CATANIA. “Credo che non ci si abitui mai alla vittoria, ogni volta si provano sensazioni forti e uniche, posso dire però che la vittoria di quest’anno sia stata molto più significativa rispetto gli altri anni.
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Non è facile tornare in campo dopo questo lungo stop dovuto dalla pandemia, ma la voglia di far bene e dare il massimo mi ha aiutato tantissimo nel raggiungere il mio obbiettivo”.
Quella di Serena Spanò è una bella storia. Una di quelle che ti riempiono il cuore.
Una di quelle che riescono a valicare le barriere dell’agio e dell’indifferenza, divenendo esempio, stimolo e sfida per tanti. Un modo per ricordare a noi stessi che tolleranza e rispetto sono virtù difficili. Esercizi spirituali che ci rendono migliori. Sempre.
Serena è una tosta. Per la terza volta si è cucita addosso il Tricolore di pallavolo nel Campionato dei non udenti.
Con l’Ancona, un successo personale e di squadra.
Un successo di sacrificio e sudore.
Un messaggio prorompente: “Non arrendersi mai”
“Non posso dire che la mia vita è stata semplice, anzi tutt’altro. E’ difficile rimanere al passo le altre persone quando hai qualche handicap, e posso capire tutte le persone che magari hanno paura di esporsi e di mettersi in gioco però vorrei che gli arrivasse questo messaggio: non arrendersi mai. La determinazione nel raggiungere un obbiettivo e cercare di ottenere ciò che si vuole sono le cose fondamentali sia nella vita sia nello sport.
Lo sport aiuta a non chiudersi in se stessi, soprattutto in quelli di squadra. Una cosa spettacolare dello sport, è proprio questo, aiutarsi gli uni con gli altri, grazie allo sport ho conosciuto tante persone provenienti da tutto il mondo e insieme abbiamo condiviso esperienze, emozioni, momenti felici e non.
Tutti gli sport aiutano a vivere con gli altri e a facilitare i processi di socializzazione.
E la pallavolo mi ha aiutato ad esprimermi nella vita e mi aiuta giorno dopo giorno a far vedere ciò di cui sono capace, nonostante le innumerevoli difficoltà che la vita mi ha messo davanti”.
Punto di riferimento
E così, ben oltre la retorica delle parole e delle litanie tromboneggianti che siamo abituati a sentire ogni qual volta si parla di disabilità, Serena ci inchioda a quel sentimento protetto del crederci sempre: un atteggiamento mentale libero dagli schemi e, per questo, dirompente nella sostanza e nei risultati ottenuti.
“Molte volte penso a quale sarà il mio futuro pallavolistico. E le risposte le trovo pensando a tutte le soddisfazioni che ho avuto nella mia carriera da giocatrice. Vorrei riuscire a trasmettere tutti questi valori alle mie compagne di squadra e poter essere un punto di riferimento per loro”.
Il rapporto con mamma Maria e papà Giovanni
Il bel rapporto con i genitori mamma Maria Caltabiano, un legale affermatissimo ma con un gran bel passato da pallavolista, ed il padre Giovanni (a sua volta tecnico nel settore maschile) col quale condivide il percorso sportivo:
“È cosa risaputa il rapporto che ho con mio padre, ma mi piacerebbe precisare che lui per me è stato più di un semplice genitore. A lui devo molto, gran parte del mio successo lo devo a lui, mi ha fatto da genitore, da allenatore, da compagno di squadra e soprattutto da amico e grazie alla splendida famiglia che ho sono riuscita a realizzare gran parte dei mie obbiettivi e a superare tutte le difficoltà che la vita mi ha preservato”.
Nessun alibi
Il sorriso dolce e spontaneo di Serena ci inchioda al ricordare a noi stessi l’importanza della diversità in quell’essere tutti uguali. Al mettere al centro dello sguardo e del cuore storie di donne e uomini, di giovani che hanno rispedito indietro l’alibi di chi si arrende e di chi allarga le braccia.
Anche così la vita resta una cosa meravigliosa.