Perché i disabili in Urss furono a lungo perseguitati?

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Anatolij Golembievskij, veterano disabile della Seconda guerra mondiale Ivan Kurtov/TASS

GEORGY MANAEV

Non solo non si teneva minimamente conto delle loro esigenze, e non vennero mai introdotte regole per la riduzione delle barriere architettoniche né fu avviata la produzione di sedie a rotelle o protesi, ma di fatto erano esclusi da un’ampia serie di diritti, tra reclusione forzata, lavoro non retribuito e divieto di avere figli

Solo durante la Grande Guerra Patriottica (come viene chiamata in Russia la Seconda guerra mondiale), quattro milioni di cittadini sovietici rientrarono dal fronte a causa di ferite e malattie gravi, e, di questi, circa 2,5 milioni erano invalidi di guerra, di cui circa 500 mila avevano perso gli arti.

Redazione it.rbth.com

Lo Stato sovietico si impegnò nella riabilitazione e nella socializzazione di persone che avevano visto irrimediabilmente minata la loro salute nel difendere la patria? Sulla carta sì. In realtà, la situazione dei disabili in Urss non era molto diversa da quella dei malati di mente o dei prigionieri delle carceri e dei campi di lavoro.

Fucilazioni per “risolvere” il problema 

Disabili al pozzo. Il dipartimento occidentale della Casa dell'Imperatore Alessandro II per i dipendenti disabili delle ferrovie, 1901

Prima della Rivoluzione, nell’Impero russo, una apposita struttura statale era impegnata nella cura “degli storpi e dei ritardati”: il “Dipartimento dell’imperatrice Maria”, creato dalla moglie dell’imperatore Paolo I, Maria Fjodorovna. Dopo la morte dell’imperatrice, nel 1828, il dipartimento divenne parte della cancelleria imperiale, il che significa che era sotto la giurisdizione personale del sovrano. Questa istituzione si occupava della gestione di tutta la carità e di una parte significativa dell’educazione dei nobili dell’impero, delle case educative per gli orfani, dei sordomuti e dei ciechi, e sosteneva scuole di beneficenza e scuole professionali. Il sistema era finanziato principalmente dal Tesoro e accettava anche donazioni private.

Con l’avvento al potere dei bolscevichi, il welfare divenne interamente prerogativa dello Stato, senza contributo dei privati. Nella risoluzione del Consiglio dei commissari del popolo del 30 aprile 1918, “carità ed elemosina” furono dichiarate “una reliquia dei tempi passati”. Lo Stato dei soviet, secondo Lenin, non doveva accettare donazioni dai ricchi, ma fornire assistenza sociale regolare alle persone in stato di bisogno. Per questo venne creato il Commissariato del popolo per la Sicurezza sociale. Tuttavia, negli anni Venti e Trenta, solo i disabili dell’Armata Rossa, le ex guardie rosse e i partigiani rossi ricevettero un vero aiuto. I disabili “comuni” dovettero affrontare le stesse difficoltà degli altri cittadini sovietici.

Dopo la Guerra civile, la Russia sovietica traboccava di elementi ai margini della società, bambini senza casa, persone che avevano perso i loro parenti e un tetto sopra la testa.

Leonid Zakovskij, responsabile di centinaia di esecuzioni di disabili in URSS

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Come scrive Dmitrij Sokolov nell’articolo “Esclusi dalla vita: I destini degli invalidi nell’Urss”, “molte di queste persone furono vittime di misure per ‘ripulire’ le città, con le autorità che fermavano persone per le strade di Mosca, Leningrado, Kharkov, Sochi e le spedivano in insediamenti speciali in aree poco adatte alla vita”. La milizia sovietica, creata da zero e non ancora molto professionalizzata, preferiva semplicemente togliere le persone senza documenti dalla strada. Nella sola primavera del 1933, circa 39.000 persone furono deportate nella Siberia occidentale, tra le quali, secondo i dati del reparto operativo dell’Ogpu di Omsk, c’era “una parte significativa di disabili, anziani e donne con bambini piccoli”. I disabili lavoravano nelle miniere, e vivevano nelle stesse condizioni degli altri coloni in tende e baracche tra le paludi siberiane.

L’atteggiamento nei confronti dei disabili nelle metropoli è perfettamente descritto dalla frase di uno degli artefici del “Grande Terrore” staliniano, Leonid Zakovskij (1894-1938). Nel gennaio 1938, tre mesi prima di finire lui stesso fucilato, Zakovskij fu trasferito da Leningrado a capo del dipartimento di Mosca dell’Nkvd. Nelle carceri di Mosca in quel momento si erano accumulati molti disabili, in attesa di essere inviati nei campi. “A Leningrado, li inserivamo semplicemente nelle liste delle persone da fucilare, ed eliminavamo il problema. Perché avere di che preoccuparsi di loro nei campi di lavoro?”, si chiese Zakovskij.

Nel 1937 a Leningrado, era stato con la partecipazione di Zakovskij che era stato inventato il “caso dei sordomuti”: 34 non udenti furono fucilati con l’accusa di aver creato un’organizzazione fascista. Nel febbraio 1938, a Mosca, circa 170 disabili, ciechi, tubercolotici e cardiopatici furono messi a morte per la decisione di Zakovskij di fare spazio a nuovi prigionieri nelle carceri. La cosa peggiore è che spesso l’incapacità dei disabili e dei malati gravi di lavorare diventava la loro “colpa” di fronte al regime, che non voleva spendere per la loro riabilitazione.

Lo scarso aiuto dell’assistenza sociale di Stato

Un signore disabile in un mercato di Novokuznetsk, in Siberia

Per le strade dell’Urss del dopoguerra, era spesso possibile incontrare disabili sdraiati sulla cosiddetta “katálka”. Si trattava di semplici lettighe con assi di legno su quattro ruote portanti. I mutilati rimasti senza gambe si muovevano con quelle, usando come una specie di remo dei pezzi di legno dotati di maniglie e avvolti in stracci per una migliore presa sul terreno. Di sedie a rotelle non si parlava proprio. Quelle di tipo più moderno non entrarono mai in produzione in Urss. Valerij Fefjolov, disabile a seguito di un incidente sul lavoro e uno dei principali combattenti per i diritti delle persone disabili in Urss, disse in un’intervista al quotidiano tedesco “Korrespondent”: “Le uniche sedie a rotelle sovietiche sono pesanti, pesano quasi 40 kg, ingombranti e scomode da usare. Non si piegano, quindi non puoi portarle con te in strada. Non entrano nell’ascensore, le porte sono strette per loro e i diversi gradini, o la scala all’ingresso di ogni palazzo, sono un ostacolo insormontabile.”

Gli standard degli alloggi sovietici non tenevano in considerazione la vita di una persona disabile: non c’erano rampe per sedie a rotelle negli ingressi e nelle strade, nelle cliniche e in altre istituzioni statali e il viaggio di una persona disabile in un’altra città in treno richiedeva l’assistenza fisica di diversi adulti. La lotta delle persone disabili per i loro diritti sociali era complicata dall’impossibilità della persona disabile stessa di visitare le istituzioni di assistenza sociale.

Negli anni Cinquanta, le autorità iniziarono a “sbarazzarsi” degli invalidi della Grande Guerra Patriottica, trasportandoli in sanatori specializzati, il più famoso dei quali era sull’Isola di Valaam, nel Lago Ladoga. Dopo la guerra, molti disabili erano rimasti senza parenti, e i sanatori e le istituzioni specializzate erano spesso l’unico posto dove potevano ricevere almeno un qualche tipo di assistenza e riparo. Coloro che rimasero con le loro famiglie erano condannati a risiedere permanentemente al chiuso dell’appartamento.

Alcuni passanti aiutano un veterano disabile della guerra in Afghanistan a salire le scale, 1990

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L’accesso delle persone con disabilità a strumenti che avrebbero potuto semplificare la vita, come protesi semplici o meccanizzate, sedie a rotelle e automobili speciali, era estremamente difficile. Le stesse sedie a rotelle, di bassissima qualità, venivano fornite gratuitamente per 5 anni, ma bisognava attenderle per diversi mesi, o addirittura anni. E semplicemente non c’erano protesi meccanizzate prodotte in Urss e il loro acquisto all’estero era proibito durante la Guerra Fredda.

Valerij Fefelov (a destra) e la copertina del suo libro,

Le persone con disabilità ricevevano pensioni, che erano sempre al di sotto dei salari medi e non consentivano loro di vivere in modo indipendente e decoroso. Valerij Fefjolov sottolinea nei suoi scritti che, anche negli anni Ottanta, la pensione massima per il livello di disabilità più alto era di 120 rubli al mese, quando lo stipendio medio era di 170 rubli e il costo di un cappotto da uomo di 150-200 rubli. Cosa possiamo dire dei bambini con disabilità, che ricevevano appena 20-30 rubli al mese? “I servizi sociali mi hanno aiutato”, recitava una dissacrante barzelletta sovietica, “mi hanno mandato un grosso sacco di crostini croccanti. Ma ora dove posso trovare una dentiera?”.

Le “case per disabili” erano fuori dalla giurisdizione dei tribunali

In queste condizioni, un numero enorme di disabili era costretto a vivere recluso in “case per disabili”, che erano sotto la giurisdizione degli enti di assistenza sociale. I cittadini che finivano al loro interno erano di fatto privati di ogni diritto legale. Valerij Fefjolov, che aveva perso la mobilità degli arti inferiori a causa di una frattura spinale, divenne un combattente per i loro diritti. All’età di 17 anni, Valerij, allora elettricista-assemblatore, cadde dalla linea elettrica per colpa dei suoi colleghi, che non avevano tolto la tensione in tempo.

Diversamente abili al lavoro

Non volendo sopportare la posizione diseredata di una persona disabile in Urss, Fefjolov iniziò a bussare alle porte delle istituzioni statali e a tenere una fitta corrispondenza con altre persone disabili. Nel suo libro “Non ci sono disabili in Urss!” (“В СССР инвалидов нет!”), pubblicato a Londra, in russo, dalla Overseas Publications Interchange Ltd, nel 1986, Fefjolov descrive le condizioni in cui i disabili vivevano nelle istituzioni specializzate.

“Le istruzioni sull’ordinamento interno delle ‘case per invalidi’ vietano ai disabili di avere figli. Se nasce un bambino, viene sottratto con la forza alla madre e affidato alle cure dello Stato. Pertanto, se i disabili si innamorano, di regola, vengono divisi, venendo portati su piani diversi o in altri edifici. Le istruzioni prevedono anche il collocamento delle persone mentalmente sane con disabilità motorie insieme ai malati di mente”.

“Le cure sono scarse, e fa sempre freddo”, riferì a Fefjolov uno dei disabili con cui era in corrispondenza. “Il cibo è pessimo. Se danno l’aringa, è puzzolente, se danno le uova, sono marce, se danno la kasha di miglio, è salatissima e senza burro. Un cibo simile è da voltastomaco. Le persone con disabilità si impiccano, si annegano… il fiume è vicino”. Era possibile lasciare un posto del genere? Per i disabili con seri problemi motori, questo era spesso fisicamente impossibile, e coloro che potevano camminare da soli, semplicemente non erano dotati di scarpe e abbigliamento per l’esterno…

Fabbrica per la produzione di protesi

Le illegalità commesse nelle “case per disabili” non potevano essere contestate nei tribunali sovietici. Quando Fefjolov presentò una denuncia scritta al tribunale del popolo della regione di Saratov per il pestaggio del suo amico di penna Gennadij Guskov nella casa per disabili locali, ricevette la seguente risposta: “Le case per disabili sono di competenza dei Ministeri che si occupano di assistenza sociale e non sono soggetti ai tribunali”. Il Ministero della sicurezza sociale era allora un dicastero assolutamente autoritario, basti dire che, ad esempio, Domna Komarova (1920-1994) fu una ministra insostituibile per 21 anni, dal 1967 al 1988!

Lo Stato imparò anche a lucrare spudoratamente alle spalle dei disabili, nonostante il suo slogan principale fosse quello marxiano: “Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”, leggermente rivisto in salsa sovietica: “Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo il suo lavoro” (“От каждого по его способности, каждому — по его труду”), sancito dalle costituzioni dell’Urss del 1936 e del 1977. I disabili incollavano pacchi e buste, producevano bigiotteria di perle sintetiche, chiavistelli, cardini per porte e finestre, interruttori elettrici, borse di corda intrecciata, corone funebri, vestiti di lana lavorati a maglia… Da tutto ciò lo Stato guadagnava.

Fefjolov cita nel suo libro statistiche approssimative degli anni Ottanta: “Solo nel territorio della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, in 200 imprese educative e produttive appositamente create, 58 mila disabili sono ciechi. Queste imprese producono ogni anno prodotti per un valore medio di 540 milioni di rubli. Pertanto, ogni membro di questa società produce prodotti per quasi 10 mila rubli all’anno”. Si confronti questo con l’entità delle pensioni di invalidità, diritto a percepire che, peraltro, doveva essere regolarmente confermato dagli enti previdenziali. Il pagamento per il lavoro di una persona disabile era miserrimo, ad esempio: “L’operazione di attaccare (manualmente) un perno di metallo alla fibbia di una scarpa è pagata a una tariffa di 47,3 copeche per 1000 pezzi”.

“Non ci sono disabili in Urss!”

Un disabile partecipa a una gara su sedia a rotelle, Crimea, 1989

Per quanto riguarda la riabilitazione sportiva delle persone disabili, era completamente assente in Urss. Fefjolov scrive che quando gli organizzatori dei giochi sportivi per disabili di Stoke Mandeville (Gran Bretagna) chiesero se i disabili sovietici avrebbero preso parte a queste competizioni internazionali, il governo sovietico rispose: “Non ci sono disabili in Urss!”. Stessa risposta ricevettero gli organizzatori dei Giochi paralimpici di Toronto del 1976. “Disabili e sport?! Organizzare gare per disabili in sedia a rotelle o fargli lanciare palloni è disumano sia per i disabili che per il pubblico…”. Fefjolov cita queste parole del colonnello del Kgb Vladimir Shibaev. “Non ci sono disabili in Urss!” divenne, come detto, il titolo del libro di Fefjolov, pubblicato in Occidente, anche perché nel 1982 lui era stato costretto a lasciare l’Urss a causa della persecuzione del Kgb.

Nel 1976, l’organizzazione per i diritti umani “Moscow Helsinki Group” fece circolare un documento “Sulla situazione dei disabili”, con il quale cercava di attirare l’attenzione del pubblico mondiale e sovietico sulla situazione scandalosa: “Gli invalidi sono di fatto privati del diritto di lavorare in modo degno, di studiare, di andare in ferie, di ricevere una buona alimentazione e buone cure, di condurre una normale vita personale e intima, di allenarsi e praticare sport”. Questo j’accuse finì solo per attirare l’attenzione della polizia segreta sui dissidenti presenti tra le file dei disabili. Nel 1978 Fefjolov e un suo compagno di lotte crearono un gruppo di iniziativa per la protezione dei diritti delle persone con disabilità in Urss e iniziarono a pubblicare un bollettino informativo. Il gruppo chiese l’indicizzazione delle pensioni di invalidità, la produzione di protesi e sedie a rotelle comode, l’organizzazione di un ambiente urbano senza barriere architettoniche e la riforma del sistema di sicurezza sociale per le persone con disabilità.

I tentativi del gruppo di stabilire un contatto con le organizzazioni internazionali di persone con disabilità portarono a un flusso di lettere e inviti, che cominciarono ad affluire al gruppo dall’estero. Questa fu la ragione della persecuzione da parte delle autorità di Fefjolov e dei suoi sostenitori. Vennero effettuate perquisizioni nei loro appartamenti, i loro familiari furono convocati dal Kgb e persuasi a cercare di riportare a più miti consigli chi combatteva per i suoi diritti. Elena Sannikova, membro del gruppo, venne condannata nel 1984 a un anno di carcere e quattro anni di confino, e Fefjolov venne espulso in Germania, dove lui e la sua famiglia ricevettero asilo politico nel 1983.

La squadra russa alla cerimonia di inaugurazione dei Giochi paralimpici del 2014

La squadra paralimpica dell’Urss ha preso parte per la prima volta ai Giochi Paralimpici (la prima edizione è riconosciuta essere quella di Roma 1960) solo nel 1988 e, con 55 medaglie (21 d’oro, 19 d’argento e 15 di bronzo), ha ottenuto il 12 ° posto nel medagliere. Sebbene oggi molti problemi dei disabili russi siano ancora in attesa di una soluzione e alcune istituzioni di supporto sociale ricordino ancora troppo i tempi sovietici, la lotta dei dissidenti sovietici disabili non è stata vana. Nel 2006, la squadra nazionale russa ha vinto per la prima volta il medagliere ai Giochi Paralimpici Invernali. Valerij Fefjolov è riuscito a vedere questa vittoria: è morto nel 2008 a 59 anni.

 

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