Una nuova iniziativa promossa dalla Cei a sostegno di chi, in questo periodo di post pandemia, vive situazioni di disorientamento e di difficoltà. Si tratta di una linea telefonica, che sarà attiva dal 1° luglio, a cui sono collegati servizi già presenti sul territorio. Ne parliamo con padre Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia

Adriana Masotti – Città del Vaticano

La volontà di mettere in moto forme inedite di solidarietà, di inventare servizi originali e di dare spazio alla fantasia, per mantenere vivi i legami tra le persone e non perdere la speranza, nonostante tutto, sono senza dubbio una conseguenza, in questo caso positiva, della pandemia da Covid-19 che ci è piombata addosso in questi mesi. Papa Francesco aveva sollecitato la creatività della carità e la Chiesa, attraverso le diocesi e le parrocchie, non si è tirata indietro. Ne è un esempio l’iniziativa, appena annunciata, di una nuova linea telefonica, voluta dalla Conferenza episcopale italiana, per ascoltare i bisogni delle famiglie e supportarle in questa fase delicata della ripartenza dopo il lockdown, segnata dall’incertezza e da difficoltà non solo economiche.

Una solidarietà che conta sulla sinergia

Il progetto “Rete che ascolta” prenderà il via mercoledì prossimo, 1° luglio. Componendo il numero telefonico 06.81159111, chiunque sia in difficoltà troverà ad ascoltarlo uno dei 309 operatori dei 63 consultori familiari che hanno aderito alla piattaforma, pronto a fornirgli un aiuto immediato o a indirizzarlo al consultorio attivo sul territorio, agli sportelli Caritas o ad una equipe della pastorale per persone con disabilità. Alla linea telefonica attiva dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle 13 e dalle 15 alle 19, si affiancherà anche la mail: pastoraledisabili@chiesacattolica.it, utile, ad esempio, per le persone non udenti, per le quali il telefono costituirebbe un ostacolo. Quattro i soggetti promotori dell’iniziativa: Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia, Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità, Caritas italiana e consultori appartenenti alla Conferenza dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana e dell’Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali.

Vianelli: la famiglia ha retto, ma va sostenuta

Un’esperienza di sinergia che, sottolinea un comunicato della Cei, apre a prospettive di promozione della persona e della famiglia, in un’ottica di condivisione delle competenze e delle risorse. Ma da quale riflessione è partita l’idea di “Rete che ascolta”? Lo dice ai nostri microfoni padre Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia:

Ascolta l’intervista a padre Marco Vianelli

R. – L’idea è nata, durante il periodo di lockdown, dall’esperienza di alcuni consultori della Confederazione dei consultori di ispirazione cristiana o anche dell’UCIPEM che, in modo separato, hanno provato a rispondere alle esigenze delle famiglie, spostando il piano dell’ascolto, che di solito avviene in  consultorio, ad una modalità telefonica. Da qui è nata questa idea di provare a vedere se fosse possibile sia mettere in rete le varie competenze, sia trovare una forma che tutelasse maggiormente la privacy dell’operatore, perché erano nate forme abbastanza fantasiose nel mettere a disposizione diversi numeri di telefono, e anche la privacy di chi chiama. Così si è pensato ad una piattaforma che consenta ad ogni consultorio la possibilità di rimanere un soggetto autonomo, ma che contemporaneamente possa mettere a disposizione del personale preparato all’ascolto a livello nazionale e così poter aprire l’orecchio e il cuore su una dimensione più ampia. Quindi, abbiamo coinvolto la Caritas e poi l’Ufficio per la pastorale per le persone con disabilità, perché possiede la capacità di accompagnare persone con problemi psichici o di tipo fisico, a cui non tutti gli altri operatori sono preparati. Così dall’esperienza ha preso il via questo progetto, che ci ha permesso di collegare non solo le strutture e di farle dialogare tra loro, che è già una cosa interessante, ma anche le competenze che ci sono.

Voi intervenite sul dopo pandemia, o meglio, visto che il coronavirus non è ancora del tutto sconfitto, nella fase del superamento del lockdown. Come mai avete pensato ad una linea telefonica e non a invitare le persone a recarsi personalmente presso i diversi consultori?

R. – E’ una domanda che ci siamo fatti anche noi, perché l’intuizione è nata in un periodo di confinamento, ma poi c’è voluto del tempo tecnico per ragionare su che piattaforma usare, su come poter formare gli operatori, perché, pur essendo persone abituate ad ascoltare, era comunque un genere di ascolto in presenza quindi diverso. Tutto questo ci ha portato via del tempo e qualcuno si è domandato se siamo arrivati in ritardo nella risposta ad un bisogno delle famiglie. In realtà, dagli operatori dei consultori stessi e della Caritas è emersa questa esigenza di avere comunque un punto di riferimento, perché il tipo di servizio che noi offriremo non è una consulenza telefonica, con cui comincia un percorso di presa in carico di un ascolto che poi avrà altri appuntamenti, ma è come aprire una porta, uno spazio, perché una domanda possa trovare accoglienza e possa trovare risposta sul territorio. Allora questo, forse, aiuterà anche a recuperare in visibilità per alcune realtà che sono già presenti, ma che non sono prese in considerazione, ordinariamente, di fronte all’emergere di un problema. I consultori ci sono già, però magari ad una persona non passa per la testa di andarci, ma, se sa che c’è un numero di ascolto, potrà trovare lì un operatore che lo rimanderà a quel territorio a cui appartiene. L’idea è stata confermata anche da questo feedback, che continua a tornarci, di famiglie che, in questa seconda o terza fase, per riorientarsi di fronte ad una mobilità di notizie e informazioni ancora in evoluzione, hanno bisogno dell’aiuto di persone che possano ascoltarle e indirizzarle.

E che tipo di richieste vi aspettate?

R. – Da quello che abbiamo sondato, le richieste sono di tipo relazionale, soprattutto, che riguardano la gestione delle relazioni con i figli, l’educazione, la relazione di coppia. Perché una buona notizia che possiamo darci è che questo lockdown ha segnato profondamente la famiglia – che ha anche dovuto fare i conti con delle realtà a cui non era preparata, anche le case stesse non erano adatte e molti pensavano che la famiglia sarebbe saltata, che tante sarebbero andate dall’avvocato divorzista – e invece così non è stato. La famiglia è riuscita, nonostante il carico, a reggere bene all’impatto, ha saputo trovare energie nuove anche per scoprire, forse, che i ritmi a cui si era sottoposta prima erano esagerati, però inevitabilmente uno stress per le famiglie c’è. Poi ci sono tutti i bisogni delle povertà, perciò abbiamo coinvolto la Caritas, perché c’è tutto anche un discorso di presenza sul territorio di accoglienza e di accompagnamento. Restano poi quei casi particolari dove ci sono situazioni affettive pesanti e anche quello potrebbe essere uno spazio di ascolto per persone che tentano il suicidio o che vivono la depressione, per poter contenere eventualmente la domanda e poterla poi rinviare ad un cammino di accompagnamento, perché la disperazione non prenda il sopravvento.

Il servizio “Rete che ascolta” prenderà il via il 1° luglio, noi ne diamo notizia così come altri mezzi di comunicazione, ma come farete a far sapere più capillarmente di questa vostra iniziativa alle persone?

R. – Aver costruito questa Rete fa sì che si attivino tutti i soggetti collegati, che metteranno in campo la loro capacità di comunicare e di promuovere sul territorio l’iniziativa. Così l’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia e la Caritas si impegneranno nelle diocesi piuttosto che nelle singole parrocchie, cioè questi quattro soggetti che si sono messi insieme per questo progetto utilizzeranno le loro reti ordinarie. C’è poi l’impegno della Conferenza episcopale italiana tramite il suo Ufficio per le comunicazioni sociali. Iniziamo così e poi vedremo via via anche come ritarare l’iniziativa a seconda delle domande che arriveranno. L’idea è quella di fare qualcosa che non sia da qui a settembre o da qui a dicembre, giusto per poterlo legare al Covid-19. Questo è stato un pretesto, ma vorremmo poter costruire una struttura che permanga nel tempo e che magari si arricchisca di altri soggetti per poter creare un punto d’ascolto, un primo accesso legato appunto ai bisogni delle persone.

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