L’imprenditore in sedia a rotelle che gira il mondo con la vela: «Ho portato a bordo diecimila disabili»

Andrea Stella venne colpito con tre pallottole dai ladri di auto a Miami: «Pensai al suicidio, ma questi 20 anni sono stati straordinari. Porto in barca i disabili. Anche chi può muovere solo il mento. Per due anni farò il giro del mondo»

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Andrea Stella, 46 anni, è un imprenditore e velista vicentino

di Domenico Basso

La sua barca compirà vent’anni il 14 luglio 2023. E dentro a questi vent’anni c’è la seconda vita di Andrea Stella, velista e imprenditore vicentino.

Nei suoi 46 anni c’è infatti un prima e un dopo. Il prima è una vita da ragazzo benestante che arriva alla laurea in giurisprudenza, che ama viaggiare e che va a Miami a festeggiare il traguardo. Ma qui in una strada circondata dal mare incontra il destino: tre pallottole che vanno a colpire fegato, un polmone e il midollo spinale. A sparagli quattro persone con un passamontagna intente a rubare un’auto. Andrea Stella a 24 anni si è trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Il dopo è fatto inizialmente di paure, di disperazione e di una gran voglia di farla finita. Poi il dopo diventa consapevolezza di potercela fare, di poter tornare a veleggiare ma in un modo diverso perché quelle pallottole lo hanno lasciato su una sedia a rotelle. All’iniziale voglia di arrendersi alla realtà Andrea Stella fa prevalere quella di plasmarla per raggiungere il suo obiettivo: tornare in barca. Nasce così, nel 2003 il catamarano lo Spirito di Stella. «Ricordo la festa in Arsenale il giorno del varo quando non sapevamo ancora dove ci avrebbe portato questa barca. Era stata costruita per le mie esigenze ma poi pian piano ci siamo resi conto che questo catamarano poteva veicolare un messaggio importante: se puoi progettare un’imbarcazione accessibile puoi allo stesso modo progettare una città. Ecco questa barca poteva e doveva avere un ruolo pubblico».

Se dovesse riassumere questi quasi 20 anni dello Spirito di Stella con tre immagini, quali sceglierebbe?
«Sicuramente la prima traversata atlantica e l’arrivo a Miami all’alba. In quel momento ho detto grazie a tutti e anche a me stesso. Poi nel 2017 il grande viaggio da Miami a Venezia e la tappa dal segretario generale dell’Onu per raccogliere la convenzione dei diritti delle persone con disabilità che poi è stata portata al papa. Come terza immagine simbolo di questi quasi vent’anni scelgo una delle tante giornate trascorse a bordo con i ragazzi disabili».

La barca dunque come occasione di rinascita, senza limiti.
«Nel 2011 abbiamo fatto partire dei corsi con barche australiane che non si ribaltano, di circa 3 metri, queste possono essere guidate anche da persone completamente paralizzate. E abbiamo iniziato a creare dei campus con associazioni che ci chiamavano e poi noi assistevamo. Adesso in Italia ci sono oltre 100 barche di questo tipo, grazie anche alla Lega navale, e possono essere guidate anche da una persona che ha un ventilatore tracheoidale, quindi anche da chi muove solo il mento. Ovviamente bisogna prepararle. E il 9 maggio a Motta di Livenza, in ospedale, presenteremo un simulatore che è una base rotante dove verrà montata una di queste barche. Un ventilatore creerà il vento così la barca potrà inclinarsi. Una cosa di questo tipo non era mai stata fatta all’interno di un ospedale, mancava un protocollo e il supporto di una struttura riabilitativa specializzata nei traumi spinali».

Con il catamarano lo Spirito di Stella quante persone avete fatto navigare?
«Noi abbiamo fatto navigare diecimila persone con disabilità, c’è gente che ha navigato per più giorni e chi ha attraversato un oceano. Nel viaggio del 2017 da Miami a Venezia a bordo c’erano due persone dell’equipaggio, Stefano Rocci e Matteo Baldi e poi ad ogni tappa c’era un ricambio di persone con disabilità. E a tutti chiedevamo di partecipare alla vita di bordo in vari modi, dalla scrittura del diario di bordo al racconto per immagini delle giornate, al monitoraggio dei consumi energetici. Io ho fatto tre di queste tappe: e nel tratto Azzorre-Portogallo mi sono anche sposato con Maria. Questo progetto lo avevamo chiamato wow, ruote sulle onde, perché quando spiegavamo alla gente che volevamo andare all’Onu e dal papa tutti restavano sbalorditi. E anche questo viaggio ha avuto un valore metaforico. Una barca accessibile dimostra che posso fare lo stesso con una città».

La politica fa abbastanza sul fronte della disabilità?
«Dovrebbe raccogliere le esigenze e tradurle in soluzioni concrete anche perché gli investimenti hanno un ritorno: una persona che diventa autonoma poi è anche produttiva. Poi togliere le barriere aiuta tutti. In sostanza è la società che è disabile o meglio che crea o non crea delle situazioni di disabilità».

E adesso quali saranno le prossime mete?
«Lo scorso anno ho incontrato il ministro della difesa e ho espresso il mio grande sogno di fare il giro del mondo. Da molto tempo collaboriamo con la Marina militare italiana e portiamo in barca i figli disabili di tutti i dipendenti delle forze armate e i gruppi sportivi paralimpici della difesa. Dunque faremo un viaggio che partirà il 14 luglio del 2023 in collaborazione con lo stato maggiore della Difesa e ospiteremo i gruppi paralimpici non solo italiani . Sarà un viaggio che durerà due anni con 80 tappe».

Anche in questo caso l’obiettivo sarà la sensibilizzazione sulla disabilità e sui modi per superarla?
«Vogliamo raccontare le storie di queste persone e oggi con una guerra in atto possiamo capire ancora di più l’impegno di chi è in prima linea a combattere. Insieme a questo l’obiettivo c’è sempre quello dell’inclusione. È far capire che, come in una barca, una società funziona quando tutti hanno una loro collocazione e vengono valorizzate le capacita di ognuno. Quindi la barca dimostra che da ognuno si riesce a tirar fuori il meglio e quando si fa questo si possono compiere delle grandi imprese».

La storia di Andrea Stella è diventata anche uno spettacolo teatrale. Che effetto le fa? Se lei incontrasse Andrea Stella diciottenne cosa gli direbbe?
«Quello che dico agli studenti quando vado a parlare nelle scuole: studiate bene l’inglese».

Felice della sua vita?
«Sì, ovvio che mi piacerebbe poter tornare a camminare perché è tutto più facile ma se questo comportasse perdere gli ultimi 20 anni della mia vita, che sono stati interessantissimi, non lo farei. Certo nei primi mesi avevo pensato di farla finita ma era normale. Io poi ho imparato tanto ho conosciuto il volontariato che per me era solo una parola scritta sul vocabolario e pensavo fosse una seccatura ed invece oggi mi riempie di gioia. Ho attraversato tre oceani e chissà se da semplice velista avrei avuto il tempo di farlo».

 

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