L’interprete sordo: intervista a Riccardo Ferracuti

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“Che importanza ha la sordità dell’orecchio, quando la mente sente. L’unica vera sordità, l’incurabile sordità, è quella della mente.” (Victor Hugo, 1845)

Riccardo Ferracuti è tra gli interpreti sordi italiani più qualificati. Lo ringrazio per aver accettato di rispondere alle mie domande ed essersi dimostrato sempre disponibile. Mi pare doveroso ringraziare anche Anna Maria Peruzzi, interprete LIS, per aver curato la traduzione in italiano e aver reso accessibile l’intervista a chi non ha la fortuna di conoscere la LIS.

L’intervista consta di sei domande e verrà suddivisa in più parti per consentire ai lettori di godere appieno delle varie fasi che la compongono. Ciascuna risposta sarà accompagnata dal link che rimanda al video in Lingua dei Segni Italiana seguito dalla trascrizione. Si precisa che il testo è stato volutamente rielaborato in favore di una maggiore scorrevolezza, senza tuttavia inficiare i contenuti e l’intento comunicativo veicolati dal segnante. Non si tratta dunque di una traduzione letterale. Propongo qui di seguito la prima parte:

1) Chi è Riccardo Ferracuti e qual è il suo background?

https://youtu.be/6BdC8Siz164 (video in LIS)

Salve, mi chiamo Riccardo Ferracuti. Alcuni mi conoscono, altri no. Bene, adesso spiego un po’ chi sono e qualcosa del mio background. In famiglia siamo tutti sordi, sono cresciuto comunicando con la Lingua dei Segni, la mia prima lingua. Nel tempo sono stato obbligato a imparare l’italiano perché a scuola si studia, si legge, si scrive tutto in italiano e questo è stato per me uno sforzo notevole. Se non fossi stato obbligato, avrei usato sicuramente la Lingua dei Segni. La mia prima scuola è stata l’Istituto Smaldone di Roma ma in quel periodo mi ammalavo spessissimo. In seguito mia madre ha scoperto che ciò era riconducibile alla protesi acustica che avevo l’obbligo di portare e che mi procurava infezioni all’orecchio. Quindi mi ha ritirato da questo istituto e mi ha mandato all’istituto Gualandi ma lì, secondo mia madre, la scuola non offriva molto così mi ha portato all’Antonio Provolo di Verona. Non stavo proprio a Verona città bensì a Chievo, vicino Verona, perché a Verona c’era un’altra sezione sempre del Provolo. Finita la scuola media non sapevo se andare all’istituto Antonio Magarotto di Roma o di Padova. Ho scelto Padova. Ho fatto cinque anni di scuola superiore, indirizzo Ragioneria. Finiti gli studi sono tornato a Roma e non trovando lavoro ho deciso di frequentare l’Università, nello specifico la facoltà di Ingegneria informatica. Ero convinto fosse collegata agli studi precedentemente intrapresi. In realtà non era vero perché a ragioneria si studia contabilità mentre a Ingegneria informatica tutto ciò che riguarda i computer. Chissà perché avessi questa idea. Mi sono iscritto comunque al corso di Ingegneria informatica previo superamento di un test di ingresso in quanto facoltà a numero chiuso. Eravamo in 8000 per 2500 posti. Sono arrivato 1235esimo. Ero molto contento, ho iniziato a frequentare ma sono sorti subito dei problemi perché l’Università mi garantiva il servizio di interpretariato soltanto per 9 ore mentre la frequenza obbligatoria era di 15. Non potevo frequentare senza l’interprete. Ho dovuto così rinunciare a questo corso. Ho pensato di iscrivermi a Sociologia perché tra le materie di studio c’era anche Antropologia. Purtroppo però non mi interessava e ho cambiato di nuovo passando a Lettere e Filosofia, incuriosito dalla Filologia. Mi interessava scoprire la trasformazione della lingua, i vari passaggi, pensando di trovare un collegamento con la Lingua dei Segni che si è rivelato inesistente. Ormai però avevo fatto tanti esami così ho continuato. Nel frattempo attraverso un amico ho saputo della Gallaudet, un’Università americana, allora mi sono messo sotto a studiare e ho preso 110 e lode. Appena laureato ho preparato di corsa le valigie, ho lasciato il lavoro che già avevo, ho salutato amici e mamma e me ne sono andato. Non mi sono preparato a questa nuova esperienza, sono partito all’improvviso. Avevo 32 anni, ero già vecchietto insomma, per me non era facile un nuovo inserimento. Per esempio ho dovuto fare i conti anche con la cultura americana. Mi sono trovato a coabitare con quattro o cinque persone che non conoscevo, mentre a Roma avevo il mio appartamento dove vivevo da solo. Poi anche il cibo, insomma tante altre cose che però ho cercato di superare. E così è stato. Per due anni e mezzo mi sono formato come interprete. Il primo anno non conoscevo né la ASL (Lingua dei Segni Americana) né la lingua inglese però mi sono impegnato molto e ho superato tutti gli esami. In confronto agli altri studenti americani devo dire che prendevo sempre ottimi voti e questo mi riempiva di orgoglio. Nel 2008, una volta conseguito il titolo, ho risposto a un’offerta di lavoro e la mia candidatura è stata subito accolta. Pensavo di prendermi qualche giorno di vacanza e invece niente da fare perché ho cominciato subito a lavorare alla Gallaudet. Ero responsabile di tutte le classi dei corsi Interpreti, pensate che ultimamente le classi sono addirittura 250. Io mi occupavo di gestire gli orari delle lezioni, eventuali spostamenti e tutto questo risultava assai pesante. Ho voluto affrontare anche questa prova e in concomitanza sono diventato un libero professionista. Avevo già due lavori molto impegnativi quando il dipartimento dove mi sono laureato mi ha chiesto delle collaborazioni come docente. Devo dire che non sapevo più come fare ma è stata un’esperienza bellissima. Nel 2010 sono stato ammesso a un corso di dottorato di ricerca in Interpretazione. Lavoravo circa 80 ore a settimana e conciliare studio e lavoro è stata un’impresa titanica. Mi sembrava di impazzire. In quel periodo avevo acquistato un appartamento e per circa un anno mi sono dedicato più a quello. Successivamente ho ripreso gli studi e finalmente nel 2017 ho conseguito il dottorato. Alla fine ho buttato tutti i miei libri e gli appunti ma devo dire che è stata un’esperienza bellissima. A settembre del 2017 sono stato assunto in un’altra Università dove insegno tuttora ASL e Linguistica al corso Interpreti. Ora non so cosa mi riserverà il futuro, staremo a vedere.

di Michele Peretti
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