della concorrenza applicando i criteri concordati con la CMA in tutto il mondo. L’autorità ha la possibilità di bloccare l’iniziativa se riscontrasse rischi e danni per la libera concorrenza, ma al momento non sembrano esserci elementi perché ciò accada.
Google dice di avere pensato a Topics come a uno strumento “aperto” che potrà quindi essere utilizzato anche dagli altri browser, ma la proposta è stata accolta con una certa freddezza dalle società che li sviluppano. C’è infatti una certa diffidenza nei confronti di Google, che controlla il 65 per cento circa del mercato dei browser a livello globale: la società sa di poter imporre il proprio sistema, ma questo non implica necessariamente che venga adottato da tutti gli altri.
Da parte degli editori online e di chi fa e gestisce pubblicità c’è di conseguenza la preoccupazione che il nuovo sistema porti a una certa frammentazione del mercato, con il rischio che alcuni browser blocchino i cookie di terze parti e basta e altri adottino Topics, che impedendo il tracciamento degli utenti potrebbe portare comunque a minori ricavi. Dal punto di vista delle altre piattaforme per la pubblicità, Google è inoltre in una posizione particolare: da una parte decide come debba funzionare la pubblicità online visto che controlla il browser più utilizzato, e dall’altra gestisce una delle più grandi piattaforme che fa loro concorrenza.
La fase sperimentale avviata da qualche settimana dovrebbe fornire qualche nuovo elemento sia sull’affidabilità tecnica del sistema sia sulla sua resa, rispetto ai normali cookie di terze parti. Molti dettagli devono essere ancora risolti, ma visti i ritardi accumulati non sembra esserci l’intenzione da parte di Google di rinviare ulteriormente il passaggio a Topics. Entro la fine del 2024, il browser più usato di tutti potrebbe quindi smettere di usare i cookie di terze parti, segnando di fatto la loro fine.
Redazione Il Post