Moda inclusiva, la testimonianza di due gemelle in carrozzina

0
491 Numero visite

Patty Vittore e Vincenza Dinoia raccontano l’emozione provata durante uno shooting fotografico

Negli ultimi anni, nell’industria della moda, il concept di bellezza sembra farsi più radicale, sembra appropriarsi di un bene più profondo chiamato inclusività.

Pare che canoni estetici ritagliati per determinate taglie o volti, stiano lasciando spazio a forme di corpi “diversi” ma in sintonia con l’armonico ondeggiare della bellezza. Di quella che trascende la realtà per divenire un messaggio contro ogni forma di stereotipia. Così dinanzi allo sguardo e al movimento delle modelle diversamente abili, vecchi cliché sembrano frantumarsi. Scenari che preannunciano la possibilità di un’evasione verso un mondo contrassegnato non solo dalla solidarietà ma anche dalla convinzione che la moda possa appartenere a chiunque. E che la bellezza non sia qualcosa di meramente convenzionale.

Un messaggio forte l’ha lanciato, in questo senso, l’imaginecoach Sabrina Altamura, quando nel mese scorso ha organizzato uno shooting fotografico, coinvolgendo due donne in carrozzina. Si tratta della 43enne Patty Vittore e della 27enne Vincenza Dinoia.

«Non sono sposata e per la prima volta ho indossato un abito da sposa. Quando mi è stato chiesto di partecipare ad uno shooting fotografico, ho provato solo una immensa gioia. E senza riflettere ho detto di sì. Indossare l’abito bianco è sempre stato il mio sogno, ma credo che sia il sogno di molte donne», racconta Patty, vittima all’età di 25 anni di un’incidente stradale che le ha spazzato, in una manciata di minuti, gran parte dei suoi desideri come quello di poter un giorno varcare la soglia della chiesa e attraversare la lunga navata centrale insieme al padre.

«Quando mi sono ritrovata nell’atelier e mi hanno assegnato il vestito bianco, mi dicevo che era “bellissimo, proprio come l’ho sempre immaginato”. All’improvviso mentre lo indossavo, la gioia iniziale ha lasciato spazio ad un mix di emozioni contrastanti tra sorrisi e lacrime. Ripensavo al passo ondeggiante in chiesa che non avrei mai fatto. Ripensavo allo strascico che da seduta non si sarebbe visto. Ripensavo a tutti i miei sogni di un tempo, a quelli realizzati e a quelli no. Nel frattempo mi raggiunse la mia amica Vincenza, con la quale ho condiviso lo shooting fotografico. Ci siamo emozionate molto senza il bisogno di proferire parole. Appena ci siamo staccate dall’abbraccio, mi sono guardata allo specchio e sono tornata a sorridere. Penso che anche stando seduta su una carrozzina, quel vestito mi ha reso davvero una bella sposa».

La stessa emozione non ha lasciato scampo alla 27enne Vincenza Dinoia, affetta dall’età di 17 anni da una malattia rara chiamata atassia di Friedreich (FRDA). «Per me è stata la prima volta ad aver partecipato ad uno shooting fotografico con abiti da sposa” – commenta Vincenza – «Avevo già fatto degli scatti informali per amici e sfilate in carrozzina. Indossare un abito da sposa è stata una grande emozione, specialmente perché sono appassionata di moda e adoro indossare abiti. Sapere di far parte di un progetto più grande di inclusione ha reso il momento più intenso e suggestivo specialmente perché avevo scelto di condividerlo con una mia cara amica, Patty».

Per entrambe le donne la sensibilità nei confronti della disabilità è aumentata e l’industria della moda sta imparando a capire e a rispettare chi, in fondo, non è poi così “diverso”. Purtroppo, però, sono acquisizioni recenti che non attecchiscono ancora sulla coscienza di tutti. «Credo che dovrebbero mostrare più volte su una passerella modelle diversamente abili o modelle che non abbiano una taglia 38, come vediamo nella maggior parte delle sfilate», commenta Vincenza. «Solo alcuni brand hanno deciso di includere donne con caratteristiche diverse dal solito. Per quel che riguarda tutto il resto, c’è tanto da fare per l’inclusione sociale della donna con qualsiasi diversità o meglio particolarità. Sui social, sono tanti gli esempi di divulgazione di inclusione sociale, fatte da persone che, molto spesso, vivono sulla loro pelle i pregiudizi e sentono il un bisogno di combatterli per un mondo migliore, come è giusto che sia. Ma questa non è ancora abbastanza. Le discriminazioni sono all’ordine del giorno. E ogni giorno sembra di tornare al punto di partenza».

Dunque, secondo le ragazze, nel panorama delle diversità non tutte le scelte messe in campo dagli stilisti sono in linea con il disagio esistenziale dei più deboli e le ragioni andrebbero individuate in fattori culturali. «In parte è un problema culturale. L’immagine del disabile è sempre collegata ad una persona che non è in grado non solo di camminare o muoversi ma anche di pensare. Non si è ancora in grado di comprendere a fondo la disabilità», spiega Patty, «La colpa è anche di noi disabili dovremmo non solo emergere dal punto di vista sportivo (per esempio durante il periodo delle paraolimpiadi non si parla d’altro che della forza e del coraggio di persone come Zanardi), ma penso che sia altrettanto importante farci vedere di più in giro: fare shopping, cenare nei ristoranti, passeggiare, insomma comportarci come le persone “normali”».

In questa “battaglia culturale” un ruolo importante è assunto anche dalle istituzioni competenti che, a quanto pare, non riescono a sviluppare scelte politiche orientate verso un vero e proprio cambiamento culturale in tutti i cittadini. «Le istituzioni hanno molte colpe: in primis non rispettano normative inerenti all’inclusività», prosegue Patty, «Io non le assolvo, anzi il mio diritto alla libertà viene violato ogni giorno. Il mio “lockdown”, purtroppo, dura da 18 anni perché io non posso girare per strada o entrare in molti negozi nonostante ci siano leggi in vigore da più di vent’anni. Queste leggi non vengono rispettate, non c’è nessuno che controlla o comunque che tutela il mio “diritto” ad avere una vita più “normale».

Molto probabilmente per il futuro, Patty e Vincenza continueranno a partecipare a simili iniziative per sentirsi protagoniste di qualcosa di più grande come, appunto, le sfilate di moda: un settore in cui si sta imparando a valorizzare una cultura della diversità intesa come patrimonio di inestimabile ricchezza.

Infatti, l’industria del beauty sta acquisendo un ruolo sempre più importante a livello internazionale nella promozione di un cambiamento positivo ed effettivo nella nostra società. La moda ha una capacità di amplificazione dei messaggi da consegnare al mondo. Ha una grande responsabilità in tal senso. Quello dell’inclusione e della valorizzazione della diversità, con l’obiettivo di creare sempre una maggiore consapevolezza all’interno delle aziende del fashion ma anche tra i consumatori finali da sensibilizzare con messaggi chiari e davvero inclusivi, come ad esempio quello di imparare a “guardare alla disabilità con occhi diversi”.

 

L'informazione completa