La battaglia della giovane Alessandra: «Sottotitoli al cinema per chi non sente»

Nata nel 1995 a San Giorgio a Cremano, ha perso l’udito a 17 anni per una malattia rara. Si è laureata in Lettere e non vuole rinunciare a vedere film sul grande schermo

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di Natascia Festa

Il mondo di Alessandra si è silenziato all’improvviso. È stato come se qualcuno avesse azzerato la manopola del volume: prima un orecchio, poi l’altro, fino all’ovattato silenzio assoluto.

Da quell’assoluto ora Alessandra Romano lancia un appello. «La mia passione è sempre stata il cinema – scrive in una lettera – ma ai non udenti è precluso. Eppure, basterebbe poco: inserire i sottotitoli. Con la tecnologia contemporanea non sarebbe affatto complicato».
Quando è nata a San Giorgio a Cremano, nel marzo del 1995, — padre dirigente di un’azienda alimentare e madre casalinga — le pendici del Vesuvio già fiorivano. E lei con loro: bambina e poi adolescente bella e piena di talento, sensibile e divertente. Circondata da tanti amici, non avrebbe mai pensato che tutto quel suo mondo così rumoroso avrebbe perso i suoni. Conversiamo su WhatsApp: per l’immagine del profilo, ha scelto la foto con la coroncina di alloro, nel giorno della laurea (sopra).

Quando è iniziato tutto?

«Fino al liceo sentivo benissimo, ma fu proprio in classe che mi accorsi di avere qualche problema: avevo 17 anni e non riuscivo più a seguire bene le lezioni dei professori. Cominciò così il lungo percorso di indagini mediche e la diagnosi è stata dura: neurofibromatosi, una malattia rara che comporta una serie di danni tra cui la sordità. Un tumore benigno sul nervo acustico mi ha fatto perdere la funzionalità del primo orecchio, poi è andato via l’udito anche all’altro, ma non mi sono lasciata fermare: ho continuato a studiare e lottare».

Dopo il liceo?

«Mi sono iscritta alla Facoltà di Lettere dell’università Federico II di Napoli e grazie a Teams, che ha la funzione sottotitoli, sono riuscita a seguire quasi tutti i corsi. Qualche volta anche in aula con i colleghi. Mi sono innamorata dell’arte di Vincenzo Gemito, del suo ritrarre i volti e la realtà senza filtri, come ne L’acquaiolo; gli ho dedicato la tesi della laurea triennale. In casa ho una riproduzione di una sua scultura in bronzo (la posta in chat mentre parliamo: è una giovane napoletana con i capelli fluenti: le somiglia pure ndr). Ho scelto poi di scrivere la tesi della magistrale in Filologia moderna, in particolare in Letterature comparate, tracciando un itinerario tra Woolf, Proust e Svevo».

Visionarietà, psicanalisi e «recherche»: complimenti.
«Non posso fare a meno di leggere e studiare: da sempre sono stata una lettrice onnivora e la scrittura mi è venuta in soccorso anche quando la malattia si è fatta più tosta. Oltre a leggere ho iniziato a scrivere e ho pubblicato già tre romanzi».

Prendo i titoli dal curriculum: L’isola D’Agata (PlaceBook, 2020) I Fuggiaschi di Padova (Opera Indomita 2021) Solo nei suoi occhi (Di Leandro Partners, 2022). Uno all’anno. Cosa raccontano?
«Il primo è una saga che continua con il terzo: i protagonisti Natalia e Lorenzo crescono in un orfanotrofio. Da qui vengono adottati e narro la loro vicenda fuori dall’istituto, nei quartieri di Napoli. Le loro vite avranno varie svolte: li vedremo rincontrarsi e allontanarsi. I fuggiaschi… è dichiaratamente autobiografico: sei ragazzi affetti dalla neurofibromatosi decidono di scappare dal Policlinico di Padova e rifugiarsi a Napoli, in una villa, dove cominciano a inventare storie. Mi sono ispirata al Decameron ovviamente».

Leggendo si ascolta con l’immaginazione. Al cinema proprio non si può.
«Per questo voglio provare a cambiare le cose. Perché precludere un’arte immensa ai non udenti? Il nostro Paese sbandiera uguaglianza, ma bisogna anche metterla in pratica questa equità di diritti. Che fastidio possono dare i sottotitoli? Non si toglierebbe nulla agli altri spettatori. La risposta più frequente che viene data a una persona sorda è di “aspettare che un film venga trasmesso in tv”. Andare al cinema, però, è anche un rito sociale, una necessità culturale, una “cura” tanto più necessaria per chi non sta proprio al meglio. Adattarsi un po’ per sostenere altri meno fortunati non penalizza, aiuta la specie a sopravvivere. Da sempre la tecnologia aiuta i disabili: perché non possiamo beneficiarne anche al cinema stabilmente? Garantire la visione di film sottotitolati renderebbe davvero uguali i cittadini: è un investimento in umanità».

Nei suoi Fuggiaschi, Elena mentre ascolta il medico, ha solo un desiderio: tornare a casa a guardare serie su Netflix.
«Sulle piattaforme i sottotitoli ci sono, ma bisogna restare a casa, magari da soli. Quello che mi manca è sprofondare in una grande storia da guardare sul grande schermo, ridendo con l’amica che mi sta affianco. Ho molte amicizie per fortuna, vecchie e nuove, ma con loro non posso condividere il cinema, un’abitudine che dà sollievo. Come scrivere: ho pubblicato anche un bel po’ di articoli e sono giornalista pubblicista. Mi piacerebbe poter continuare…».

 

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