Festival del silenzio, la lingua dei segni per ritrovarsi nel mondo

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In cosa consiste un accesso equo alla cultura? La domanda è l’interrogativo che vibra, prioritario, in una manifestazione che sul tema della comunicazione e del confronto tra diversità linguistiche e performative porta avanti dall’anno scorso una riflessione estetica, politica e sociale.

Riccardo Oliver, Rita Mazza, Cesare Benedetti © Foto di Andrea Nucifora

È il Festival del Silenzio, la cui seconda edizione, dopo il successo ottenuto nella prima nel 2018, si terrà alla Fabbrica del Vapore di Milano dal 2 al 5 maggio. A promuovere il progetto, quest’anno connesso anche con Ietm, network mondiale che opera sulle performing arts come strumento di cambiamento e coesione sociale, è la compagnia milanese Fattoria Vittadini, residente alla stessa Fabbrica del Vapore a Spazio Fattora, con l’apporto decisivo dell’attrice segnante Rita Mazza, direttrice artistica del Festival.

L’incontro con Rita Mazza è un’esperienza di comunicazione tra la nostra lingua parlata e quella dei Segni, lingua presente in vari momenti del festival e abbracciata come scelta identitaria da molte persone sorde: una lingua a tutti gli effetti che in Italia, unico paese d’Europa, manca ancora di un riconoscimento giuridico ufficiale.

Il 28 febbraio scorso il riconoscimento della Lis (Lingua italiana dei segni) è entrato in un disegno di legge che riguarda la disabilità. Qual è la situazione oggi in Italia?
Chi nasce in Italia e usa la Lingua dei segni, conosce l’italiano vocale, quello scritto e la Lingua italiana dei segni, che è al pari delle altre due, ma trovandosi a usare una lingua non ufficialmente riconosciuta, deve affrontare parecchie difficoltà nella vita personale e nelle relazioni sociali. Pensiamo a una situazione d’emergenza, all’arrivo in un ospedale, dove per avere accesso a tutte le informazioni, bisogna pagare di tasca propria un servizio necessario. Ma riflettiamo anche sulla formazione. Una persona che volesse diventare un attore, un performer, come può partecipare a un corso se non è garantito un servizio di interpretariato? L’incontro a Berlino con Cesare Benedetti e Riccardo Olivier di Fattoria Vittadini è stato uno scambio ricco da cui è nata l’idea di un festival che sostenesse la Lingua dei segni e stimolasse gli artisti ad aprire le loro menti verso la proposta di spettacoli che usassero più lingue, in cui diverse arti si integrassero. Un festival che offrisse anche a chi ha difficoltà nelle relazioni la possibilità di sperimentare soluzioni utili al superamento delle barriere.

Cosa significherebbe per chi è un nativo segnante, o comunque ha scelto la Lis per comunicare, il riconoscimento giuridico?
La differenza rispetto a oggi sarebbe enorme. Se la lingua non è riconosciuta, non lo è nemmeno il suo status di lingua al pari delle altre. Parlo della mia esperienza: io sono cresciuta utilizzando la Lingua dei segni come prima lingua, nella mia famiglia tutti la usavano, con loro ho trovato la mia forma di comunicazione. La Lis mi ha dato un’identità, mi ha offerto la possibilità di costruire un carattere. Se non è riconosciuta, la persona che la usa fa più fatica a immaginarsi un modello adulto, a costruirsi una vita nel quotidiano, a vedersi nel mondo. Il riconoscimento della Lingua dei segni non significa che tutte le persone sorde debbano usarla. È un’opportunità. Purtroppo, in Italia, la sordità è vista soltanto come una mancanza. Un punto di vista medico che non mi faceva sentire orgogliosa della mia peculiarità. So che bisognava usare le protesi, ho fatto un percorso di logopedia, mi sentivo emarginata, poi verso i 13 anni ho scoperto la Lingua dei segni, ho smesso di usare le protesi, la consapevolezza di me è cresciuta, ho trovato la mia identità. Quando ho cominciato a intraprendere il mio percorso artistico in Italia mi sono però accorta che avevo poche possibilità: ho fatto una ricerca negli altri paesi per capire se c’era un accesso più integrato a un percorso professionale. Mi sono trasferita a Berlino e ho trovato quello che cercavo, il mio cuore è rimasto lì.

Qual è l’obbiettivo principale del festival dunque?
In Italia dobbiamo imparare a aprirci, a non avere stereotipi: il nostro festival ha come intento quello di rispettare e portare alla luce tutti i canali espressivi, presentando una varietà di arti, espressioni e lingue. Una sfida che propone la diversità come arricchimento.

SCHEDA

Il Festival del Silenzio, II edizione, propone dal 2 al 5 maggio alla Fabbrica del Vapore di Milano un focus sull’accesso di lingua e comunicazione. Grazie alla connessione con il network Ietm, in programma discussioni, incontri, spettacoli, workshop sul tema «Barriere di lingua e comunicazione nelle performing arts». Molte le aree tematiche: la categoria «Bodies è focalizzata sulla danza, tra gli ospiti il vietnamita Dam Van Huynh con il suo omaggio alla meraviglia e Chiara Bersani con «Gentle unicorn». Contemporaneo a Zona K con «Fragile» e «Female» del collettivo Fragile Artists. Torna la felice esperienza di coreografia tattile «Mim – The Medium is the Massage» di Jacques André Dupont. Alla Lis si lega la serata «Visual Sign Performances» per scoprire lo storytelling, il visual vernacular e altre forme della cultura sorda segnante. In programma anche l’Inferno con «Dante in Visual Art» con Filippo Calcagno, progetti per bambini, film con Cinedeaf. Info sul sito: www.festivaldelsilenzio.com

https://ilmanifesto.it/

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