Il portabandiera ai giochi paralimpici di Pyeongchang 2018: “Sogno di cercare nuovi atleti da portare a Milano-Cortina 2026. Mi piace spronare i ragazzi”

FLORIAN Planker, nato a Bolzano ma cresciuto a Selva di Val Gardena, è un hockeista su slittino ed ex sciatore alpino paralimpico, ma oltre che uno dei più grandi sportivi italiani è anche un profondo conoscitore e amante della montagna, un atleta che tra le Alpi è cresciuto, mettendo fin da subito al centro della propria vita lo sport e soprattutto l’hockey, sua grande passione.

Nemmeno l’incidente che a 17 anni gli ha portato via una gamba è riuscito a tenerlo lontano dal ghiaccio e anzi, nella seconda metà della sua vita Florian ha collezionato talmente tanti riconoscimenti – un bronzo alle Paralimpiadi di Salt Lake City 2002 nel SuperG e uno ai campionati del mondo nel 2004 nello sci alpino paralimpico e ben nove titoli italiani con le South-Tyrol Eagles, più un oro e un argento con la nazionale azzurra ai campionati europei nell’hockey su slittino – da essere considerato oggi un punto di riferimento assoluto nello sport paralimpico in Italia. Tanto che ai giochi paralimpici di Pyeongchang 2018, sua sesta partecipazione personale, è stato scelto dal Comitato Italiano Paralimpico come portabandiera nazionale.

Florian, che impressione ti fa vedere gli impianti fermi?

“È strano. Con la neve che abbiamo la montagna è splendida, c’è una pace surreale, un silenzio incredibile. Nessun turista, nessuna macchina, nessun pullman, nessuna funivia in funzione, neppure un elicottero che sorvola le piste: è un po’ inquietante, ma anche bello. Lo stress provocato dal turismo di massa non mi manca e godere della natura così è straordinario, ma umanamente il caos della stagione invernale scaldava parecchio. Senza considerare che la situazione che tanti stanno vivendo dal punto di vista lavorativo è drammatica. Io per fortuna lavoro in banca e non ho mai messo ma ho amici che hanno negozi, attività legate allo sci: per loro è tutto fermo. Spero davvero che potremo tornare presto alla normalità”.
Come passi le tue giornate?

“Vado volentieri nei boschi a fare passeggiare da solo e tanti altri momenti amo condividerli con la mia famiglia. Cerco di prendere il buono dalla situazione, diciamo

Florian Planker fotografato da Oliviero Toscani

Ti alleni?

“Beh con la nazionale sì, ci troviamo due volte a settimana, per noi le cose non sono cambiate. Naturalmente ci incontriamo prendendo tutte le precauzioni possibili, abbiamo anche due spogliatoi diversi. In altre squadre ci sono ragazzi che hanno paura del contagio, e li capisco”.

Nel 2018 a Pyeongchang hai annunciato che avresti allentato il ritmo…

“Sì, due anni fa ho deciso che avrei messo un freno allo sport, fatta eccezione per l’impegno con la nazionale, ovviamente. Non faccio più tutte le cose che facevo prima per mantenermi in forma, lo confesso! Ma credo che allenarsi un po’ ogni giorno si fondamentale. Per chi deve farlo a casa da solo immagino sia un problema, anché perché non tutti possono permettersi una palestra in casa. Io consiglio sempre di comprare una ciclette per tenersi attivi, ma non è la stessa cosa”.

Progetti per il futuro?

“A me piace molto spronare i ragazzi, coinvolgerli, dimostrare con il mio esempio che possono farcela. Quindi, al di là dell’impegno con la nazionale, che per me è importantissimo, direi che un sogno che ho è quello di mettere la mia esperienza al servizio delle nuove generazioni, in tutti i modi possibili. In particolare, mi piacerebbe con la mia società provare a cercare nuovi atleti e insieme alla Federazione sport ghiaccio portarli a Milano Cortina 2026. Nella speranza di far conoscere un po’ di più anche da noi quello sport bellissimo che è l’hockey”.
Secondo te in Italia manca la cultura dello sport per disabili?

“Diciamo che sta crescendo, Pancalli e il Comitato Italiano Paralimpico hanno fatto un grande lavoro. Il cambiamento forse è cominciato a Torino 2006. All’inizio ci chiamavano ‘diversamente abili’, poi la mentalità per fortuna è cambiata e oggi i paralimpici possono accedere ai gruppi sportivi militari e ai corpi civili dello Stato. Cominciano a considerarci per quello che siamo sempre stati: degli atleti”.

 

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