Torino non è una città per disabili. Eppure è dal 1986, con l’entrata in vigore della Legge 41, che i comuni sono obbligati ad adottare il Piano per l’eliminazione delle barriere architettoniche (Peba). Un’imposizione disattesa dalle varie amministrazioni pubbliche che si sono succedute nel capoluogo piemontese. E così chi è costretto su una sedia a rotelle diventa ostaggio della sua stessa città.
E i disagi di trent’anni fa sono gli stessi del 2023. Dalle strade senza scivoli alle buche killer, fino ai sampietrini sconnessi, i marciapiedi divelti, i gradini dei negozi, i locali off limits e i bagni senza accesso.
A ciò si aggiungono i monopattini e l’inciviltà di alcuni cittadini, con 4 mila multe all’anno per parcheggi abusivi nei posti riservati. Stesso discorso per l’efficienza di metro, treni, tram e autobus: spostarsi diventa un incubo.
Il 90% dei pullman è accessibile, ma se si prova a prenderlo alle 8 del mattino forse si riesce a entrare alla quinta corsa. E una volta saliti si scopre che gli avvisi acustici nel 90% dei casi sono spenti. Disturbano.
Si può anche chiamare un taxi, ma ce ne sono solo 8 in città. Due per ogni turno. A Brescia ne hanno 20, a Roma 100. Inoltre il pagamento non segue il tassametro tradizionale. La corsa, all’interno della città, costa sempre 25 euro, anche per i percorsi più brevi.
«Manca la cultura, la voglia di mettere il disabile al centro — afferma Giovanni Ferrero, direttore della Consulta per le persone in difficoltà — non si tratta di risolvere problemi, ma di pensare sin dall’inizio alla soluzione per un disabile.
Torino aveva fatto dei grandi passi in avanti per le Paraolimpiadi del 2006, da lì ci siamo fermati. Forse si dovrebbe partire dalle scuole, con l’educazione civica. In città solo un’anagrafe riesce a servire i sordi, e in via Roma e in via Garibaldi non c’è nessuna rampa nei negozi». Occorrerebbe un cambio di mentalità, a partire dallo sviluppo del Peba: «Un documento obbligatorio, previsto dalle norme nazionali, ma di cui oggi non c’è nemmeno una bozza».
I casi più gravi riguardano le attività commerciali, ad eccezione di via Po (dove gli esercenti si sono tutti muniti di pedane), e le scuole. Secondo uno studio dell’Istat a Torino e provincia solo il 39,2% degli istituti è accessibile a insegnanti e studenti con disabilità. E dunque sono forniti di ascensori, bagni, porte e scale a norma e, nel caso sia necessario, rampe esterne e servoscala. La media regionale si attesta sul 37,9%, quella nazionale al 32,6%. Il valore più alto, tra le province, si riscontra ad Aosta, dove è attrezzato il 63,2% delle scuole, mentre il più basso è ad Agrigento, con meno di una su cinque (18%). E poi c’è un altro aspetto: «Nelle scuole esiste l’integrazione ma non l’inclusione — aggiunge Ferrero — i bimbi disabili sono in classe con i compagni, ma quando parte la didattica vengono esclusi. Gli insegnanti di sostegno devono aiutare, non impartire lezioni private».
Al contrario, un settore all’avanguardia è quello della cultura. In quasi tutti i musei sono presenti quadri tattili e audio con la descrizione delle opere. Interventi che garantiscono anche per chi è disabile di vivere l’esperienza al 100%.