Così la tecnologia sta abbattendo le barriere della disabilità

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Ci sono gesti che diamo per scontati, a cui non facciamo caso perché sono ormai abitudini automatiche. Come aprire la app Maps, digitare un indirizzo (o pronunciarlo ad alta voce) e farci guidare fino a destinazione.

Lo stesso vale per ascoltare la traccia audio di un video o leggere il contenuto di un documento. Ma c’è chi vede il nostro automatismo come un privilegio, lo vive come una facoltà alla quale non ha accesso. E non parliamo di eccezioni, anzi: secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, il 15 per cento della popolazione globale, oltre un miliardo di persone, ha una qualche disabilità definitiva. Numero che decolla se si conta quelle provvisorie, frutto di un incidente dal quale prima o poi si recupera. In loro soccorso, da tempo, interviene in modo potente la tecnologia. In grado di offrire una versione non tanto potenziata, quanto adattata alle loro esigenze, di quei servizi che siamo abituati a consumare tutti i giorni.

Una scommessa da vincere

Tra le aziende hi-tech, Google è molto avanti in questo campo. In particolare nel recinto degli smartphone, che con il sistema operativo Android, il più diffuso al mondo, sono il suo cavallo di battaglia. Superare le barriere sollevate dalla disabilità, peraltro, è una specie di sana ossessione, un pallino per il suo Ceo, Sundar Pichai, che di recente ha dichiarato: «La grande promessa della tecnologia è dare a tutti la stessa possibilità di raggiungere i propri obiettivi. Fino a quando ci saranno degli ostacoli per qualcuno, il nostro lavoro non potrà dirsi finito».

L’assistente vocale è touch

La teoria diventa pratica con un lavoro diffuso su scala internazionale, con un ricco ventaglio di strumenti, che trova riflessi anche nel nostro Paese. Per dire, un’ottima sintesi del concetto l’ha raggiunta Lorenzo Caggioni, ingegnere dell’accessibilità della compagnia (sì, esiste una carica del genere), che ha realizzato Diva. Si tratta di un dispositivo che rivoluziona l’approccio all’assistente vocale di Google: anziché utilizzare le parole per attivarlo, si adopera il tatto. Si schiacciano dei pulsanti. Così, le scorciatoie che esso abilita diventano disponibili per chiunque non veda e non parli. A cominciare dal fratello di Lorenzo, Giovanni, che adesso può avere accesso con maggiore autonomia ai suoi film e alla sua musica.

Il Gps parlante

Dicevamo prima delle mappe. Un altro strumento interessante è la guida vocale che le accompagna. Chi non vede affatto o solo parzialmente, può fare leva sulla sua voce per interrogare l’applicazione Maps e ottenere di rimando informazioni acustiche sulla distanza residua da percorrere, quando bisogna svoltare e tutto il corollario di dettagli che rendono un percorso a piedi, da un’impresa, a una possibilità fattibile e sicura.

La voce diventa testo

Altra ricaduta pratica dell’accessibilità secondo Google, è la trascrizione simultanea: le parole pronunciate in un video, diventano un testo che scorre su uno schermo. Così, i non udenti, possono leggere ciò che non riescono a sentire. E tale opportunità torna utile a chiunque di noi, per esempio se abbiamo dimenticato le cuffiette a casa e vogliamo guardare un filmato su un mezzo pubblico senza dover fare la figura dei cafoni tra i vicini di vettura o di vagone.

La parola è la chiave

Non è finita qui. C’è «Seleziona per ascoltare»: si toccano gli elementi sullo schermo di uno smarphone Android per sentirli descrivere ad alta voce, senza doverli leggere. Mentre «Accesso vocale», dà modo a chiunque abbia difficoltà di movimento di controllare il proprio dispositivo adoperando soltanto la voce. Una chiave universale intangibile per avviare applicazioni, saltare da un sito web all’altro, dettare una mail e spedirla al destinatario, persino scattare una foto. Per noi è semplice. Per chi è affetto da una disabilità, può esserlo altrettanto.

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