di Simone Gambirasio
Pubblichiamo la riflessione di Simone Gambirasio, nostro ex collega, che lavora nel mondo della comunicazione e dalla nascita si muove con una sedia elettrica.
Questa settimana sono stato a Cremona, e dei tanti monumenti che avrei voluto vedere solo due erano accessibili in sedia a rotelle
Qualche giorno fa a Milano ho controllato quali negozi non avessero un gradino all’ingresso in corso Vittorio Emanuele e ne ho contati giusto due, ovvero le tanto criticate catene di fast food americane (McDonald’s e Hard Rock Café).
Perché? Perché gli americani sanno che l’accessibilità è una caratteristica imprescindibile nel turismo, e che un Paese non accessibile non è considerato un Paese civilizzato nemmeno da chi una disabilità non ce l’ha. Ma noi siamo ancora quel Paese dove la metropolitana se c’è è accessibile a giorni alterni, i taxi accessibili girano solo di giorno (quando ci sono), dove gli ascensori sono un optional e dove molti negozianti se vedono una sedia a rotelle al massimo ti dicono “ti aiuto io”.
Una penisola dove le spiagge saranno sicuramente in mano a chi se le merita eh, ma gli stabilimenti accessibili sono spesso un miraggio.
Lavoro nella comunicazione, e non criticherò i 9 milioni di Open to Meraviglia. Solo, se una parte di questi investimenti li avessimo spesi in accessibilità (anzi, anche molto di più di quei 9 milioni di euro) quella sarebbe il migliore e più giusto biglietto da visita per quei turisti che, evidentemente, sono abituati a ben altri standard. L’accoglienza dovrebbe partire dai fatti, solo allora forse avremo qualcosa da comunicare e raccontare.
Da me, e dalla mia triste amica Venere in attesa del montascale da giusto qualche secolo… per oggi è tutto.