Recensione di Giancarlo Zappoli
martedì 4 maggio 2021
Estate 1826. Beethoven si reca, insieme al nipote che ha tentato il suicidio a causa dei suoi continui rimproveri, a casa del fratello Nikolaus Johann del quale detesta (ricambiato) la consorte.
Ha più di un problema sia sul piano della salute (la sordità) che su quello economico. Mentre trascorre i suoi ultimi giorni ospitato a pagamento (morirà per le conseguenze di una polmonite contratta in quanto rientrato a Vienna su un carro scoperto) si rivivono la sua infanzia e la sua giovinezza.
Niki Stein ha trovato in Tobias Moretti l’interprete perfetto per il ruolo di Beethoven (chiamato talvolta dal padre in gioventù con il francesizzante appellativo di Louis).
Non solo, innegabilmente, sul piano fisiognomico ma anche su quello dell’indagine su un carattere scostante la cui formazione viene spiegata dai continui (ma non disturbanti) flashback. Il Maestro che tratta rudemente chi più gli sta vicino e che non ha mai avuto una donna che abbia voluto condividere completamente la sua sorte (tranne una che fu impedita a farlo), ha un passato che, se non lo giustifica, ne spiega le chiusure.
Rivediamo l’infanzia e l’adolescenza di un genio che diviene sempre più consapevole delle proprie qualità ma vive la condizione di dipendenza dai potenti di turno come un giogo inaccettabile.
La sceneggiatura, scritta dallo stesso Stein, sceglie questo come fil rouge della narrazione mostrando l’insofferenza verso qualsiasi scala gerarchica che venga dettata non dalle competenze ma dal puro e semplice ‘titolo’. Pronto a riconoscere i Maestri dal cui ingegno apprendere (Mozart e Haydn) fin dalla più tenera età, a causa di un padre severo con lui e lassista con sè stesso, Ludvig non si concede stravaganze ma non accetta imposizioni.
Grazie poi a una colonna sonora ricca di citazioni ci viene anche ricordato che quelle note sul pentagramma avevano un prezzo che non sempre chi ne godeva era disposto a corrispondere. La pirateria musicale non è stata inventata nel XX secolo. Esisteva già all’epoca: se eri nobile, pretendevi di ascoltare senza (adeguatamente) pagare.