Carola Insolera: «Chi l’ha detto che la disabilità è un ostacolo per il successo?»

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Norvegese, sorda dalla nascita, è una modella di successo e sfila sulle passerelle più importanti del mondo

di Valeria Vantaggi

Carola Insolera parla con il marito e la figlia via Skype

Quando si fanno le interviste, si cerca sempre di incontrare la persona che si vuole intervistare. Meglio che parlarsi al telefono: guardarsi in faccia, vedere come gesticola chi si ha di fronte, cogliere quando distoglie lo sguardo, notare se si avvicina o se si allontana con il corpo, sono tutte informazioni importanti, che dicono più delle parole. Così quando ho saputo che con Carola Insolera ci saremmo potete vedere, beh, ero decisamente più contenta. «Lei ora abita a Milano, con tutta la famiglia».

Perfetto: appuntamento nel quartier generale di Microsoft, ultimo piano, ore 14 di una bella giornata di sole. Ok, tutto ottimo

Oddio, però, poi mi vengono mille dubbi: come le parlo? Come riusciremo a comunicare? Come potrò rivolgermi a lei senza metterla in imbarazzo? Carola Insolera, prima trapezista e oggi modella, testimonial per il brand Bagutta, è sorda. Completamente. Dalla nascita. Quando salgo da lei mi accorgo di essere un po’ tesa. Finché non la incontro. Finché con un sorriso entriamo in contatto. In un secondo dimentico tutto e iniziamo a “chiacchiere” fitte fitte. «Per favore, però, non scriva che sono “sordomuta”, è un termine che non si usa più: io sto comunicando con lei, giusto? Io muovo le mie labbra e le mie mani e lei mi sta capendo. Parlo solo un’altra lingua». E davvero lei parla. Senza voce, ma parla. E il fatto che sia sorda, in un mondo che va avanti con email, video e sms, anche questo non le impedisce pressoché nulla: «Ma che problema c’è? Oggi ci si muove su Facebook e Instagram: foto da vedere, scritte da leggere. Faccio come tutti…».
 E quando è lontana da Emilio, suo marito, e da Delphine, la sua bimba di un anno e mezzo, che sono sordi come lei, non ci sono comunque problemi: «Con le varie applicazioni video, come FaceTime o Skype siamo alla pari! Ci vediamo, come se fossimo gli uni di fronte agli altri e possiamo tranquillamente parlarci con il linguaggio dei segni». La sua vita, che uno supporrebbe complicata, non ha avuto inciampi: norvegese, 25 anni, ha lavorato tanti anni nello spettacolo, poi ha scelto di fare la modella, si è sposata, ha una bellissima bambina, e la sua sordità è la sua realtà da sempre: «Anche i miei genitori sono sordi, anche mia sorella, i suoi figli, mio marito, i suoi genitori, i nostri cugini… Siamo una comunità forte, non ci manca nulla».

E la sua sordità, anche sul lavoro, non è mai stata un problema: «Qualcuno mi ha chiesto come faccio a sfilare se non sento la musica: in realtà, le vibrazioni sonore le percepisco anche sul corpo, non solo con l’udito. Un sordo può ballare, perché no? E poi comunque, sulle passerelle, non devi far altro che camminare… »

E così, andiamo avanti con l’intervista, proprio come se non. Un po’ ci capiamo con il labiale, un po’ con i gesti, un po’ scriviamo su un tablet.

Prima domanda: che spazio ha avuto la «diversità di percezione» nella sua vita di successo?
«La sordità è un’occasione, un bene direi. Mi permette di rafforzare la mia vista. Io l’ho sempre usata come elemento di forza, come un vantaggio: nessuno mi ha mai preso il posto perché ero sorda, nessuno mi è passato davanti. Per cui, perché dovrei tentare di essere come gli altri? Va bene così»

C’è qualcosa che è impossibile per lei?
«Niente è impossibile. Tutto si può fare se credi in te stesso e se sei te stesso».

Che cosa spererebbe che ci fosse per sua figlia che non c’è stato per lei?
«Mi piacerebbe che la lingua dei segni venisse insegnata in tutte le scuole: è comunque un’altra chiave comunicativa importante e invece non viene mai presa in considerazione. Sono davvero pochissime le persone che sanno qualcosa della nostra lingua: per esempio, sapete che l’americano e l’italiano sono diversi anche nei segni? Si usano gesti diversi… Purtroppo non ci sono delle scuole strutturate per imparare».

Come ha incontrato suo marito?
«In realtà, anche se lo chiamo “marito” non siamo ufficialmente sposati! Comunque l’ho incontrato a Tokyo. Lui è un regista italiano: stava lavorando lì a un film su dei supereroi sdi. Io ero da quelle parti per delle sfilate. E così… Io uso già il suo cognome perché siamo una sola famiglia. E poi il mio è meno immediato (Wisny, ndr): per me è come se non esistesse più. Io ora mi chiamo Insolera, come lui».

Dove vivete?
«Dopo tanto viaggiare, e parecchio tempo trascorso a Londra, ora abbiamo deciso di stare a Milano: adoro questa città, mi piace la gente, mi piace il clima, mi piace il cibo. Ci stiamo davvero benissimo e per il nostro lavoro sembra che funzioni alla grande».

Ma, a proposito di lavoro, quando ha deciso di fare la modella?
«In realtà non è che proprio io l’abbia deciso. È successo, con assoluta – come dire – “normalità”. Il fashion system mi ha accolta molto bene. Dopo aver finito la scuola ho lasciato Oslo verso nuove avventure. Volevo vedere il mondo e ho iniziato a lavorare in un circo come trapezista. Poi, nel 2011, per la settimana della moda di  Copenhagen mi hanno chiesto di fare uno show circense durante una passerella e lì è cominciato tutto…».

Ma conta di fare la modella per sempre?

«Assolutamente sì. Non c’è nessuna modella sorda oltre a me con questo livello di professionalità e questa unicità mi dà più forza! Io vorrei seguire l’esempio di Carmen Dell’Orefice, una modella con i capelli bianchi. Ne ho di anni davanti…»

Ma secondo lei il fatto che lei sia sorda le fa avere movenze diverse?

«No, non è la sordità, ma il fatto che io abbia lavorato tanti anni in un circo, che io sappia fare esercizi aerei, che sappia fare delle contorsioni. Credo che alla fine sia questo che possa fare davvero la differenza. E poi, comunque, sono più abituata a guararmi intorno, mi affido di più alla vista che all’udito e questo fa sì che io tenga sotto controllo la situazione».

Parlando con lei sembra che la sordità non sia assolutamente un problema…

«E non lo è davvero. Io mi sento come una straniera che parla un’altra lingua. Io posso fare qualsiasi cosa. Guidare? Certo che guido! Semmai sono le persone che ci sentono che possono avere qualche problema in macchina: mentre guidano ascoltano la radio, stanno al cellulare, chiacchierano. Io che problema ho?».

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