Michelangelo Villa, il cestista sordo «Io non mi sento diverso dagli altri»

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Michelangelo Villa ha una grande passione: il basket. E una piccola limitazione: la sordità.

Dismessi i panni del disegnatore elettrotecnico in azienda a Grassobbio, scende in campo e si allena due o tre volte a settimana. La sordità non limita Michelangelo. Per comunicare porta un apparecchio acustico che a un occhio poco attento è invisibile e chiarisce: «Io non mi sento diverso dagli altri. Ho le stesse facoltà di apprendere, fare, giocare e correre come tutti.

Greta Ubbiali –

Non mi sento disabile». E come racconta l’amico Luca Gambirasio: «Oltre a essere il mio migliore amico Michelangelo è il mio mentore: se so giocare a basket lo devo a lui».

Michelangelo ha 28 anni, ha perso l’udito all’età di 17 mesi, un’età cruciale per un bambino che inizia a comunicare con il mondo. «Ho perso i primi suoni e le prime parole a causa della malattia che ha intaccato le orecchie rovinando il nervo acustico. Con l’aiuto di un logopedista, tante ore di pratica e la vicinanza di mamma e papà sono riuscito a imparare a parlare». A quattro anni i primi tiri a canestro nella squadra di minibasket di Osio Sotto. «Ho scelto il basket non solo perché è uno sport che mi piace ma anche perché si pratica in un ambiente chiuso. Nella palestra ci sono pochi rumori, posso capire meglio l’allenatore quando parla e i miei compagni. Anche il calcio mi piaceva ma avrei dovuto giocare all’aperto sotto ogni condizione».

È stato frequentando l’Istituto sordomuti di Torre Boldone che Michelangelo ha scoperto il mondo sportivo dei non udenti. «Grazie alla “Federazione sport sordi Italia” esistono competizioni e squadre per ogni sport, basket compreso. È un mondo molto vasto ma poco conosciuto. All’epoca c’erano solo cinque squadre di basket maschile per sordi in Italia: la più vicina con cui giocare era Bologna. Ho fatto alcuni campionati con loro in Coppa Italia. Oggi di squadre ne sono rimaste quattro e gioco con il Fabriano», spiega. Nel mondo sportivo la sordità non è considerata una disabilità. Ci sono molte categorie nelle Paralimpiadi, ma nessuna per i concorrenti non udenti. Gli atleti sordi potrebbero invece prendere parte alle Olimpiadi ma per molti il più grande evento sportivo del mondo sono le “Deaflympics”: una competizione multi-sport per i migliori atleti sordi provenienti da tutto il mondo che quest ’anno è in programma a Samsun, in Turchia, dal 18 luglio

La poca visibilità delle discipline per sordi comporta il problema della mancanza di finanziamenti. Sono discipline che non portano ritorni notevoli in pubblicità e l’interesse dei privati a sponsorizzare le squadre è limitato. «Lo Stato ha salutato con favore la nascita di sport e nazionali per sordi ma poi non ci sono fondi per sostenere queste squadre. Nessun compenso per i giocatori. I team devono auto-spesarsi le trasferte. Questo limita ulteriormente la loro diffusione», dice Michelangelo. Lo incalza Luca: «La Coppa Italia è stata trasmessa in diretta streaming su Youtube. Il palazzetto era semi-deserto. Ma se l’evento non è sponsorizzato, come fa la gente a sapere che c’è?». Data la scarsa visibilità del mondo sportivo sordo, un documentario ha voluto dare voce a questi atleti: Il rumore della vittoria della bergamasca Ilaria Galbusera e Antonino Guzzardi. I co-autori per due anni hanno girato l’Italia selezionando sei giovani sportivi sordi impegnati in varie discipline, dalla pallavolo al rubgy, che si sono distinti al punto da conquistare l’ambita maglia azzurra.

L’ultimo appuntamento sportivo importante per Michelangelo è stato il Campionato italiano di pallacanestro a Somma Lombardo a fine aprile. Anche se è tesserato con il Fabriano, in questo torneo ha giocato con la maglia del Palermo, squadra a cui è stato prestato. «I giocatori della squadra vengono da tutta Italia. Ci alleniamo per conto nostro e in occasione dei raduni ci incontriamo qualche giorno prima per allenarci insieme». Michelangelo sta riprendendo a giocare dopo un brutto infortunio al legamento del ginocchio ma promette di continuare a stare in campo finché le gambe reggeranno: «Dopo l’infortunio non avevo più la forza di giocare. Ero a terra, sia con il morale che con il fisico. Oggi ho superato la paura di scendere in campo e il timore farmi male. Mi hanno richiamato per andare a giocare nel Fabriano. Il basket lo porterò sempre con me, andrò avanti finché avrò la forza di correre».

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