di Alberto Fraja

Quello di Ludwig van Beethoven non è il solo esempio in cui una patologia terribile, la sordità nel caso di specie, non impedisce il dispiegarsi del talento umano.

Il genio se ne impipa delle inclemenze e delle perfidie di Madre Natura. Esso per manifestarsi è in grado di superare qualsiasi ostacolo, foss’anche il più invalicabile. Thomas Alva Edison, per dire. Di questo prodigioso inventore si sa, da remoti ricordi scolastici, che fu l’inventore della lampadina a incandescenza. Punto. E invece no. Questo prodigio della natura, questo uomo dalla intelligenza strabiliante cui coniugava una laboriosità sovrumana, non s’è guadagnato uno scranno nel Parnaso dei grandi della storia solo per aver portato la luce elettrica in tutte le case. Questo signore dall’udito imperfetto (pure lui), affetto da ipoacusia dall’età di dodici anni, brevettò un impressionante numero di invenzioni che la metà sarebbero bastate.

Fu l’americano più famoso della sua epoca e oggi del suo genio, della sua vita, delle sue intuizioni se ne parla in un libro bellissimo, Edison, che porta la firma del premio Pulitzer Edmund Morris, Edison (Hoepli, 627 pagine, 27,90 euro). Nato a Milano l’11 febbraio del 1847, Edison si congeda da questa valle di lacrime a 84 anni, a causa di una quantità considerevole di acciacchi nonostante sin da giovanissimo avesse rispettato un regime alimentare austero, fedele al principio di temperanza del filosofo Luigi Cernaro secondo cui ci si dovrebbe alzare da tavola prima di avere placato la fame.

DIAVOLERIE
Le redazioni dei giornali di tutto il mondo non avevano smesso un solo istante di aggiornare il necrologio di Thomas. Lo facevano ormai da 53 anni, da quando il fonografo (vi parrà strano ma, nonostante la vulgata, fu quella la sua invenzione più grande) gli fosse valsa una repentina ed enorme fama. E non meraviglia il fatto che, In quella occasione, gazzette ed ebdomadari avessero mostrato stupore di fronte a una invenzione acustica realizzata da un uomo mezzo sordo da un orecchio e completamente sordo dall’altro. E tuttavia nemmeno ai periodici con la pagine più fitte bastarono le colonne per riassumere e descrivere i 1093 (millenovantatré) tra macchinari, sistemi, procedimenti e fenomeni brevettati da Edison ormai calato nella tomba. Sebbene la sua disabilità fosse progressiva («Non sento cantare un uccello da quando avevo dodici anni» ripeteva sconsolato) il genio americano aveva creato e messo a punto una quantità di diavolerie da lasciare basito Belzebù in persona.

Mettetevi comodi ché la lista è lunga: diaframmi in seta verniciata, in mica, in manina di rame o in sottile vetro francese che si flettevano in guarnizioni semifluide; bambole che parlavano e cantavano; un trasmettitore telefonico in carbonio, cilindri in parafenilene di straordinaria fedeltà; duplicatori capaci di modellare, spianare e foggiare; un accrocchio per appuntire e levigare le puntine di diamante; un regolatore centrifugo della velocità per fonografo; un altoparlante in miniatura che utilizza un cilindro al quarzo e i raggi ultravioletti; un dittafono; una posta vocale; un amplificatore per violino; un orologio acustico; un ricevitore per radiotelefono, un apparecchio per l’ascolto dell’eruzione delle macchie solari; un corno per la registrazione dei suoni «talmente lungo che per sostenerlo – ricorda Morris – lo si dovette collocare tra due edifici»; auricolari in osso che potevano essere utilizzati da due o più ascoltatori ed un volano ad attivazione vocale. Ci fermiamo qui anche se qui non è finita.

SOLDI, SOLDI, SOLDI
C’è ancora da evidenziare un altro aspetto di questo personaggio più unico che raro. Edison, scrive l’autore del libro, «per tutta la vita seguì la politica di creare solo cose che fossero pratiche e redditizie». A soli quattordici anni fonda un giornale, lo scrive, lo stampa e va a venderlo sui treni. Non meraviglia dunque che egli sia stato anche un infaticabile imprenditore. Mise su un conglomerato di imprese allora senza precedenti, una costellazione di aziende elettriche distinte che fece risplendere il suo nome in tutto il mondo “a volte in caratteri strani perché un occhio occidentale potesse leggerli” scrive Morris.

Quando, nell’ottobre del 1931, Edison è ormai prossimo a spirare, al presidente degli Stati Uniti Hoover viene suggerito perla notte dei funerali di disattivare l’intera rete elettrica nazionale per un minuto. Hoover ci pensa un momento su ma poi ragiona che un simile gesto avrebbe paralizzato il paese, e molto probabilmente provocato una quantità incalcolabile di incidenti mortali. Il presidente boccia anche l’alternativa: ordinare lo spegnimento di tutte le luci pubbliche. Non era soltanto inconcepibile, era impossibile che l’America tornasse, anche solo per sessanta secondi, al buio che dominava nel 1847 quando Thomas Alva Edison era nato.

 

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