Grazie a un metodo innovativo e a istruttori formati a dovere, da settembre tanti giovani non udenti potranno salire in sella e imparare a cavalcare. Come Denise, che qui ci racconta la sua grande passione
«Ciao, sono Denise, ho 22 anni, adoro cavalcare e sono sorda. Non scrivere sordomuta: è un errore che voi giornalisti fate sempre», mi dice.
Ci troviamo nel maneggio dell’Idroscalo, «il mare dei milanesi», appena fuori città: Denise Cavallini è lì con vari istruttori di equitazione perché sta mettendo a punto le ultime fasi di InSegni a Cavallo, il primo progetto in Italia di avviamento all’equitazione per bambini e ragazzi non udenti.
Davvero è possibile che una persona che non sente, e che quindi non può avvertire i richiami degli istruttori, pratichi uno sport complesso e impegnativo come il cavallo? Denise ne è convinta e ACSI (Associazione di Cultura Sport e Tempo Libero), in collaborazione con Forum della solidarietà e l’U.O.C. Audiologia del Policlinico di Milano – e il sostegno di Fondazione Vodafone, che ha permesso di raddoppiare la cifra raccolta prima in un crowdfunding – hanno accettato la sfida.
In questi mesi, con un metodo innovativo messo a punto grazie ad esperti della lingua dei segni e ai suggerimenti di Denise, tutti i 12 centri equestri lombardi e un paio di in Toscana (ma siamo solo all’inizio: altri si aggiungeranno) avranno al loro interno figure professionali in grado di accogliere nei loro maneggi minori sordi
Da settembre poi per a sessantina di under 18 non udenti sarà offerta la possibilità di un tesserino di una ventina di lezioni gratuite. Un primo passo alla scoperta del magico modo dei cavalli per bambini e ragazzi cui lo sport è spesso precluso. Perché la disabilità dei sordi è «invisibile»: emerge con prepotenza non appena si entra in relazione con loro.
(Per realizzare questa intervista sono stata aiutata da Michela Locatelli, esperta e interprete della LIS, la lingua dei segni. Mi ha suggerito alcuni semplici accorgimenti, che vi elenco, perché tutti, senza bisogno di un intermediario, possiamo farci «ascoltare»da un sordo: meglio mettersi a una distanza di un metro e mezzo, mai stare troppo vicini, niente mani davanti alla bocca, le mani si possono invece usare per gesticolare in modo standard (ad esempio pollice up, oppure ok, i numeri, ecc). Non serve a nulla né urlare (si altera la nostra espressione e per un sordo è più difficile leggere il labiale) né scandire troppo lentamente le parole).
Denise, com’è nata la tua passione per i cavalli?
«Mi sono sempre piaciuti. I miei genitori non hanno mai posto dei limiti alle cose che potevo fare: ricordo con gioia il mio battesimo della sella. Non ho avuto mai paura, neanche per un momento, del cavallo».
I tuoi genitori sono sordi come te?
«Sì, siamo tutti e tre sordi dalla nascita: la nostra lingua è la lingua dei segni. Quando dico che siamo sordi e non sordomuti è perché ci tengo alla correttezza: io so di avere una voce».
Eppure…
«Sì, lo so che emetto qualche suono. Mi hanno detto che ho un timbro basso: penso che la mia voce sia brutta da ascoltare. Ma questo non significa che noi sordi non siamo in grado di articolare suoni e farci capire: non siamo mica stupidi».
Avverti spesso questa sensazione? Quella, intendo, di essere percepita come stupida?
(Sorride) «Eccome. Ho fatto scuole pubbliche, dalle elementari al liceo artistico, a Milano. Ero ovviamente aiutata da un insegnante di sostegno: quando sei un bambino non ci badi molto. Da ragazzina ero più arrabbiata: vedevo che le persone intorno a me che mi trattavano in modo diverso, mi sentivo osservata a lungo, specie per strada quando gesticolo per parlare. Solo crescendo ho capito che gran parte del lavoro spetta a me».
Quale lavoro?
«Dimostrare agli altri che siamo persone come tutti. Solo con una caratteristica diversa. Il progetto di equitazione che stiamo portando avanti parte proprio dalla mia passione per i cavalli e dalla mia concreta esperienza: finché sei piccolo trovi tanti progetti di ippoterapia per bambini disabili, ma quando cresci qual è quell’istruttore che si prende la responsabilità di farti saltare gli ostacoli sapendo che tu non puoi sentire le sue istruzioni? Per me è stato molto difficile. E per molti bambini e ragazzi sordi avvicinarsi allo sport è un’impresa: manca la formazione del personale».
Come avete fatto a insegnare la lingua dei segni agli istruttori?
«Non si tratta di insegnar loro la lingua: ci vorrebbero anni! Abbiamo creato in codice, un glossario minimo fatto di gesti, e un prontuario di comportamenti che favoriscono la comunicazione tra persone sorde e persone udenti. Lo abbiamo fatto insieme, udenti e non: il primo dei nostri traguardi è già stato raggiunto».