«Qui siamo in via Cairoli – afferma sicuro Marco Forlino mentre taglia l’aria dalla sella di un tandem –. Questa invece è via D’Oggiono. E quest’altra sicuramente è via Cavour». «Ma come caspita fai?» domanda incredula Paola, che pedala accanto a lui. Marco è cieco. «Be’, le strade hanno una voce. Ogni strada ha la sua. Basta ascoltarla. Riconosco i rumori che fa la bici sul selciato, il vento che passa tra le case». Paola Schiesaro è la presidente di Fiab – Lecco Ciclabile.
Poi a casa ha ripensato a quanto detto da Marco. «Eh sì, ha usato un’espressione da ciclista consumato. Per chi va in bici effettivamente le strade hanno una voce, solo che gli altri ciclisti, a differenza di Marco, non sanno distinguere la voce di via Cairoli da quella di via Cavour».
È disabilità se si incontrano barriere
Paola di episodi che aiutano ad assumere altre prospettive ne ha vissuti tanti negli ultimi due anni, da quando è partito il progetto “Born to be wild by bike”, nati per essere selvaggi in bici (o folli, o spontanei?), pensato e realizzato da Fiab – Lecco Ciclabile e dalla Cooperativa Sociale “La Vecchia Quercia”. Che vuole completare quel mosaico degno di un Comune – davvero – Ciclabile dove tutti dovrebbero avere la possibilità di girare in bici. Nessuno escluso.
Perché una persona che è in una condizione di disabilità o mobilità ridotta o ancora ha una disabilità visiva come Marco non può godere di una sana passeggiata in bicicletta e sperimentare attività motorie in sella con e come tutti gli altri? Sia chiaro: la disabilità la stabiliscono gli ostacoli fisici, sociali e culturali che non permettono una vita dignitosa alle persone che hanno delle difficoltà di partenza. Ecco allora questo progetto che sa di possibilità, di piacere, di benessere, di relazioni. Ecco allora il box nel parcheggio La Ventina, in via Cesare Beccaria, che contiene delle biciclette particolari. Proprio da La Ventina, nel rione Pescarenico – sì, quello di manzoniana memoria –, partono quattro itinerari ciclabili che percorrono la città di Lecco e alcune aree circostanti.
Sei bici tra tandem e cargo
Il progetto è sostenuto dal Comune di Lecco e Linee Lecco, l’azienda di trasposto pubblico locale. Ma non è mancato l’aiuto di singoli cittadini, associazioni e realtà imprenditoriali. La flotta è composta da sei bici, a trazione muscolare e a pedalata assistita. C’è una cargo bike con piattaforma davanti che carica la persona con la propria sedia a rotelle. Ci sono tricicli tandem in linea e uno affiancato. «È il mio preferito – dichiara Paola – perché mi fa sentire al mare, in vacanza, come se stessimo su un risciò: si chiacchiera e si vedono insieme le stesse cose. Dallo stesso punto di vista».
Della piccola flotta fa parte anche una cargo bike con davanti una sorta di poltrona che si può staccare, se ci si vuole fermare in un bar o in un parco, e diventa una sedia a rotelle. In queste bici la persona con disabilità è sempre davanti. Un aspetto, certo, non casuale. «Anzitutto – continua Paola – per far sì che ricevano in pieno tutte le sensazioni che regala andare in bicicletta, come ad esempio il vento in faccia. Poi c’è un valore simbolico: la persona con disabilità non è un peso da portare, non è un oggetto da caricare. E ancora perché da dietro in certi casi si ha anche un controllo maggiore sulla situazione e si può dialogare in modo più naturale indicando magari punti del paesaggio»
Vivere appieno il momento
Di qualunque paesaggio si tratti. Anche quello a cui si riferiva quella volta Maria Longhi, sulla cargo bike con la sua carrozzina e la sua giovinezza e la sua vivacità. Ancora Paola a raccontare: «Pedalavamo su una ciclopedonale perché dovevamo andare a una festa in un parco. Su questa ciclopedonale c’erano un sacco di ragazzi che si allenavano correndo. Maria andava in continuazione con lo sguardo da una parte all’altra. Sembrava inquieta. E io, preoccupata: “Maria, ma non stai bene?”. “No, sto benissimo! Mi hai detto tu che da questa ciclopedonale avremmo visto un bel paesaggio: io ne sto vedendo tanti! Avevi ragione: proprio dei bei paesaggi!”.
Da quel momento in poi è stata una risata continua. Che si è aggiunta alla confusione che facciamo di solito quando, numerosi, andiamo in giro, tra vociare e campanelli. Impossibile non notarci. Mi auguro che facciamo allegria anche a chi ci vede». E magari inizia a pedalare con loro. Una buona occasione per conoscersi. Ne vale la pena. È convinta Paola: «Ora so che le persone con disabilità molto spesso vivono le esperienze di attività all’aria aperta in bici con intensità e abbandono. Questo fa loro gustare appieno ogni momento e vivono l’avventura meglio degli altri, in un certo senso. Proprio perché c’è prima di tutto un affidarsi quasi totale».
Un salto culturale indispensabile
Di progetti rivolti a persone con disabilità e di conseguenza al benessere di tutte le comunità, si occupa da 35 anni sul territorio la cooperativa sociale “La Vecchia Quercia”, promotrice con Fiab di “Born to be wild by bike”.
Anna Spinelli è tra le coordinatrici della cooperativa: «Negli anni abbiamo avuto sempre l’ambizione di far fare un salto culturale alle nostre comunità. Vogliamo che questo salto passi anche attraverso la bicicletta. Le sei bici del progetto sono ingombranti, occupano spazio e questo sulla strada può essere un elemento di criticità, ma devono entrare nella quotidianità della vita cittadina, devono essere usate sempre, non solo nelle giornate organizzate con Fiab. Una quotidianità di cui comunque fanno parte le persone disabili, che accompagniamo e con le quali condividiamo la visione del “non solo diritti, ma anche doveri – E infatti si attivano per gli altri. Ad esempio facciamo attività di manutenzione sul territorio, come la pulizia di spazi comunali. La comunità li vede operare per il bene comune. Non li vive soltanto come persone che hanno bisogno».
E ora queste persone rendono anche visibili certe biciclette, facendo scoprire a tutti che ne esistono per ogni gusto ed esigenza. «Sì, ma ribadisco che l’obiettivo è fare in modo che si percepiscano queste bici anche al di fuori dei servizi per la disabilità. Ad esempio per una famiglia con un figlio disabile che la domenica vuole andare in bicicletta, non è semplice. Questi mezzi invece sono stati pensati proprio per dare quella possibilità che non c’era. Quindi se hai tre figli, uno dei quali è in carrozzina, puoi prendere una di queste bici, portare tuo figlio con disabilità e stare con gli altri figli che pedalano sulle loro bici tradizionali».
Inclusione è autonomia
Una città per tutti. Lo ripete da anni Renata Zuffi, assessore all’Ambiente, alla Mobilità e alle Pari opportunità del Comune di Lecco. E non è uno slogan: Renata si spende fino in fondo per promuovere iniziative e servizi per il bene della sua comunità, elaborare modalità inclusive, abbattere pregiudizi culturali, lei che di questi temi si occupa da venti anni: «La città per tutti è quella che permette di usufruire secondo i propri mezzi, le proprie opportunità, le proprie situazioni, di quei servizi primari che la rendono bella da vivere, ma nel senso di benessere, di un luogo dove si sta bene.
Non sempre è così, a Lecco come in molte altre città d’Italia, perché essere inclusivi non vuol dire tirar dentro uno spazio urbano tutti e basta, ma permettere alle persone di vivere questo spazio in autonomia.
In una città la diversità deve diventare un valore. Solo in questo caso la città è inclusiva, perché ha il suo spazio anche chi è in una sedia a rotelle o ha problemi di deambulazione, …». E il pensiero di Renata, assessore ma prima ancora insegnante, va inevitabilmente alla scuola: «In Italia c’è la miglior legge sull’inclusione d’Europa perché non abbiamo le scuole speciali. Ecco, ci vuole il coraggio non solo di portare i ragazzi dentro e parcheggiarli, ma portarli dentro e provare a costruire una didattica che includa tutti».
Con le bici nelle scuole
E proprio nelle scuole la Fiab promuove percorsi didattici sul legame tra mobilità attiva e inclusiva. «Noi nelle scuole – a parlare è di nuovo Paola Schiesaro – lavoriamo principalmente con la primaria e la secondaria di primo grado, quindi elementari e medie. Soprattutto con la scuola media realizziamo delle gite scolastiche in bicicletta di un’intera giornata e in quelle occasioni usiamo anche un paio di queste bici con bambini disabili, sensoriali, fisici o cognitivi. Ora siamo partiti con un progetto nuovo: “Bellezze in bicicletta”, per l’inserimento di ragazzi con autismo. Abbiamo organizzato una giornata con le nostre bici e tutti i bambini della classe le hanno provate in entrambi i ruoli: da passeggeri e da guidatori. È stato fortissimo. A dire il vero ho temuto per l’integrità di qualcuno in certi momenti, perché questi ragazzi spesso ci davano dentro, ma lo possiamo raccontare (ride) e dunque resta solo il fatto che è stato divertente. E soprattutto inclusivo».
Che poi “inclusione” è una parola bellissima, ma se serve usarla è perché spesso si tende a escludere. Per Renata potrebbe essere già un termine superato: «Ciò che amo particolarmente di “Born to be wild by bike” è il fatto che spinge anche a un cambiamento, aiuta a definire nuove relazioni: anni fa si parlava di “integrazione”, poi di “inclusione”. Con questo progetto io parlerei di “convivenza”, felice convivenza. Se non va più bene neanche la parola inclusione vuol dire che il progetto è sfidante, coraggioso, lungimirante. E spesso le proposte Fiab sono sfide. Bellissime».
Questa sfida in particolare è iniziata quando Paola Schiesaro si è imbattuta in un articolo che raccontava l’esperienza di Aspassobike, associazione di Senigallia che produce questo tipo di biciclette e che lei ha subito contattato. Aspassobike sta dando vita a progetti di inclusione sociale in tante città italiane. Ma Lecco sembra avere un ruolo da apripista: «Direi di sì – ammette un po’ schermendosi Paola –, benché ci andiamo con i piedi di piombo perché stiamo imparando a gestire questa situazione mentre la viviamo. Ci sono diverse cose a cui pensare. Ne dico una: l’aspetto assicurativo di mezzi e persone è una faccenda molto complicata. Però ci impegniamo e finora siamo sempre venuti a capo di tutto. E anche di più. Lo scorso settembre, ad esempio, abbiamo organizzato a livello locale la settimana europea della mobilità sostenibile. In programma c’era un giro culturale della città e abbiamo offerto la possibilità di usare una delle nostre biciclette. La guida turistica di questo giro, che non ha disabilità, non sa andare in bicicletta e si è sentita sicura solo su uno dei nostri tandem con un amico che pedalava mentre lei spiegava, svolgeva il suo lavoro».
Le nostre bici? Un patrimonio comune
Eppure Paola, nel maggio 2022, alla presentazione ufficiale di “Born to be wild by bike”, aveva dichiarato che Lecco non è ancora pronta a essere una città di tutte e di tutti. In due anni le cose sono cambiate?
«Non tanto dal punto di vista urbanistico, ma c’è grande fermento. Sono stati approvati il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile – Pums e il Biciplan. La città ha i progetti e adesso sta trovando i fondi per realizzare le opere. Quindi Lecco continua a non essere pronta, però rispetto all’ultima volta abbiamo dei progetti approvati dalla Giunta comunale che ci portano in quella direzione».
E avvicinano Paola, Anna, Raffaella alla realizzazione del loro sogno: che queste biciclette vengano vissute come patrimonio comune e che diventi un’abitudine di tutti vederle in città. Mentre Marco continuerà ad ascoltare le voci delle strade e Maria ad ammirare i paesaggi che le pare.
di Danilo Angelelli
Redazione Bikeitalia.it