Per Matilde Lauria, 54 anni, judoka sordocieca seguita dalla Sede Territoriale di Napoli della Lega del Filo d’Oro, la qualificazione alle paralimpiadi di Tokyo 2020 aveva già rappresentato la vittoria più importante.

Un sogno che si materializzava dopo tanti anni di combattimento, non solo sul tatami, ma soprattutto nella vita quotidiana. Perché Matilde è diventata ipovedente all’età di tre anni a causa di una miopia maligna che, negli anni, è peggiorata così tanto da lasciarle intorno solo il buio. Le sfide di Matilde, però, non erano destinate a finire e dopo la vista ha iniziato a perdere anche l’udito: “mi sono adattata alla cecità, ma perdere l’udito per me è stato molto difficile”, ammette. Nonostante gli ostacoli imposti dalla sua disabilità sensoriale, questa donna inarrestabile non si è mai arresa. Matilde è diventata mamma di Paola, Marco e Gabriele, sin da piccola si è distinta nello sport fino a diventare insegnante di judo per bambini non vedenti e oggi è atleta paralimpica riconosciuta a livello globale.

“Dopo tutta la fatica per imparare a vivere nel buio ho iniziato a perdere anche l’udito. Alla cecità mi sono rassegnata, ma alla sordità proprio no”, ha raccontato commossa. “Abbassare il volume della vita è innaturale, insopportabile. Ora indosso le protesi, ma i medici mi hanno preannunciato che in futuro potrei perdere definitivamente l’udito. Le ombre che si muovono nel buio rischiano di diventare minacciose se non posso sentire il rumore dei passi ed è questo l’ostacolo più grande che affronto nelle gare e nella vita. Per questo ho imparato, grazie al supporto della Lega del Filo d’Oro, la LIS tattile, la dattilologia e il sistema Malossi e con l’aiuto di un volontario sto perfezionando l’uso del Braille per comunicare con i miei figli e con il mondo che mi circonda”.

Matilde ha iniziato a praticare l’arte marziale del judo circa 20 anni fa grazie a suo figlio Marco e al suo maestro, ma sin da bambina il padre le ha trasmesso l’amore per lo sport, spronandola a credere con determinazione in se stessa e nelle sue potenzialità. “Le mie vittorie, le mie medaglie e i miei allievi sono la rivincita di una vita faticosa, la vita di una donna che non si è mai arresa. Il judo mi ha dato tanto, il contatto diretto con l’avversario, l’equilibrio, il portamento, ma quello che amo di più di questa disciplina è che mi ha permesso di ottenere una rivincita nei confronti della società: perché è il pregiudizio degli altri a renderci disabili, non lo siamo noi”. Inoltre Matilde è andata alle paralimpiadi di Tokyo per dimostrare ai tanti bambini che allena che anche con delle disabilità si possono fare grandi cose.

Nel 2016, quando alla cecità è subentrata anche la perdita parziale dell’udito, Matilde ha deciso di rivolgersi alla Lega del Filo d’Oro, che è diventata per lei una seconda famiglia. Ogni anno, accanto ai tanti bambini che arrivano al Centro Nazionale di Osimo per una valutazione, ci sono anche persone adulte come lei, colpite da malattie degenerative che determinano l’insorgere della sordocecità, oppure anziani reduci da ischemie, incapaci di esprimersi. Come accade per i più piccoli, anche con gli adulti l’equipe multidisciplinare della “Lega”, dopo la diagnosi, inizia a lavorare su un percorso personalizzato, che poi viene portato avanti grazie alle Sedi Territoriali, dove operatori e volontari non lasciano mai solo chi ha bisogno di aiuto, anche nella tutela dei propri diritti.

Matilde Lauria per tutti noi ha fatto la storia, perché non ha soltanto combattuto contro le proprie avversarie nella più importante competizione sportiva esistente, ma si è messa in gioco affrontando con rara determinazione ed incredibile coraggio la sfida contro il buio e il silenzio imposta dalla sordocecità – sostengono alla Lega del Filo d’Oro – Questa donna dalla forza straordinaria è un esempio per tutte le persone che non vedono e non sentono e la sua eccezionale impresa alle paralimpiadi di Tokyo 2020 ci rende orgogliosi del lavoro che da oltre 56 anni portiamo avanti a sostegno delle persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali”.

Ma come per tutte le persone sordocieche, che a causa della minorazione sensoriale utilizzano prevalentemente il tatto per comunicare e conoscere l’ambiente circostante, anche per Matilde le misure di lockdown e il distanziamento sociale imposto per contenere la pandemia da Covid 19 hanno rappresentato l’ennesimo, enorme ostacolo. La chiusura delle palestre le ha inoltre impedito di allenarsi, ma anche in questa difficile circostanza Matilde non si è persa d’animo e non appena è stato possibile uscire all’aria aperta ha ripreso gli allenamenti con ciò che aveva a disposizione, in mezzo alla natura. Resilienza, per lei, significa: “rialzarsi a nome di tutte le persone che, come me, hanno difficoltà multisensoriali, non mollare mai e andare avanti”.

Dopo la carriera sportiva, infatti, Matilde vuole dedicarsi completamente ad insegnare judo a bambini e ragazzi con la sua stessa disabilità e con disabilità multiple. Per lei essere un modello, un esempio da seguire per chi affronta le sue stesse sfide è più importante di un podio e di qualsiasi medaglia.

Il judo, che non ha abbandonato grazie anche al sostegno ricevuto dalla Lega del Filo d’Oro, le ha permesso di sentirsi pienamente viva, uguale agli altri, donandole una grande occasione di riscatto, che l’ha condotta fino alle paralimpiadi di Tokyo 2020, dove si è classificata settima nella categoria -70 kg, arrivando da 19esima del ranking, la seconda nella categoria B1, cioè “un atleta che non percepisce la luce in nessuno dei due occhi o che la percepisce ma non è in grado di riconoscere la forma di una mano”. Matilde, infatti, è l’unica atleta sordocieca ad aver gareggiato nel judo alle paralimpiadi, senza poter usufruire dell’apparecchio acustico durante i combattimenti. È stata un’impresa, ma grazie al sostegno di chi ha sempre creduto in lei e nelle sue capacità residue, è riuscita a combattere contro il buio e il silenzio, sconfiggendo innanzitutto l’avversario più temibile di tutti: se stessa e le sue paure.

 

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