La sfida di Chiara, ragazza disabile con un’idea di bellezza rivoluzionaria

Non dovrebbe basarsi solo sull'aspetto fisico ma anche sulla gentilezza, l'accettazione di come si è. "Attendo che in passerella sfilino anche modelle diversamente abili"

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Mi chiamo Chiara e abito a Milano. Ho la SMA e attualmente vivo con mio padre perché mia madre non si vuole prendere cura di me. Il rapporto con lei è sempre stato complicato e, quando si occupava di me, stavo sempre male e pesavo poco, insomma non mi curava bene.

di Mattia Abbate

Adesso con mio papà vivo meglio, ho anche una vita sociale e sono più serena. Purtroppo nel 2018 ho iniziato a soffrire di un altro problema di salute che si è sommato alla SMA; una volta scoperta la causa, il problema è stato finalmente risolto, ma non sono riuscita a terminare i miei studi.  Dovrò infatti ripetere l’anno per prendere il diploma, quindi da settembre vorrei ricominciare gli studi per poi trovare un lavoro e iniziare a fare sport, in particolare l’hockey in carrozzina. Secondo me noi disabili non siamo molto considerati. La gente è abituata a vedere che gli esseri umani sono persone che camminano e sono autonome, per cui, quando incontrano la disabilità e la diversità in generale, la ritengono una cosa strana e deliberatamente o per ignoranza preferiscono non considerarci come gli altri.

Anche il concetto di bellezza non sfugge a questa logica, per esempio nel mondo della moda non ci sono modelle disabili oppure disabili in tv. Io credo che la bellezza non si basi solo sull’aspetto fisico, ma anche su altri aspetti come il carattere, la gentilezza, l’accettazione di come si è. Io sto infatti lavorando per far capire alle persone che esistono altri standard di bellezza e ci sono altre cose importanti da considerare. Un altro risvolto che mi pesa molto è che, quando si avvicina un disabile, si pensa che il suo problema principale sia la sua disabilità, ma la vita ti porta a vivere situazioni, anche molto gravi, in aggiunta alla patologia e che possono essere le fatiche di tutti, a prescindere dalla disabilità. Ad esempio, a me piacerebbe recuperare il rapporto con mia madre. Infine, mi fa soffrire constatare la scarsa sensibilità nei nostri confronti, anche da parte di chi conosce le nostre situazioni. Ad esempio, mi è successo di andare alla cena della mia classe e di scoprire che la pizzeria non era accessibile e che la presenza di un’altra persona con me (mio padre venuto per assistermi) era considerata di troppo. A volte ci aspetteremmo che la nostra malattia parlasse da sola senza dover dare sempre ulteriori spiegazioni o chiedere quello di cui abbiamo chiaramente bisogno. Spererei di non dover più vivere esperienze del genere. Se volete seguirmi su Instagram potete farlo al seguente link https://www.instagram.com/__la_clear__/

Chiara

La storia di Chiara mi ha fatto riflettere molto e mi ha fatto pensare che la vita di noi persone disabili è un po’ come quella dei pescatori: una mattina riescono a pescare molto in mare aperto, ma magari, dopo qualche ora, si ritrovano in mezzo a una tempesta non prevista. È vero che la vita di tutti è un’altalena di momenti belli e brutti, ma nel nostro caso l’equilibrio può spostarsi anche nel giro di poche ore. Come è successo a Chiara, che, oltre alla disabilità, si è ritrovata con un’ulteriore patologia minore e una situazione familiare complicata alle spalle. Trovo molto importante il desiderio di Chiara di completare gli studi che, come dico spesso, sono fondamentali perché ti permettono di acquisire conoscenze e competenze molto importanti sia nella vita che nel lavoro. Alle difficoltà della malattia e familiari si aggiungono poi frustrazioni più banali, che comunque lasciano il segno.

La vicenda della pizza di fine scuola ci fa capire che spesso anche chi ci conosce non si rende conto completamente delle nostre difficoltà, tanto che sceglie la pizzeria senza fare caso alle scale. Un motivo frequente di incomprensione è il fatto che preferiamo che siano i nostri genitori oppure i nostri assistenti personali ad occuparsi di noi, al posto degli amici, non è perché non ci fidiamo o perché siamo esagerati. Per quanto un amico abbia la buona volontà di aiutarci, a volte ci sono delle manovre e delle azioni molto complesse che, se non vengono fatte bene, possono mettere a rischio la nostra vita. Una volta mi è capitato che alcuni miei amici mi chiedessero di sollevare la carrozzina per superare alcuni gradini ma, quando mi hanno sollevato, ho rischiato di cadere e dopo quell’esperienza ho imparato a essere più prudente. A volte, quando non si conosce bene una situazione, è meglio fidarsi di chi affronta i problemi tutti i giorni; solo con questo approccio potremo dare un aiuto più corretto. Passando poi al tema della bellezza, condivido molto l’idea di doverne modificare i canoni rispetto a quelli standard.

Molto spesso vediamo donne e uomini con fisici perfetti, senza imperfezioni, passa l’idea che quella sia la vera bellezza. Invece credo anch’io che la vera bellezza sia quella che portiamo dentro il nostro carattere, i valori nei quali crediamo e come scegliamo di vivere la nostra vita. Quando valutiamo la bellezza delle persone, analizziamola sotto tutti questi aspetti e cerchiamo di conoscere il cuore delle persone, solo così potremo scoprire la vera bellezza negli altri. Inoltre, dobbiamo lavorare per far capire che la bellezza della propria vita è possibile anche con una disabilità. Certo ci sono molti momenti difficili, ma la tempesta finisce e si ricomincia a vedere la terra all’orizzonte.

Mattia Abbate, l’autore di questa rubrica, è affetto da distrofia muscolare di Duchenne. “Questo spazio – dice – è nato per aiutare chi convive con difficoltà di vario genere ad affrontarle e offre alle persone sane un punto di vista diverso sulla realtà che le circonda”. Segnalate un problema o raccontate una storia positiva di disabilità all’indirizzo e-mail postacelere.mi@repubblica.it

 

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