La 23enne di Tarquinia senza una gamba: “Una protesi non è una condanna ma un altro modo di muoversi nel mondo”

Il potente monologo di Chiara Bordi alle Iene sull'abilismo: "Non guardatemi con pietà". Ieri l'esordio su Canale 5 nella serie I fantastici 5 con Raoul Bova

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Chiara Bordi alle Iene

“Mi chiamo Chiara e, tra le varie caratteristiche che ho, ho anche una protesi”. La 23enne di Tarquinia Chiara Bordi porta, tramite Le Iene di Italia 1, l’abilismo sotto i riflettori. “Sebbene sia grave quanto il sessismo, l’omofobia o il razzismo, in pochi lo conoscono e in tantissimi lo incoraggiano – dice -. È lo stigma per cui la disabilità, piuttosto che come un aspetto della varietà umana, è vista come un difetto”.

Bordi, che nel 2018 ha partecipato a Miss Italia arrivando terza e che ieri sera ha debuttato su Canale 5 come co-protagonista nella serie I fantastici 5 con Raoul Bova e che racconta luci e ombre dello sport paralimpico, era poco più che una bambina quando le è stata amputata una gamba.

Stavo per compiere 13 anni – ha raccontato Bordi in un potente monologo – quando un incidente mi ha portato all’amputazione di una gamba. Qualcuno di voi penserà ‘poverina’ ma vi prego di non farlo. Io ho accettato il mio corpo ma spesso sono stati gli altri a mettermi i bastoni tra le ruote. Quando iniziavo a guardarmi allo specchio con orgoglio arrivava sempre qualcuno che mi diceva: ‘Che bella che sei, nemmeno si vede che hai una protesi’. Come se il fatto che la mia disabilità non si vedesse fosse un complimento.

Mentre mi confrontavo alla pari c’era sempre qualcuno pronto a guardarmi con pietà, come se utilizzare una protesi fosse una condanna e non semplicemente un altro modo di muoversi nel mondo. Poi, quando ho iniziato a recitare, nelle interviste si finiva sempre a parlare di quello e io mi chiedevo: ‘Ma le mie capacità vengono viste?’. Quando ho raggiunto dei traguardi c’è stato spesso qualcuno pronto a dire: ‘Che brava che sei arrivata fin qui, io al posto tuo mi sarei buttata dal balcone’. Come se avere una disabilità fosse peggio di morire.

Queste violenze hanno nome: si chiama abilismo. Tutti lo abbiamo interiorizzato, io compresa, ed è compito di tutti demolirlo. Io credo che ci sia una domanda chiave che può essere utile: ‘Mi comporterei allo stesso modo con una persona non disabile?’. Se la risposta è ‘no’, è un problema. Mi chiamo Chiara e, tra le varie caratteristiche che ho, ho anche una protesi e spero stasera di avervi fatto riflettere”.

Redazione ViterboToday

 

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