Le parole tradotte nella lingua dei segni si trasformano in una danza, in cui l’intenzione traspare dalle mani, dall’energia, dall’espressione del volto. «I sordi sono come l’acqua frizzante – spiega Elisabetta Maio, sorda ed esperta di Lis – se agiti la bottiglia e poi la apri all’improvviso esplode, e così succede a loro, come se dovessero continuamente tenere compresso nell’anima il bisogno di comunicare».
Il nostro incontro avviene alla presenza di una giovane interprete, Jessica Bennato, che Elisabetta ci presenta con una punta d’orgoglio, perché è stata sua allieva. Non è una scelta casuale, perché così può esprimersi nel modo che le è più consono, usando le mani e insieme farci capire la potenza e l’importanza di una lingua visiva-gestuale, offrendo alla sua narrazione la profondità, l’incisività e le sfumature che desidera. Elisabetta Maio si sta impegnando perché questa possibilità sia estesa a tutti coloro che hanno una disabilità uditiva, per questo ha dato vita al progetto ConosciLIS®, che dal luglio scorso è diventato un’Organizzazione di volontariato (Odv) vera e propria.
La ribellione dopo l’infanzia
È come se ci fossero due mondi, continua Elisabetta, e gli «udenti» per immergersi in quello dei sordi «devono indossare la loro attrezzatura da sub, come se sprofondassero in un abisso sconosciuto. Spesso chi accetta di compiere questo passo ne resta affascinato, e fatica a tornare nel mondo di prima, a riaffiorare in superficie».
Il percorso per lei non è stato lineare né semplice. Il gene della sordità arriva dalla famiglia paterna, originaria della Sicilia, mentre non è presente in quella della madre, con ascendenze austriache. «Quando avevo pochi mesi – racconta Elisabetta – ci trovavamo a Milazzo. Mia zia, che allora era una ragazzina, lavando i piatti in cucina li ha rotti tutti, facendo un fracasso terribile, mentre io ero nella mia culla a dormire e non ho fatto una piega. I miei genitori si sono sorpresi, pensavano che stessi male, sono venuti a prendermi in braccio, ma io semplicemente stavo dormendo, ho aperto gli occhi e così si sono resi conto che c’era qualcosa che non andava in me. Dopo due giorni e una serie di esami hanno scoperto che ero sorda. Per loro all’inizio è stato uno choc, ci è voluto tempo perché riuscissero ad accettarlo, e forse non ci sono ancora riusciti completamente». I suoi genitori all’inizio non volevano che usasse la lingua dei segni, l’hanno portata da specialisti e in diversi istituti, perché potesse imparare a parlare. Elisabetta, che ancora oggi cova nello sguardo e nel sorriso uno scintillio ribelle, non era una ragazza tranquilla: «Ero un po’ monella, ci tenevo alla mia libertà, e sono scappata due volte di casa. Non volevo fare torto alla mia famiglia, soltanto trascorrere più tempo con una famiglia di amici sordi, perché con loro mi sentivo a mio agio e mi potevo esprimere come volevo». La mamma e la nonna amavano moltissimo la musica: «Mia nonna ha recitato nella prima versione del film “Tutti insieme appassionatamente”, nella parte di una suora, e accoglieva nel suo bed and breakfast in Austria, una villa immersa nel verde, personaggi del calibro di Pavarotti, Carreras, Domingo, Muti e Von Karajan». Così lei, ancora bambina, ha incominciato a capire grazie a questi incontri straordinari che cosa fosse il suono di uno strumento, appoggiando i piedi sul pianoforte, assaporandone le vibrazioni. Poco più tardi ha imparato anche a suonare, fidandosi degli spartiti e del suo istinto.
Il lavoro e la famiglia
«Per noi sordi, però, la melodia e il rumore del mondo si nascondono nelle immagini, negli sguardi, per questo siamo osservatori così attenti. A me capita che qualcuno a volte si senta a disagio, mi chieda perché lo sto guardando, e io gli spiego che è il mio modo per conoscere e comprendere la realtà che mi circonda». Elisabetta ha talento per il disegno, ha seguito dei corsi per diventare stilista, ha lavorato per il Gruppo La Perla: «Mi dava soddisfazione, mi sentivo apprezzata, ma allo stesso tempo mi mancava sempre qualcosa». Ha avuto due figli, entrambi sordi come lei, che ora hanno 26 e 29 anni ed è proprio affiancandosi a loro nella crescita che ha scoperto la sua vera vocazione, affrontando per la prima volta la sfida di insegnare la lingua dei segni, portandola nelle aule scolastiche: «Ho incominciato con i piccoli del nido, poi con la scuola materna, e via via fino all’università». Non è stato per lei un percorso facile, le ha richiesto molte energie: «Ho vissuto anche un periodo di esaurimento perché nonostante tutti gli sforzi non riuscivo a inserirmi nel mondo come avrei voluto. Portavo i miei figli a scuola e a logopedia, ma in famiglia ci sono state malattie e relazioni faticose che mi hanno sfinito, portandomi a una crisi gravissima. Ci sono voluti tempo e l’aiuto di una terapia psicologica per riuscire a riprendermi, a recuperare l’autonomia, a tornare quella di sempre».
Saper comunicare
Secondo il filosofo francese Henri Bergson «La comunicazione avviene quando, oltre al messaggio, passa anche un supplemento di anima». Elisabetta lo dice a modo suo: «Tante persone sanno parlare ma non sanno comunicare. Pensano che sia la stessa cosa, invece non è così. Quando mi chiedono perché io rispondo con un gioco di parole: non sono brutta, non sono bella, sono Betta». Dalle sue difficoltà ha attinto nuovo slancio per dedicarsi al suo sogno, quello di creare un ponte tra udenti e sordi, che permetta a ognuno di esprimere i propri talenti ma anche, semplicemente, di conquistare serenità e di vivere bene gli impegni quotidiani: «Sono arrivata a Bergamo nel 2008, mi sono innamorata della città, ho deciso di trasferirmi, e ho ricominciato a insegnare la lingua dei segni qui, a Brescia, a Milano e a Parma. Nel frattempo ho traslocato a Cene dove ora abito con mio marito. Nel 2018, però, ho smesso di insegnare e mi sono dedicata all’associazionismo, al volontariato e alla sensibilizzazione sulla condizione dei sordi».
Fa parte di molti club e associazioni: Lions Club Bergamo Le Mura, con cui sta lavorando ad alcuni progetti, è socia Armr (Aiuti per la ricerca sulle malattie rare), socia Aribi, socia volontaria dell’Unicef Bergamo, socia Cabss (Centro di assistenza di bambini sordi e sordociechi), fa parte anche di Atena, associazione di genitori che si dedica al disagio giovanile, è membro di Wfd (World Federation of the Deaf, Federazione Mondiale dei Sordi) e di Ida (International Disability Alliance, diritti umani dei disabili/sordi). È entrata nel Consiglio delle donne del Comune di Bergamo dove porta in particolare le istanze delle persone con disabilità uditiva: «La condizione femminile è particolarmente difficile perché comporta, come ho provato sulla mia pelle, un impegno ancora più tenace per conquistare l’autonomia, molte donne sorde devono uscire sempre accompagnate, non lo trovo giusto». Da anni coltiva anche un impegno politico, alle ultime elezioni comunali si è candidata: «È stata un’esperienza molto bella, anche se non sono stata eletta».
Nella nostra città, spiega Elisabetta, servirebbero più volontari per garantire un più largo accesso alla lingua dei segni: «Ci sono gli interpreti, che però sono figure professionali, e c’è l’Ens, l’Ente nazionale Sordi, che tutela i diritti fondamentali. Con ConosciLIS® ci poniamo però un obiettivo diverso. Abbiamo creato un gruppo di persone che unisce diverse competenze: psicologi, pedagogisti e medici, per facilitare la comunicazione, e intendiamo raccogliere fondi per avviare progetti mirati. A me piacciono le differenze, bisogna valorizzarle: altrimenti è come se a tavola imponessero alle persone di usare tutte lo stesso olio o lo stesso tipo di pane. Ci sono tanti tipi di “ingredienti”, ognuno ha le proprie preferenze e bisogna rispettarle. Ognuno condisce a modo proprio ma la tavola è di tutti».
La lingua dei segni
«Oggi nonostante le nuove tecnologie capita ancora che le persone sorde non possano muoversi da sole neppure per una visita in ospedale, perché hanno bisogno di un interprete. Paradossalmente in passato gli “istituti speciali per sordi”, che con l’integrazione scolastica sono gradualmente scomparsi, facevano circolare maggiori abilità, conoscenze, sensibilità sulla nostra condizione, che oggi non ci sono più. È difficile trovare volontari disposti ad accompagnarci, non ce ne sono abbastanza. Noi per ora siamo un piccolo gruppo e cerchiamo persone, di qualunque età e professione, che accettino di dedicare un po’ di tempo e di aiuto, che acquisiscano le basi di Lis per poter essere certificati come “volontari competenti” e metterle a servizio di tutti. Un’operazione di questo tipo non è utile soltanto ai sordi, abbiamo visto che può essere messa anche a servizio di chi, per esempio, non può parlare, e ancora può migliorare la vita di persone con diverse disabilità, per esempio con autismo e sindrome di Down, perfino degli anziani che stanno perdendo l’udito a causa dell’età o malattie».
L’incontro tra i due mondi
I volontari di ConosciLIS® potrebbero, per esempio, aiutarli a mettere a punto tecniche di comunicazione appropriate: «A volte – chiarisce Elisabetta – si possono risolvere problemi apparentemente insormontabili in modo semplice, come installare in casa un campanello luminoso. Ci piacerebbe anche poter aiutare i genitori di bambini sordi che magari non hanno gli strumenti necessari. È soprattutto questo che ci preme, facilitare la vita quotidiana delle persone».
Sarebbe bello, osserva Elisabetta, che si moltiplicassero i punti di contatto tra i due mondi, che fossero di più i «sub» disposti a immergersi tra i sordi, «perché non siamo malati, siamo soltanto diversi, può essere appassionante trovare nuove strade per imparare a capirsi, superando difficoltà e pregiudizi».
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