Fare di un luogo un progetto. Dandogli un senso, preciso ma mai unico. Nasce così “One Sense” che a prima vista , ma anche a primo gusto, tatto, olfatto e soprattutto udito, è un ristorante aperto pochi giorni fa a Roma alla Garbatella.
A ben guardare, e ascoltare, però è qualcosa di più. Perché è stato (fortemente) voluto da una giovane romana sorda. Ci tiene ad essere definita così Valeria Olivotti, 29 anni e tanta voglia di ribaltare il concetto di handicap, perché da limite diventi estensione, da mancanza si trasformi in abbondanza. Come dire un trampolino, non per togliere ma per aggiungere qualcosa, una crescita, un valore. In nome di una parola, inclusione, che è il cuore di questa piccola grande impresa, in “ogni senso”, che punta ad accogliere tutti, udenti e non, in uno spazio condiviso senza barriere di alcun tipo.
LUISA MOSELLO
E’ lei, la “dea ex machina” del primo locale capitolino in cui ci si può sentire uguali rimanendo se stessi, a raccontare la sua sfida: «L’idea
è nata da una chiacchierata con mia madre ( Donatella Montani, vero “motore” di energia per la figlia che ha supportato in questa esperienza, ndr). Le dicevo che con i miei amici andavamo a cena fuori e spesso ci sentivamo a disagio. Poi è uscito fuori il discorso del Bar senza nome a Bologna e ci siamo dette: siccome ci piace mangiare e stare in mezzo alla gente senza escludere nessuno perché non creiamo un ristorante inclusivo dove le differenze non sono un problema..?».
La sordità un dono per la personalità
Mentre parla, facendosi comprendere perfettamente, questa donna dall’entusiasmo travolgente e dagli occhi così luminosi che già da soli chiacchierano, non smette di sorridere. Facendo bella mostra dei tatuaggi che le ricoprono le braccia e la schiena. Uno, il piu importante per lei, è sulla schiena sinistra. Scritto in latino recita così: “La mia sordità è un dono alla mia personalità”.
«A chi mi chiede se mi infastidisce essere chiamata sorda rispondo no, per niente, anzi sono fiera di esserlo! – esclama-. Se non lo fossi diventata chissà chi sarei ora. Mi danno più fastidio i termini: sordomuti, audiolesi. Mi chiedo perché continuare a usarli visto che dal 2006 una legge dello stato li ha aboliti… Perché i ciechi li chiamate semplicemente ciechi? Sordomuti…no, noi parliamo e pure tantissimo. Poi ognuno ha una storia diversa dall’altro. Chi è cresciuto in istituto, chi in famiglie in cui un genitore sentiva e l’altro no. Dipende tutto dalla riabilitazione e dalle scelte. Io ho frequentato una scuola normale dove sono stata vittima di tanti atti di bullismo, ma grazie ai miei ex compagni ora posso difendermi. Anche queste esperienze mi hanno insegnato a accettare il punto di vista delle altre persone».
L’equitazione palestra di vita
Qui esplode tutta la forza e la tenacia di Valeria che per chi la conosce e la ama per quello, anzi per quel che è di più, è semplicemente Valla. Non è un diminutivo del nome, come si potrebbe pensare ma un vero omaggio alla sua grande passione, l’equitazione. Per capirlo basta andare sul suo profilo Facebook dove si presenta come Horsewoman.
«Mi definisco così perché i cavalli sono il mio mezzo di comunicazione, essendo sorda ho più sensibilità con le mani, col contatto… Già da piccola riuscivo a gestirne di difficili, parlavo con loro con il linguaggio non verbale, con carezze e gesti che coinvolgevano tutto il corpo. Il mio soprannome per intero è VallaHorseWoman, perché odio essere chiamata Vale come tutte le altre. Se si torna la parte iniziale di “donna cavalla” diventa Valla ».
Poi torna indietro nel tempo:
«I miei primi amori sono stati i pony. Ricordo ancora quando li vidi per la prima volta, fui messa a cavalcioni su uno di loro. Non volevo più scendere. Avevo due anni e ancora sentivo. Sono diventata sorda tra il secondo e terzo anno a causa di un virus. Mia madre ha voluto subito prosterizzarmi (mettere le protesi, ndr) e mi ha fatto fare logopedia tutte le mattine. Grazie a lei e alle mie logopediste ho un buon residuo uditivo, con gli apparecchi arrivo a 50 decibel, parlo correttamente e conosco la Lis, che non è un linguaggio ma una vera e propria lingua che andrebbe riconosciuta come tale. Sono fiera di essere bilingue e fare parte di “entrambi” i mondi ».
Andare al galoppo, partecipare a gare a livello agonistico, creare un gruppo come “Equitazione Sordi Italia” appena entrato ufficialmente a far parte della Fssi la Federazione sport sordi Italia, è stata una vera e propria palestra di vita.
Un locale aggregante e inclusivo
Un esercizio continuo per riuscire a superare gli ostacoli e guardare sempre avanti. Fino a concretizzare, con grandissima tenacia, questo progetto di ristorazione che ha richiesto ben tre anni di studi e ricerche. Tutto è stato definito nei minimi particolari. La proposta gastronomica è curata dallo chef Fabio Campoli con prodotti provenienti da aziende solidali e per la maggior parte biologiche, da SpazioSanpa di San Patrignano ad Agricoltura Capodarco. Il quartiere della Garbatella è stato scelto perché “zona aggregante, comoda da raggiungere con i mezzi”. E la location trovata con una coincidenza simbolica visto che si tratta di un ex deposito di audiovisivi. Quasi a voler amplificare l’obiettivo di “One Sense” che si estende su una superficie di 450 mq, oltre al grande patio esterno, per 120 coperti totali. All’interno, in un’atmosfera da archeologia industriale che sconfina nei millenni a venire, nulla è lasciato al caso. Ogni dettaglio punta al superamento delle barriere di ogni genere e all’accessibilità tout court. Non mancano le pedane e i corridoi sono abbastanza larghi per accogliere comodamente i disabili in carrozzina. E naturalmente tutto è a misura e su misura per chi non sente
La musica di sottofondo è studiata per non infastidire chi porta gli apparecchi acustici. Nelle toilette ci sono illustrazioni con i gesti delle mani. Nel menu i piatti sono contrassegnati con i numeri facilmente comprensibili dal labiale. Sul bancone del bar ci sono due campanelli che grazie alla domotica quando vengono premuti si illuminano per richiamare l’attenzione dei baristi che sono sordi. Così come alcuni camerieri che si integrano al resto dello staff in cui agli udenti sono state insegnate le basi della lingua dei segni in un corso breve e intensivo. Infine sugli scaffali, sopra i tavolini, si trova una carrellata di libri che permette di entrare, in punta di orecchio, in questo universo per molti, troppi versi sconosciuto. Accanto al dizionario della Lis, ecco titoli come “Una mamma normale” di Liliana Tanco, “#facciamocisentire” di Sara Giada Gerini. E “Il silenzio è stato il mio miglior compagno di giochi” di Roberto Wirth, il proprietario (sordo) dell’Hotel Hassler a cui Valla si ispira. Insomma, da queste parti a non essere servito è unicamente il pregiudizio