In questo Paese si parla spesso dei grandi successi ottenuti all’estero dai nostri “cervelli in fuga”. E quasi mai, invece, si parla di quegli altri – e sono tanti – cervelli italiani che invece non sono fuggiti, che sono rimasti qui a condurre le proprie ricerche e che, nonostante le tragiche condizioni dell’Università italiana, hanno raggiunto traguardi straordinari.
Menti brillanti e tenaci che, a causa quello strano principio tutto italiano per cui il nostro prossimo è sempre e comunque più distante da noi rispetto a chi ci è davvero lontano, lavorano a pochi passi da noi tra mille difficoltà, anche se nessuno sembra accorgersene. Giovanni Saggio, professore presso il Dipartimento di Ingegneria Informatica dell’Università di Tor Vergata, è uno di quei “cervelli” che passano una volta ogni tanto e che ha coraggiosamente scelto di restare in Italia per condurre le proprie, straordinarie ricerche. Il suo piccolissimo laboratorio all’interno del campus universitario – nascosto agli occhi dei più – è stato in questi anni un centro gravitazionale per lo sviluppo di biotecnologie all’avanguardia, all’interno del quale sono state pensate e sviluppate invenzioni che potrebbero cambiare la nostra vita. Uno di quei luoghi, insomma, in cui si pensa e si crea quello che chiamiamo “il futuro”.
Il professor Saggio è l’anima visionaria di questo laboratorio, angusto e un po’ caotico, pieno di fili e di strani arti robotici. Invenzioni stupefacenti – arrivate diritte da un futuro anteriore che noi profani abbiamo visto solo nei film -, dalle applicazioni sorprendenti, che spaziano dalla medicina alla chirurgia, dall’aeronautica all’esplorazione dello spazio, dallo sport alla vita di tutti i giorni. “Provate ad indossare questo”, ci dice subito il professore, porgendoci uno strano guanto collegato con decine di fili ad un computer. “Bene”, prosegue, “ora muovete a piacimento la mano e guardate lo schermo”: una mano virtuale sta replicando esattamente e in tempo reale i nostri movimenti, e lo stesso sta facendo un’altra mano robotizzata posta a pochi centimetri dalla nostra, come fosse il riflesso di uno strano specchio. “Questo è il guanto sensorizzato”, spiega il professore, “di cui io sono stato uno dei precursori al livello internazionale. Il guanto, tramite centinaia di sensori, può misurare con estrema precisione i movimenti di ogni singola articolazione delle dita, per poi replicarli tramite un’intelligenza artificiale”. Dopo aver messo a punto il prototipo iniziale, il guanto sensorizzato è divenuto per Saggio e i suoi collaboratori un volano grazie al quale sviluppare decine di progetti. “Uno dei progetti più interessanti è stato sviluppato con l’Agenzia Spaziale Italiana”, racconta il professore, mentre fissa intensamente la sua invenzione. “Bisognava risolvere il problema delle attività extra veicolari, quelle per cui l’astronauta è costretto ad uscire dalle stazioni spaziali per compiere una riparazione esterna. Un’attività pericolosa e costosissima, risolta dal mio guanto: l’astronauta, indossandolo, non deve più scendere dalla stazione, perché fuori c’è una mano artificiale pronta a replicarne ogni movimento”. Roba da romanzi di Philip Dick, ma non solo. Perché grazie al guanto sensorizzato, una persona sordomuta potrebbe persino “tornare a parlare”. “Il guanto misura i gesti del linguaggio dei segni e, grazie a degli algoritmi, li traduce in parole, che possono apparire su uno schermo o essere pronunciate da un sintetizzatore vocale. Così la persona sordomuta può comunicare anche con chi non conosce il LIS”. Un’applicazione rivoluzionaria, come rivoluzionaria è quella che permette a chi ha subito l’amputazione di un arto di poter compiere con una mano artificiale gli stessi movimenti di una mano reale, semplicemente “pensandoli”.
Ma il professor Saggio non si è certo fermato qui. Con il suo team “Hiteg” ha creato lo spin-off “Captiks” – oggi in commercio, a differenza del guanto, per cui si aspettano investitori -, un sistema di sensori indossabili che misurano la postura e i movimenti di tutto il corpo. Uno strumento già utilizzato in decine di ambiti diversi, come nel recupero di bambini con disturbi motori, nelle diagnosi e terapie per malati di parkinson, nelle valutazioni di performance sportive e nei recuperi post-operatori. E poi c’è quella che forse è la ricerca più rivoluzionaria del professore: secondo i suoi studi, misurando e analizzando i parametri sonori della voce, è possibile stabilire la salute di un paziente e di diagnosticare con largo anticipo alcune malattie. Un progetto davvero rivoluzionario, nato in collaborazione con alcune università indiane, dove Saggio ha condotto i primi esperimenti: “dalla semplice registrazione ed analisi della voce basata su nostro software (sistema brevettato), abbiamo individuato, con errore minore dell’1%, diverse patologie, quali tubercolosi, febbre virale, CSOM) e diabete”. Una scoperta dalla portata ancora inesplorata, se si pensa, come spiega il professore, che, ad esempio, “un domani, registrando semplicemente la propria voce tramite un’app e inviandola al proprio medico, un paziente può avere informazioni sul proprio stato di salute tutti i giorni e in un tempo brevissimo”. Uscendo dall’angusta e futuristica stanza del professore Saggio, come fosse un tunnel spazio-temporale, si ha la sensazione di essere stati davvero nel futuro. Un futuro cui chi gestisce questo Paese dovrebbe guardare con molta, molta più attenzione.
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