«There’s an app for that» era il motto dell’App Store di Apple di qualche anno fa ma avere a disposizione «un’app per ogni cosa», come prometteva lo spot del 2009, non significa soltanto creare applicazioni che rispondano a tutte le necessità. Significa anche che quei software possano essere utilizzati da tutti. Ed è proprio questa la sfida che sta provando a vincere quell’importante fetta di innovazione che si nasconde dietro a funzionalità e interfacce grafiche.
L’accessibilità ha un posto di primaria importanza non solo in Apple, il cui ufficio dedicato nasce nel 1985, ma anche tra i principali produttori di sistemi operativi, da Google (con Android) a Microsoft (con Windows). Negli anni si sono moltiplicate le funzioni dedicate a quella porzione di popolazione — circa 1,3 miliardi di persone, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità — che non vede, non sente o ha difficoltà motorie. E se è vero che smartphone, tablet e Pc sono ormai dotati di sintetizzatori vocali, testi che riportano le informazioni per iscritto e bottoni speciali per accedere a ogni funzione con un tocco, diverso è il discorso per le app. Nonostante le guide dei produttori di sistemi operativi siano ricche di funzioni ad hoc per gli sviluppatori, le applicazioni spesso non rispondono ai requisiti di accessibilità
Le cose però stanno cambiando, come afferma Sarah Herrlinger, senior director of accessibility policy and initiatives di Apple. «Sono sempre più le persone che abbracciano l’accessibilità e ne vedono le potenzialità. Le comunità hanno trovato la loro voce, nello stesso modo in cui tante altre minoranze stanno usando i social e i nuovi canali di comunicazione per dire la loro. E più questo fenomeno cresce, più normalizziamo la disabilità», ci spiega durante una visita agli studenti della Apple Academy di Napoli, la scuola per sviluppatori di Cupertino.
E in effetti le app che aiutano le persone affette da disabilità nelle loro attività quotidiane sono sempre di più. Ciò che davvero riuscirà a fare la differenza, però, è fare in modo che tutte le app, anche quelle non espressamente pensate per questa o quella comunità, siano accessibili. Come? Innanzitutto prendendo consapevolezza di quanto sia importante raggiungere anche quel «pubblico»: «La percezione è cambiata con la pandemia, tante persone sono rimaste isolate. Le nostre attività sono diventate virtuali. Chi si è sempre considerato privo di una qualche forma di disabilità, ha dovuto comunque trovare soluzioni quotidiane a problemi che non aveva mai avuto. E poi vedo che i bambini di oggi vengono cresciuti in un ambiente dove c’è molta più normalizzazione di ogni tipo di esperienza umana. Quindi anche la disabilità si accetta più facilmente». Herrlinger ricorda agli sviluppatori che «è molto più semplice rendere un’app accessibile sin dalla sua ideazione, piuttosto che farlo successivamente». Senza dimenticare di prestare attenzione al tema anche nei successivi aggiornamenti. Infine, un punto fondamentale, sintetizzato dalla frase «Nothing for us without us» (Niente per noi, senza di noi), diffusa tra le comunità di persone con disabilità. È fondamentale il confronto con loro, per capirne le necessità.
Lo dimostra bene anche l’esperienza di Roberto De Nicolò, che per dieci anni è stato responsabile dell’area disabilità dell’associazione italiana Informatici Senza Frontiere: «Avevamo realizzato un’app per raccontare le notizie ai non vedenti. Quando l’abbiamo testata con una persona cieca, la prima cosa che ci ha detto è che la lettura era lentissima. Per noi era normale, ma lui aveva una capacità di ascolto a velocità incredibili. Ci siamo resi conto che qualsiasi app sviluppata senza consultare una comunità non poteva essere accessibile».
Ci sono altri piccoli accorgimenti che è bene tener presente: «Spesso si eccede nel desiderio di creare grafiche accattivanti a scapito dell’usabilità— aggiunge De Nicolò —. Per esempio, mai spostare il menù: deve essere sempre nello stesso posto in qualunque schermata. E poi è bene preferire testi a immagini, evitando di veicolare contenuti con un colore». Secondo l’esperto è utile sensibilizzare la popolazione di sviluppatori sull’importanza dell’accessibilità. E non solo per venire incontro alle esigenze dei disabili. Spiega il motivo prendendo come esempio un’app per l’home banking su cui ha lavorato: «Al posto di modificarla, avevamo deciso di creare un’applicazione secondaria più accessibile. Poi ci siamo resi conto che quest’ultima era in realtà più semplice, leggera e veloce. Tutti, alla fine, sceglievano di scaricare questa a discapito dell’altra». Il consiglio quindi è progettare un’app che sia accessibile fin da subito . Porterà un beneficio anche a chi, di disabilità, non ne ha.