Matteo Laffranchi ha un dottorato in robotica conseguito presso l’Università di Sheffield, nel Regno Unito. Dal 2014 lavora presso il laboratorio Rehab Technologies su protesi robotiche ed esoscheletri. Dal 2016 gestisce le attività legate alla ricerca robotica. Nel 2004 è diventato coordinatore della linea di ricerca. Oggi parla sul Messaggero del robot Twin, un esoscheletro modulare che permetterà a chi ha perso la possibilità di muoversi di recuperare le sue funzionalità.««Ha quattro motori ad alte performance che sono allineati con le articolazioni di ginocchio ed anca, sostituiscono le funzionalità delle articolazioni e sono comandati da un’unità centrale posta in una specie di zainetto nella parte posteriore dell’esoscheletro. Il motore rileva l’inclinazione del busto e fornisce segnali di attivazione del passo alla persona che, sbilanciandosi in avanti, riesce a controllare l’esoscheletro. Inoltre ci sono delle fasce poste sia sulla parte inferiore che superiore della gamba e sul torace per la parte meccatronica sul paziente».
L’esoscheletro
Laffranchi spiega a Paolo Travisi che si tratta di una serie di pezzi componibili, che l’utente – in autonomia, nel caso di persone più abili o aiutate da un caregiver – indossa pezzo dopo pezzo e questo permette alla macchina, che pesa 19 kg, di diventare gestibile. Per muoversi, aggiunge,«è sufficiente che possano spostare il peso del corpo in avanti, movimento che questa macchina riesce a percepire e dà l’avvio ai motori. Un concetto simile al Segway». I robot non sono però ancora in commercio: «Nei prossimi 3 anni dobbiamo superare la validazione clinica richiesta per la commercializzazione, dopodiché dovremmo metterci in partnership con un soggetto industriale che si prenderà cura della produzione e della vendita. Penso che entro i prossimi 5 anni potrebbe essere sul mercato».
Gli utilizzi
Laffranchi aggiunge che «le persone che hanno una lesione completa non potranno recuperare la funzionalità, ma possono utilizzare l’esoscheletro per fare terapia, stare in posizione eretta per riuscire a mantenere la densità ossea dello scheletro, utilizzarlo per camminare, per riattivare la circolazione, agevolare le funzionalità vescicali ed intestinali che sono fondamentali in questo tipo di patologie. Invece nel caso di lesione parziale, ci sono studi recenti che indicano come l’utilizzo intensivo dell’esoscheletro in fase acuta possa ristabilire le connessioni a livello nervoso e del midollo e quindi permettere di recuperare le funzionalità».
Il paziente
E racconta una delle sperimentazioni: «Uno dei nostri pazienti ha avuto un incidente che ha provocato la lesione a livello cervicale, per cui pensava di non riuscire a recuperare più la funzionalità degli arti, invece grazie all’utilizzo intensivo sin dai primi momenti dopo l’incidente ha quasi recuperato totalmente la funzionalità, per cui riesce a camminare con le stampelle, a manipolare oggetti, ad essere autonomo e lavorare».
di Alba Romano