Ciechi e sordi, cinema per tutti

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«Che immagine stupenda», «che prova d’attore», «che dialogo interessante», «che grande colonna sonora». Commenti per molti assolutamente consueti, quando un film è piaciuto e si esce soddisfatti dalla sala. Ma non per tutti è così. Lo schermo per alcuni rimane sempre buio, dall’inizio alla fine. Per altri, il sonoro – voci, rumori, musiche – è qualcosa di sconosciuto. Non vedenti e persone affette da sordità: per loro il cinema può essere una barriera insormontabile, un mondo da cui sentirsi esclusi.

Eppure, ci sono tentativi per rendere fruibile anche a loro l’esperienza e l’emozione di un film in sala.

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Juliane Biasi Hendel, regista trentina, ne Il colore dell’erba – presentato in anteprima a Torino, in febbraio sarà anche proiettato a Trento, Milano, Bologna, Firenze e Roma – ha tentato l’impossibile: girare un film per i non vedenti, creando appositamente per loro dei particolari paesaggi sonori. «Volevo che il mondo descritto nel mio documentario, quello di due adolescenti, Giorgia e Giona – la prima cieca dalla nascita e la seconda, albanese, colpita dalla cecità a tre anni –, fosse accessibile a tutti gli spettatori e desideravo abbattere le barriere e le differenze, creando appositamente per i non vedenti paesaggi sonori forti». La storia è semplicissima: le due amiche tentano più volte, nello scorrere quotidiano delle loro giornate a Riva del Garda, di raggiungere da sole una gelateria in riva al lago, percorso che è loro proibito senza essere accompagnate.

«Fin dall’inizio – prosegue la regista – la mia idea è stata quella di girare un film che parlasse da solo e non avesse bisogno di una audiodescrizione, proprio per far entrare nell’atmosfera di ciò che le ragazze vivono anche spettatori che, come loro, non ci vedono. È un documentario che abbiamo cercato di rendere proprio per questo il più sonoro possibile, per unire e far interagire tra loro vedenti e non vedenti, accomunati dalla percezione delle emozioni, per me un senso che racchiude tutti gli altri». È stata una scelta non semplice. «Alla proiezione torinese – confessa – non sono mancate critiche, perché i non vedenti si aspettavano qualcosa di diverso. Ma io volevo che il film fosse percepito direttamente e non descritto attraverso l’uso degli ausili tradizionali. Chi mi ha spronato nel portare a termine questo vero e proprio esperimento, insieme a tutta la produzione Indyca, è stato Mirco Mencacci, uno straordinario sound designer non vedente: i suoi paesaggi sonori danno una tonalità completamente diversa a questa esperienza, tanto è vero che uno spettatore vedente può entrare in sala, mettersi una benda sugli occhi e avere le stesse sensazioni di chi non ha il dono della vista ed è seduto vicino a lui».

Per questo Mencacci ha lavorato con entusiasmo e molta fatica. «Dovevo innanzitutto capire quello che era veramente il mondo sonoro che circondava le due giovani protagoniste – ricorda –. Mi sono recato sui luoghi delle riprese, in Trentino, per conoscerli dal vivo: la casa, la scuola di musica, la palestra, l’orto, il cortile, le strade, la montagna. Ho rivissuto le immagini che non potevo vedere attraverso i suoni, ho utilizzato un sistema di registrazione che ho messo a punto negli anni e dà la possibilità di essere immersi in un suono tridimensionale, ho registrato diverse ore di quei paesaggi sonori per poter ricostruire le ambientazioni sonore del film, con i vari momenti del giorno e le diverse stagioni. Successivamente, ho riprodotto i suoni più puntuali: lo strappo della cipolla, una macchina, il vento». Per lui il non vedere lo schermo non è un impedimento insormontabile. «In un film, se è ripreso e costruito in modo adeguato, come io ho tentato di fare, il non vedente probabilmente riesce ad avere una mappatura della realtà molto più precisa. Quindi quando si siederà in sala avrà una sensazione di maggiore chiarezza e consapevolezza proprio attraverso un mondo sonoro che lui abitualmente è già abituato ad ascoltare e che in quel caso gli sarà presente in modo assai più fedele».

Al rovescio, quel mondo non esiste per i sordi. Ma una lodevole iniziativa dell’Istituto Luce – Cinecittà alla casa del Cinema di Roma viene incontro anche a loro. “Cinema senza barriere” offre, infatti, per una domenica al mese da qui a primavera, quattro recentissimi titoli italiani – tra cui Chiamatemi Francesco di Daniele Luchetti, l’8 maggio – sottotitolati e con il servizio di interpretariato LIS. La collaborazione dell’Ente nazionale per la protezione dei sordi è stata determinante. «Per noi sordi vedere un film attualmente sugli schermi è quasi impossibile – precisa il presidente, Giuseppe Petrucci –, perché dobbiamo aspettare che venga sottotitolato e messo a disposizione in televisione o Dvd. Tentiamo di infrangere questa barriera. Purtroppo nel mondo italiano dei normodotati noi rimaniamo ancora invisibili, il cinema non ci viene incontro. In Italia manca il riconoscimento della lingua dei segni, mancano da parte del governo le disposizioni obbligatorie alla sottotitolazione, come accade altrove, e lo Stato non ha mai pensato a una apposita legge, così noi continuiamo a rimanere una fascia debole. Almeno questa volta posso dire ai miei amici: andiamo insieme al cinema».

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