Quando aveva sei mesi Lorenzo dormiva beatamente nella culla in cucina. “Ci fu un cedimento improvviso di un mobile e tutte le pentole vennero giù. Non mi accorsi di nulla. Fu lì che i miei genitori capirono che avevo qualche problema”. Lorenzo Nizzi Vassalle, 24 anni, è sordo dalla nascita, ha vissuto “un’infanzia difficile” e dopo aver lottato con amici, studenti, professori, medici e infermieri (“in Italia la Lis, la lingua dei segni, non è ancora riconosciuta ufficialmente, quindi per noi sordi è un casino”) si è laureato alla facoltà di Lettere Moderne di Pisa con una tesi sulle difficoltà che i non udenti devono affrontare nella loro vita. Ed è stato il primo studente sordo nell’università toscana a laurearsi col massimo dei voti. “Quando ho visto le mani agitate a mo’ di applauso è stata un’emozione. Ma la battaglia è solo all’inizio”.
Il 3 ottobre del 2017 per la prima volta il Senato ha approvato il disegno di legge sul riconoscimento della Lingua dei segni italiana. Poi il testo è passato alla Camera, dove ancora giace. E l’Italia è una delle poche nazioni che non riconosce ufficialmente la Lis come lingua. Purtroppo la “sordità è invisibile – racconta Lorenzo – e del mondo dei sordi c’è stata poca diffusione delle informazioni. Il nostro difetto è che veniamo visti come normodotati, ma se andiamo a scavare a fondo, dobbiamo lottare in continuazione per vivere nella quotidianità”. Un esempio? “Quello che sembra semplice per un udente, per noi diventa una fatica triplicata. Prima di Facebook e WhatsApp eravamo costretti a chiedere aiuto ad amici e parenti anche solo per prenotare un tavolo al ristorante”.
Lorenzo è stato costretto ad imparare le singole parole in modo meccanico, associandone ognuna a immagini e foto scattate dai genitori. “È stato un lavoro molto lungo, pesante e ripetitivo: non avendo stimoli uditivi spesso dovevo ripetere il processo”. Ed è andata avanti così per circa 14 anni. “A scuola ho sempre lottato per essere al pari dei miei compagni; spesso non ci riuscivo, parlavano di cose sentite e viste la sera prima alla televisione”.
Per Lorenzo è stato un calvario seguire le parole del professore e prendere semplicemente appunti. Così, dopo il liceo, solo al secondo anno di università a Pisa l’ufficio servizi di integrazione disabili, lo ha dotato di un computer con un programma per la traduzione simultanea. “Sono stato il primo ad utilizzare questo sistema e a segnalarne così le anomalie: è stato un grande passo in avanti”. Solo uno dei primi, però.
L’idea di andare all’estero, ad essere sinceri, è arrivata. “Fino a poco tempo fa non avrei mai pensato di andare via dall’Italia, anche solo per l’Erasmus, perché mi sentivo un po’ impaurito dalla difficoltà di riuscire ad apprendere una nuova lingua”. Con l’italiano è tutto molto più facile: lo scritto è uguale alla pronuncia mente l’inglese è praticamente l’opposto. Da quando Lorenzo ha lasciato Lucca per spostarsi a Milano – dove segue un corso di oreficeria, la sua passione personale, alla Scuola Orafa Ambrosiana – ha considerato anche quest’idea: “Ora vivo da solo, seguo i corsi e mi sento pronto anche a spostarmi”.
Il rapporto con l’Italia per le persone sorde è fatto di tantissime difficoltà. Senza assistenza è difficile, ad esempio, andare a un museo o a una mostra, dove spesso si organizzano gruppi e ci si porta un’interprete per capire meglio, dividendo il prezzo. Per non parlare degli ospedali, dove spesso non è fornito il servizio di interpretariato e tanti sordi non riescono neanche a comunicare con il dottore. Per fortuna esistono delle applicazioni che possono aiutare: “Non essendo riconosciuta la Lis il dottore o gli infermieri non sono tenuti ad apprenderla”.
L’obiettivo per il futuro per Lorenzo è continuare su questa strada, coltivare le proprie passioni e avere la consapevolezza che la vita ti riserva sempre delle sorprese. “Di sicuro continuerò la mia battaglia per i diritti delle persone sorde. Spero che venga riconosciuta la Lis che permetterebbe alla persona di sentirsi più integrata nella società e non più isolata. Perché, conclude, “esistiamo anche noi, anche se non siamo ancora riconosciuti”.
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