I ragazzi delle classi del terzo, quarto e quinto anno dei licei hanno incontrato l’unica ballerina professionista non udente d’Italia, protagonista del corpo di ballo dell’Arena di Verona e del Teatro Massimo
Lunedì 22 aprile si è tenuto un incontro rivolto alle classi del terzo, quarto e quinto anno dei licei con Carmen Diodato, unica ballerina professionista non udente d’Italia, protagonista del corpo di ballo dell’Arena di Verona e del Teatro Massimo di Palermo. L’incontro, diviso in due momenti, ha previsto nella prima parte una breve esibizione dell’artista sulle note di una melodia a lei molto cara: “si tratta di un’esibizione di danza contemporanea che amo molto”, ha commentato l’artista dando così avvio ad un discorso sviluppatosi lungo tutta la seconda parte dell’incontro. Con delicatezza e genuinità, Carmen ha tracciato un racconto di sé molto toccante, nel quale ha ripercorso alcune tappe importanti della sua vita.
L’artista ha evocato i ricordi per lei più significativi, come quelli legati allo sviluppo della sua passione per la danza, nata grazie al suggerimento della sua logopedista, divenuta per Carmen “una seconda mamma”, vista la longevità del loro rapporto, la dolcezza con cui si è presa cura di lei (la ballerina si emoziona al ricordo del loro primo incontro avvenuto all’età di soli quattro anni). Ed è stata proprio la logopedista a decidere di iscriverla a una scuola di danza, dopo la visione di un film che assumerà una vitale importanza nel suo percorso di crescita divenendo per lei anche una fondamentale fonte di ispirazione e coraggio: Figli di un dio minore (Children of a Lesser God, regia di Randa Haines, 1986) ha il merito di essere uno dei primi film a raccontare la condizione della sordità dal punto di vista di una persona non udente. Vede sbocciare nella sua trama una bellissima storia d’amore mentre cerca la risposta ad un interrogativo: “un mondo fatto di silenzi è uno degli universi di serie B o è solo un punto di vista diverso, tutto da scoprire?”.
Nelle scene di quel film in cui si assiste allo scontro/incontro tra mondo dei suoni e mondo del silenzio, Carmen vede proiettarsi la sua condizione e proprio come la protagonista, decisa e determinata, affrontando i propri limiti, dimostrerà a chi non ha creduto in lei che non esiste “stato di minorità” che impedisca il raggiungimento di obiettivi o la realizzazione dei sogni: vi sono soltanto punti di vista diversi che meritano medesimo rispetto. Il suo è quello di un’artista che è stata in grado di trovare nella danza un’altra forma di linguaggio per esprimere la sua interiorità, comunicare e raggiungere un’autonomia personale e autoconsapevolezza. La gratitudine con la quale l’artista parla degli anni della sua formazione umana e artistica è rivolta, oltre che all’assistenza delle figure professionali, anche al supporto dei famigliari: traspare tenerezza dal racconto di quei ricordi legati all’infanzia, in cui il padre stimolava i suoi sensi attraverso giochi che crescendo sono diventati incoraggiamenti e insegnamenti di vita. È in questi momenti che Carmen ha imparato a superare i momenti di difficoltà, a confrontarsi con una condizione di svantaggio da cui tuttavia non si è mai lasciata sopraffare, continuando piuttosto a perseguire i propri obiettivi, a sognare il suo avvenire al di là di tutto, al di là dei dinieghi, dell’invidia e della competizione. Attraverso la danza, in quelle vibrazioni che le permettono di percepire il ritmo e tenere i tempi, attraverso il suo sguardo curioso e attento con cui ha imparato a “sentire” (“Dico sempre che i miei occhi sentono”), Carmen ha trovato la via verso il riscatto e l’emancipazione, un modo personale di uscire dall’isolamento.
Gli studenti e le studentesse del Gonzaga Campus hanno avuto modo di conoscere una storia di coraggio, grande forza d’animo, impegno e determinazione; un modello di vita da ammirare e da cui trarre insegnamenti. Una lezione di vita che non si dimentica.