La danza inclusiva che stimola le abilità di tutti

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La danza come linguaggio e mezzo di espressione universale. Non si potrebbe immaginare nulla di più accessibile di così.

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O forse sì: si potrebbe immaginare un metodo di insegnamento delle discipline artistiche realmente inclusivo e aperto a tutti, anche alle persone con disabilità sensoriali. Alcuni formatori lo stanno già facendo: l’approccio che utilizzano e i risultati che ottengono sono tutt’altro che scontati.

Alcuni di loro potreste già conoscerli se avete seguito negli ultimi mesi All Inclusive Training, una proposta di formazione inclusiva sui linguaggi della scena promosso da Fattoria Vittadini in collaborazione con CorPoetica e con il sostegno di Fondazione di Comunità Milano. Un’iniziativa che mette insieme alcuni percorsi di formazione dedicati alla danza, al teatro, all’improvvisazione alla fotografia e molto altro. Quando gli appuntamenti hanno preso il via, le lezioni si svolgevano ancora in presenza. L’emergenza sanitaria ha imposto dei limiti. Così i promotori dell’iniziativa hanno deciso di trasferire gli appuntamenti su Zoom. I corsi sono ancora attivi e proseguono, è il caso di dirlo, nonostante tutto.

Certo che se Zoom e le piattaforma digitali rappresentano una grande opportunità in tanti contesti  lavorativi e personali per molte persone, in questa situazione rappresenta un’ulteriore barriera alla comunicazione tra i formatori e gli allievi con disabilità sensoriali. Ecco allora che proprio l’impegno e la cura che i formatori impiegano nel preparare le lezioni diventa fondamentale.

I protagonisti di Kaleidos

I protagonisti di Kaleidos

Maura, Chiara e Pieradolfo sono i tre formatori di Fattoria Vittadini e artisti della compagnia Kaleidos. «All’inizio ero molto scettico sulle lezioni multimediali – racconta Pieradolfo – Trattiamo argomenti molto delicati che non toccano solamente il corpo ma anche la mente delle persone. Zoom rappresenta un filtro importante, ma è stata una bella sorpresa constatare quanto i nostri appuntamenti rappresentino una svolta importante nelle giornate e nelle routine di molte persone». «Dover gestire la distanza e il passaggio di informazioni attraverso uno schermo determina un cambiamento notevole nel metodo di insegnamento» spiega ancora Chiara. E non vi è dubbio che la prima attenzione debba essere rivolta all’utilizzo un corretto linguaggio». 

«Come formatori ci siamo dovuti mettere molto in discussione. – racconta Maura – Partiamo dal presupposto che tutti noi siamo corpi che respirano, ma ognuno si ascolta in modo diverso. Imparare a sentire il proprio respiro aiuta a risvegliare le sensazioni e spesso a migliorare le proprio giornate». Una pratica per nulla scontata se immaginiamo in questo contesto delle persone non udenti. «Uno dei limiti di noi formatori è l’abitudine alla frontalità: siamo abituati a “mostrare” mentre parliamo ai nostri allievi all’interno di un’aula. Ma il fatto di lavorare sulle lezioni online, con la traduzione simultanea in LIS, aggiunge dei livelli di complessità. Sono proprio queste barriere che a noi hanno aperto un mondo di opportunità che non immaginavamo».

Paradossalmente la soluzione è la semplificazione: «Dover gestire la distanza e il passaggio di informazioni – spiega Chiara – attraverso uno schermo determina una necessità di adattamento e di individuazione di un modo di trasmissione inclusivo. Sto imparando a trovare il valore nella semplicità e nella chiarezza. Quando si lavora con il corpo si tende a perdere un po’ il valore dell’essenzialità nel passaggio delle informazioni. Ma per fare delle lezioni che siano realmente aperte e inclusive abbiamo dovuto ricalibrare la nostra comunicazione, semplificando al massimo il linguaggio. L’obiettivo è sempre quello di trovare un terreno comune. Individuarlo, per noi, è una delle soddisfazioni più grandi».

Elisa Ghion_Contact improvisation

Alla base di All Inclusive Training c’è la volontà di creare dei percorsi che siano realmente accessibili a tutti. I formatori svolgono in questo senso un ruolo fondamentale: «È importante – spiega Elisa – costruire le lezioni considerando che non sappiamo chi si presenterà, quindi le lezioni devono andar bene per tutti, a prescindere dalle diverse abilità. In sintesi, non serve lavorare sui livelli di difficoltà o sulla qualità della lezione, ma cambiare il presupposto di partenza. Non dimentichiamo che noi siamo esseri multisensoriali, tutto ciò che viviamo può essere letto da diversi punti di vista, dipende dagli stimoli a cui si risponde». È un’idea che sembra quasi rivoluzionaria, ma che in realtà prende spunto e applica i principi fondanti della convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità: «Il contesto sociale – spiega Elisa – influisce sulle condizioni di disabilità, è come se esistesse ancora una separazione tra le cose che possono esser fatte solo dalle persone senza disabilità e quelle con disabilità. In realtà siamo tutti noi ad avere il dovere di cambiare prospettiva».

La danza in questo senso rappresenta un punto di vista e uno strumento in quanto «un mezzo di espressione universale, nel senso che si esprime al di là delle forme. Non è altro che movimento. Noi aiutiamo a far scoprire all persone come aprirsi alle possibilità di movimento che sono già proprie dei corpi. È questa possibilità a fare della danza una delle cose più libere e democratiche che ci siano».

@GiuliaPolito

 

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