Un braccio artificiale per bere e mangiare, la tecnologia rivoluziona la vita dei disabili

Luca si occupa di robotica e ha realizzato un esoscheletro per sua sorella. Un grande passo avanti per l'autonomia delle persone diversamente abili. E la ricerca continua

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di Mattia Abbate

Mia sorella ha una patologia che le provoca problemi motori e cognitivi e questo mi ha spinto a cercare un modo per aiutarla. Ho infatti deciso di studiare ingegneria informatica, ingegneria meccatronica e adesso mi occupo di robotica. Inizialmente ho seguito un dottorato a Losanna, durante il quale abbiamo creato un esoscheletro da braccio per mia sorella con risultati soddisfacenti. Visti i risultati positivi e i benefici dell’esoscheletro da braccio, abbiamo deciso di fondare un’associazione per poter aiutare anche altre persone. Oggi continuiamo a sviluppare esoscheletri per permettere alle persone con patologie neurologiche di potersi muovere in autonomia favorendo la loro inclusione anche lavorativa. Ho fatto una ricerca sul campo parlando direttamente con pazienti clinici per garantire una maggior funzionalità dei miei ausili e per creare un contatto umano e una relazione con le persone. Visti i risultati positivi e i benefici dell’esoscheletro, abbiamo deciso di fondare un’associazione per poter aiutare anche altre persone. Noi cerchiamo, infatti, di utilizzare la tecnologia per restituire autonomia non solo dal punto di vista funzionale, ma anche dal punto di vista sociale, partendo sempre dal fondamentale contatto umano. Dietro tutto questo c’è un lavoro d’equipe: chi si occupa della parte informatica, chi di quella meccanica, chi del design…

Le problematiche principali che abbiamo riscontrato in molte patologie sono legate alle carenze degli arti superiori, l’obiettivo allora è, a titolo di esempio, poter mangiare e poter bere da soli. Ancora esistono pochi dispositivi che riescono a soddisfare qualsiasi esigenza integrandosi perfettamente con le problematiche delle varie persone. Una delle difficoltà maggiori è adattare le tecnologie su arti con imperfezioni fisiche e mobilità ridotta. Per esempio, se ad un braccio viene agganciato un componente, su una persona può funzionare, mentre su un’altra può provocare dolore. Per questo quando facciamo indossare i nostri esoscheletri facciamo molta attenzione a ciò che ci viene riferito dalle persone, nel nostro lavoro è molto importante ascoltare e sviluppare un’empatia con le persone che andiamo ad aiutare. Un altro dei nostri interessi è creare dispositivi che siano confortevoli e allo stesso tempo funzionali. Le nostre tecnologie al momento si concentrano più sugli aspetti legati ad una funzione fisioterapica, per curare contratture, evitare spasticità, rallentare il peggioramento… In futuro mi piacerebbe che il nostro “braccio” venisse commercializzato e vorrei utilizzare la tecnologia per dare una speranza ai bambini e trasformare in parte la loro vita, è un traguardo possibile, posso confermarlo anche per esperienza personale con mia sorella. Una delle nostre priorità è rendere queste tecnologie quanto più accessibili possibile, senza dover spendere cifre esagerate.

Per cambiare la mentalità e abbattere i pregiudizi nei confronti di chi vive con una disabilità, l’unico modo è lavorare sull’inclusione. Altrimenti continueremo a creare delle prigioni di cristallo in cui le persone disabili sono recluse, senza poter fare nulla e passando giornate intere a osservare gli altri vivere. Uno dei momenti più belli nella mia esperienza personale è stato quando, durante un convegno, alcune persone che lavorano nel mio stesso ambito, vedendo mia sorella che riusciva a muoversi, hanno interagito con lei considerandola una del gruppo. Addirittura un collega che all’inizio non sapeva come interagire, il secondo giorno è andato assieme a mia sorella a prendere un caffè alla macchinetta. Un piccolo passo, ma un’esperienza di vera inclusione.

Luca

La tecnologia negli ultimi anni si è sviluppata molto e ha permesso ad alcune persone di fare delle cose inimmaginabili cambiando veramente la loro vita. Cinquant’anni fa non esistevano neanche le carrozzine elettriche per potersi muovere; ora abbiamo anche carrozzine elettriche che ti permettono di stare in piedi. Grazie alla tecnologia degli esoscheletri ci sono persone che sono in grado di camminare e possono andare a lavorare: è un cambio di prospettiva importante. Ma anche banalmente poter bere un bicchiere d’acqua, oppure mangiare da soli sono autonomie importanti. Per poter sviluppare delle tecnologie che siano funzionali e confortevoli, credo anch’io che sia necessario ascoltare le esigenze delle persone. Molto spesso purtroppo prevale la tendenza a standardizzare gli ausili, magari viene prescritto un joystick per guidare la carrozzina che può andare perfettamente bene a una persona e non essere assolutamente adatto per un’altra. L’ascolto ti permette sempre di considerare degli aspetti ai quali non avevi neanche pensato. Veramente importante è lo sviluppo di una tecnologia inclusiva: permettere di andare a lavorare significa garantire una stabilità economica ma anche consentire di instaurare relazioni. Quando Luca parla di persone disabili che vivono in prigioni di cristallo, ha perfettamente ragione, perché con alcune patologie, se non si viene messi nelle condizioni di poter fare qualcosa, il rischio è quello di non fare nulla, chiudersi in se stessi e rinunciare a vivere la propria vita.

Io credo che il lavoro di Luca stia dando ottimi risultati oltre che per le sue capacità anche grazie all’esperienza diretta nei confronti della disabilità. Come sempre quando la disabilità si vive da vicino si capiscono meglio tante cose. Vorrei rivolgere un invito a tutti coloro che lavorano a contatto con persone disabili: è importante ascoltare le esigenze delle persone e soprattutto non partire dall’idea preconcetta che si stia esagerando con alcune richieste. Per esempio, una volta ho provato un braccio meccanico con il quale, qualsiasi movimento tentassi di fare, mi prendevo a sberle in fronte e mi dicevano che sbagliavo ad utilizzarlo. Poi abbiamo scoperto che, per poterlo utilizzare, bisognava imprimere al braccio una forza tale che, se mai l’avessi avuta, avrei potuto presentarmi per il sollevamento pesi alle Olimpiadi. Continuiamo a lavorare sulle tecnologie perché veramente potrebbero aiutarci molto a vivere meglio e a migliorare le nostre condizioni di vita. Se volete dare un’occhiata a quello che realizzano e progettano nell’associazione fondata da Luca e sapete un po’ di inglese, potete consultare il sito https://emovocare.com

Mattia Abbate, l’autore di questa rubrica, è affetto da distrofia muscolare di Duchenne. “Questo spazio – dice – è nato per aiutare chi convive con difficoltà di vario genere ad affrontarle e offre alle persone sane un punto di vista diverso sulla realtà che le circonda”. Segnalate un problema o raccontate una storia positiva di disabilità all’indirizzo e-mail postacelere.mi@repubblica.it

 

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