ANED, Filippo Palmeri più forte della sindrome di Alport

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Sportivo da sempre Filippo Palmeri racchiude in sé una storia fatta di vittorie non solo in campo, ma soprattutto nella vita.

a cura di Gian Luca Pasini

Classe 2000, originario della capitale, fin da piccolo ha dovuto fare i conti con quello che metterebbe k.o. molti adulti. “Avevo 10 anni, tornato a da scuola casa un giorno, dissi a mia mamma che non sentivo più molto bene”. Dopo le prime visite arrivò la terribile notizia: sindrome di Alport. Questa malattia genetica è caratterizzata dalla progressiva perdita di funzione renale, visiva e uditiva. “All’epoca facevo parte delle giovanili della Roma calcio e non pensavo certo che questo potesse condizionarmi, anzi me la cavavo piuttosto bene”.

DAL FUTSAL AL BEACH VOLLEY Durante l’adolescenza però la malattia inizia ad aggravarsi, con l’avanzamento della sordità da entrambe le orecchie e il decadimento anche della vista, ma non c’è spazio per darsi per vinti. Filippo decide di intraprendere una nuova esperienza nel futsal. “Il campo più piccolo e il giocare al chiuso mi davano la possibilità di sentire e vedere meglio i compagni, poi tutto ciò che avevo già imparato mi consentì di ambientarmi molto bene anche nell’indoor”.

A 18 anni arriva quasi casualmente il colpo di fulmine con il beach volley (nella foto con Paolo Niccolai olimpionico di beach), la disciplina che tutt’ora lo vede crescere come atleta di grandi prospettive. “La mia ragazza è una giocatrice di beach, mi faceva sempre provare durante l’estate, e mi sono appassionato finché ho capito che era quello che davvero volevo fare”.

IL NUOVO INIZIO Ma la partita con la vita non era finita. Anche i suoi reni cominciano a dare segni di cedimento. Appena maggiorenne gli viene gli viene prospettata la necessità di doversi sottoporre a un trapianto di rene. “La mia famiglia è molto unita, e mio papà ha deciso di donarmi uno dei suoi. Questo avrebbe dovuto evitarmi anche la dialisi, però il peggioramento improvviso dei miei valori del sangue mi ha costretto al trattamento sostitutivo d’emergenza che ho dovuto fare per due mesi”. Pietra miliare diventa il 10 dicembre 2019 quando Filippo riceve dal padre questo grande dono d’amore, che diventa un vero e proprio nuovo inizio. “Ora il nostro legame è diventato ancora più forte, lui è davvero felice di avermi dato questa seconda possibilità, abbiamo festeggiato da poco insieme il primo anniversario, quasi come un nuovo compleanno”.

Dopo soli tre mesi dall’operazione c’è già la voglia di tornare ad allenarsi .“Riprendersi dall’intervento non è stato facile, ci vuole tempo perché il fisico si adatti, soprattutto per i molti farmaci che devo assumere, ma volevo riprendere al più presto la mia forma fisica, purtroppo anche l’arrivo del Covid ha rallentato tutto”. Solo a giugno dello scorso anno ci sono le condizioni per iniziare ad allenarsi seriamente. All’interno della Beach Volley Academy di Roma inizia un nuovo percorso. “Dopo le prime sedute in cui mi sentivo un po’ più affaticato del solito devo dire che ora sto bene. Oggi mi alleno 4 o 5 a volte a settimana, con il mio compagno puntiamo alla partecipazione ai campionati nazionali U21 che, virus permettendo, dovrebbero iniziare il prossimo febbraio”.

VERSO I MONDIALI 2023 E il 2020, che è stato così duro per tutti, non è proprio da buttare. Infatti durante la pandemia avviene un altro incontro decisivo per Filippo. “I medici del Gemelli che mi seguono mi hanno raccontato dell’esistenza di un’associazione per persone trapiantate, l’ANED, e anche di una Nazionale di pallavolo trapiantati. Mi sono documentato in internet e sui social e sono riuscito a entrare in contatto con questo gruppo di ragazzi. Qui ho trovato la possibilità di condividere la mia esperienza, sentire le loro storie e, anche se per ora solo virtualmente, di conoscere il lato umano di atleti che come me hanno affrontato la malattia. Spero che arrivi presto il momento di poter scendere in campo per vincere anche con loro, il prossimo importante appuntamento sarà il mondiale 2023 in Australia, ma soprattutto con lo scopo di dimostrare che grazie al trapianto si può tornare davvero alla vita e allo sport di alto livello. Mi auguro davvero che tante persone che oggi attendono un organo possano tornare a rinascere come ho fatto io”.

 

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