Giulia, la prima interprete per i sordi in un consiglio comunale: «Traduco anche i litigi tra consiglieri»

Vicenza, Giulia Pasin, 26 anni, è stata chiamata dall’amministrazione per tradurre le sedute in lingua Lis. «Spero che serva ad avvicinare alle istituzioni le persone non udenti»

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Giulia Pasin al lavoro durante il consiglio comunale

di Davide Orsato – Corriere del Veneto

VICENZA Lo scorso 13 luglio è stata la prima in assoluto a «tradurre» un consiglio comunale per i sordi, in diretta e in presenza. La stessa scena che, per mesi, i veneti hanno visto nel corso delle dirette dalla sede della Protezione civile di Marghera al servizio di uno dei riti di «democrazia quotidiana» nei mesi della pandemia. E lo ha fatto da Thiene, per volere della nuova amministrazione comunale, che si insediava proprio quel giorno. Una sfida per una giovane di 26 anni laureata alla Ca’ Foscari e che si definisce ancora «interprete in formazione». «Mi manca un mese per finire il master», precisa. Giulia Pasin ha mosso i suoi primi passi nella professione nella sua città natale, Schio, prima approdare al municipio di piazza Ferrarin.

Come è nata la passione per la lingua dei segni?
«È stata una scoperta quasi casuale, all’università. A differenza di altri che hanno intrapreso questo percorso, non avevo parenti né conoscenti sordi. A Venezia ho appreso che si poteva studiare questa lingua e così l’ho scelta accanto a inglese e spagnolo».

Fare da interprete a un consiglio comunale dev’essere particolarmente dura… com’è andata?
«Finora ne ho seguiti due, quello di insediamento e il primo vero e proprio dell’amministrazione Michelusi (Giampi, il neosindaco, ndr). È stata una bella esperienza, che ha dato un grosso segnale di apertura».

C’erano persone non udenti a seguire?
«Chi si trova in queste condizioni preferisce usare la parola “sordo”. In ogni caso no, ma spero parteciperanno presto».

Le prime sedute di insediamento sono programmatiche e poco tecniche. È preoccupata per quando si inizierà a parlare di bilancio, urbanistica…
«Fa parte del lavoro. Come tutti gli interpreti, nel limite del possibile cerco di prepararmi prima, se c’è un discorso scritto me lo faccio consegnare, mi informo sui temi che saranno toccati, in modo da affrontare al meglio i fuori programma».

Ce ne sono già stati?
«Nel corso dell’ultimo consiglio c’è stato un alterco. Naturalmente ho tradotto anche quello».

Non mancano mai in ogni amministrazione le sedute – fiume. Cosa succederà nei consigli che dureranno ore ed ore?
«In questi casi, di norma, si provvede a fare un tandem con un altro interprete».

Negli ultimi anni, la figura dell’interprete Lis è diventata più familiare, grazie anche all’impiego di professionisti di questo tipo nell’emergenza pandemica. È cambiata la sensibilità?
«Sicuramente c’è molto interesse. Lo si vede anche nei corsi di Lis organizzati sul territorio: io insegno in un progetto avviato da una libreria di Magrè e i partecipanti non mancano».

Cosa consiglia a una persona che vuole fare dell’interpretariato nella lingua dei segni italiana la sua professione?
«Oltre a Venezia è possibile fare un corso specifico alla Sapienza di Roma, dove è stato di recente istituito un corso interamente in lingua dei segni. Poi si può proseguire la propria formazione in enti specifici pubblici o privati».

È un bel lavoro?
«Io mi sono innamorata di questa lingua dopo la prima lezione. Credo possa essere così anche per altri».

 

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