Campioni sordi, la storia di Piero Italiani: “Queste persone forti anche tra gli udenti. Serve supporto tecnico adeguato”

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Sua l’ultima delle interviste di storia orale del progetto #storiedisport #CampioniSordiOSO. “Le olimpiadi dei sordi mi hanno emozionato di più di quelle degli udenti”

di SARA FICOCELLI

STORIE DI ATLETI e non solo che hanno fatto la storia dello sport dei sordi attraverso 15 interviste originali, tra sacrifici, successi, difficoltà, sfide, vittorie, raccontate attraverso le loro parole e i loro segni: questo il cuore del progetto “Campioni Sordi ieri, oggi e domani“, sostenuto dalla Fondazione Vodafone Italia attraverso il bando OSO – Ogni Sport Oltre, che ha appunto l’obiettivo di rafforzare la relazione positiva delle persone sorde con l’attività sportiva.

L’ultima storia che la Fondazione Pio Istituto dei Sordi ha raccolto è quella di un grande campione di ieri, il tuffatore Piero Italiani: è infatti lui uno dei tre atleti sordi, l’unico ancora vivente, ad aver preso parte alle Olimpiadi – quindi non le Paralimpiadi né le Deaflympics – , per l’esattezza negli anni 1984 a Los Angeles e 1988 a Seul, partecipando anche a diversi campionati e vicendo più volte l’oro in competizioni con atleti udenti, oltre che sordi.

Circondato dalle bellezze del Foro Italico, Piero, sordo dalla nascita, ha spiegato l’importanza dello sport per contrastare l’isolamento e favorire la crescita emotiva e culturale partendo proprio dal suo esempio di vita e spiegando quanto sia stato bello e impegnativo riprendere gli studi a carriera avviata laureandosi proprio con una tesi sull’integrazione dei sordi nello sport. La sua carriera di sportivo è passata attraverso soddisfazioni e altrettanto grandi difficoltà, a partire da quelle tecniche, per la partecipazione alle competizioni internazionali, fino alla sfida di farsi accettare da una società sportiva perché sordo. Poi l’incontro della sua vita, con Klaus Dibiasi, e da qui l’abbattimento delle barriere comunicative e i successi – come l’emozione straordinaria di Los Angeles 84 – , prendendo parte alle competizioni internazionali dei giochi silenziosi (Deaflympics) con altri atleti che condividevano con lui la stessa disabilità.

“Quando ero bambino, avevo 10, 11 anni, mi divertivo al mare a Ostia, dove c’era la piscina del Kursaal, con un trampolino da 10 metri. Per divertimento sono salito e mi sono buttato. Così, per divertimento, ho fatto un tuffo di piede e basta. Poi ho visto in televisione Klaus Dibiasi, mi ha colpito ed è nata in me la passione. Sono andato in due società che mi hanno rifiutato entrambe. Mi hanno respinto perché mio papà entrò dicendo che ero sordo e chiedendo se potevo fare i tuffi; l’allenatore gli ha risposto: e come faccio? Come faccio a comunicare se va su e non sente? È un problema. Mi dispiace ma non possiamo prenderlo, la società non lo accetta. Un’altra società uguale, non mi ha accettato. Finalmente la terza, fortunatamente, mi ha preso.

Devo ringraziare molto le Fiamme oro della polizia. Sono andato alla piscina dell’Acqua Acetosa a Roma. Arrivo lì la prima volta col costume e resto stupito perché era presente proprio Klaus. Due mesi prima l’avevo visto in televisione e quando l’ho incontrato di persone sono rimasto a bocca aperta, avevo i brividi. Mi ha stretto la mano e mi ha salutato, poi mi ha detto: non senti? Non importa, vai, tuffati e prova. Mi ha aperto la strada dello sport. È lo sport che mi ha dato tutto questo. Se non ci fosse stato lo sport io oggi non sarei venuto qui”.

“Nel 1991 – ricorda ancora – avevo chiuso con i tuffi per via del lavoro al Coni ma c’era una società, il Gualandi, che mi chiamò: ‘Per favore, vieni a nuotare con noi’. Io accettai e iniziai ad allenarmi con loro. Abbiamo vinto la medaglia d’oro al campionato italiano di nuoto dei sordi. Poi mi hanno chiesto di giocare a pallanuoto e io ho accettato, ho giocato a pallanuoto con i sordi, mi divertivo. Poi l’allenatore della nazionale mi ha visto e mi ha selezionato per partecipare alle olimpiadi dei sordi di pallanuoto nel 1993, sono stato selezionato all’improvviso. Ho partecipato e ho visto la differenza fra olimpiadi normali e olimpiadi dei sordi, per questo spero che in futuro si entri per forza dentro le paralimpiadi, perché è un altro mondo. Le olimpiadi dei sordi mi hanno emozionato di più di quelle degli utenti.

Per la comunicazione, uguale per tutti, ho provato più emozioni invece là con gli udenti andava bene ma io ero concentrato sullo sport e basta, comunicazione e scambio zero. Con i sordi invece c’era prima questo e poi lo sport. Più comunicazione, molto di più. Là ero insieme a Giacubbo, lui era famoso, era un forte giocatore di pallanuoto, giocava in serie A2 mi pare. Poi c’era un altro famoso, Omar Cerquetti. Lui ha vinto i campionati mondiali di nuoto dei sordi. Abbiamo giocato tutti e tre insieme a pallanuoto e abbiamo preso la medaglia d’argento, è stata una bellissima esperienza”.

Per quanto riguarda l’impegno di Italiani per promuovere lo sport tra i giovani sordi, tutto comincia a 17 anni, con una promessa. “Una promessa che risale alla vittoria dei campionati europei juniores”, racconta. “L’anno dopo l’Ens nazionale – c’era come presidente Ieralla e Rubino che era il vice presidente onorario della Ciss – mi ha chiamato, io avevo 17 anni. Mi hanno detto di andare proprio in ufficio. Ieralla, il presidente, mi ha fatti complimenti per aver preso la medaglia, io ho ringraziato e lui mi detto: ‘Ricordati che quando tu crescerai, quando finirai, dovrai cercare di stimolare i sordi per lo sport. Ti ricorderai, lo prometti?’. Io ho promesso e per questo adesso sono presidente della società Cometti, per stimolare le persone e per mandarle ancora, spero, alle olimpiadi dei sordi. Queste persone sorde sono forti anche tra gli udenti. A livello regionale possono fare strada.

Per questo non dimenticherò mai la promessa, prometto di rimanere per stimolare lo sport tra i giovani, per dargli la possibilità di entrare nelle olimpiadi e nelle paralimpiadi”. Ma cosa manca lo sport dei sordi? Secondo Italiani, la diffusione in televisione. “In più io penso che manchi un supporto tecnico di alta professionalità. Ho visto che in tanti giocano a un livello medio, la federazione potrebbe dar loro un supporto professionale. Per migliorare allenandosi tutti i giorni, per andare avanti e arrivare allo stesso livello degli udenti”.

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