Come lavora un interprete in lingua italiana dei segni?

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Guardando in tv le dichiarazioni di voto al Governo Draghi tradotte in simultanea in lingua dei segni l’interprete mi dava idea di fare una fatica immane.

Certi oratori parlavano troppo velocemente. Penso che chiunque traduca da un idioma all’altro faccia la sua fatica, ma se gli oratori rispettassero chi non sente contenendo la velocità dell’eloquio non sarebbe tutto più facile?

di 

Ho chiesto a un interprete.

Ho scelto Mita Graziano: interprete della lingua italiana dei segni (lis), assistente alla comunicazione specializzata e formatrice. L’avevo conosciuta al festival delle Abilità, dove le avevo fatto rapide domande a illustrare la professione. Dovendo reggere il microfono aveva avuto bisogno a sua volta di un interprete. Particolari che non sempre ci pensi.

 

Mita mi scioglie subito un dubbio sulla velocità dell’oratore:

«I tempi del parlato se accelerati sono sicuramente più complicati da tradurre, ma ci sono complessità che vanno risolte con più urgenza».

Quindi mi fa un esempio pratico:

«L’emergenza Covid-19 ha portato il presidente del Consiglio Conte a chiamare un interprete lis. Bene, l’interprete c’era ma il ritaglio dello schermo a lei dedicato era un rettangolino piccolo, tanto che su Canale 5 veniva coperto dal logo dell’emittente, oscurando di fatto le mani e il volto della collega. I sordi hanno protestato ma solo dopo sei mesi il disguido è stato corretto. Così alcuni sordi non seguivano in tv ma sui social, facendo lo zoom dello schermo. Ciononostante molti sono stati tagliati fuori da comunicazioni importanti, venendone a conoscenza dopo. Sicuramente Conte è stato il primo Presidente a mettersi di fianco un interprete – l’Italia non poteva sfigurare con tutti gli altri in Europa che da anni ne sono affiancati – ma resta un servizio mal reso e non certo per colpa dell’interprete».

Dovrei prendermela a questo punto con la nostra Italia squinternata che sa fare le cose meglio di tutti solo quando ha voglia, ma passo la mano e torno a far parlare Mita:

«Un interprete della lingua italiana dei segni per garantire la migliore qualità possibile nell’interpretazione simultanea ha bisogno di queste condizioni:

– conoscere il luogo in cui avverrà la traduzione, anche se si parla di uno studio televisivo;

– conoscere l’argomento che si affronterà, ovvero ricevere materiale informativo il prima possibile per inquadrare termini chiave, valutare argomenti da approfondire e individuare nuovi termini da apprendere;

– conoscere il testo, in modo da poterne cogliere il senso comunicativo;

– conoscere chi parlerà, anche per essere preparati rispetto al tono e alla prossemica».

Ma le raccomandazioni di questa giovane professionista non finiscono qui:

«Ultima premessa, ma non meno importante, è il mancato riconoscimento della nostra Lingua dei segni italiana da parte dello Stato. Siamo gli ultimi in Europa a non avere approvato la legge che riconosca la lingua dei segni e tuteli la minoranza linguistica dei sordi. Sono quattordici anni che la legge rimbalza fra Camera e Senato e ogni anno prendiamo una multa di milioni di euro dalla Comunità Europea poiché nel 2009 l’Italia ha ratificato la convenzione Onu sui diritti per le persone con disabilità cui non ha fatto seguire le disposizioni sul riconoscimento della lingua dei segni».

Adesso le mie idee sono più chiare, anche se Mita tiene a puntualizzare:

«Come puoi intuire tutto quanto detto finora ha conseguenze a vari livelli, compreso quello che hai visto tu in tv. L’interprete non aveva avuto prima il materiale, non conosceva i relatori e non c’era attenzione per la lingua italiana dei segni. Ovviamente gli interpreti anche senza materiale e senza conoscere chi parla fanno del loro meglio, ma le omissioni inevitabilmente aumentano. L’alleanza fra relatore e interprete è ciò che manca. Preoccuparsi della nostra professione ad alcuni potrebbe pesare, ma è come mandare un muratore a costruire senza tutti gli strumenti. Sicuramente una casa te la tira su, ma con molta più fatica e con tempi più lunghi».

Questa chiacchierata ci voleva proprio. Mi resta un dubbio: perché gli interpreti sono prevalentemente di sesso femminile? A questo neppure Mita mi ha saputo dare risposta.

 

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