Perde il lavoro ma la fotografia lo salva: chi è Ettore, l’occhio “narratore” di Caltanissetta

A Caltanissetta è un volto noto, una di quelle persone che ti arricchisce solo parlandoci. Ecco la storia di Ettore Maria Garozzo che ha fatto della sua disabilità un punto di forza

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A Caltanissetta è un volto noto. È una di quelle persone che difficilmente passano inosservate.

Redazione di Roberta Barba – Balarm

È una di quelle persone con cui ti fermi a scambiare due chiacchiere del più e del meno e poi ti rendi conto di aver dialogato con lui per oltre due ore senza stancarti e dopo averlo salutato capisci quanto quella persona ti abbia arricchito umanamente, spiritualmente e culturalmente.

Si chiama Ettore Maria Garozzo, classe ’70, è un ex imprenditore industriale, oggi ricopre il ruolo di fotografo ed ama definirsi «narratore autonomo e indipendente di quello che accade in città».

Infatti, si aggira per le vie della città con la sua macchina fotografica al collo. Fino ad una decina di anni fa aveva un’industria a gestione familiare di lavorazione del vetro con circa diciassette dipendenti, ma la crisi economica lo costrinse a chiudere i battenti.

«Ho passato un periodo brutto a seguito della chiusura della mia azienda – dice -, durante il periodo di stop ho pensato molto e ho capito che le strade da prendere potevano essere soltanto due: lasciarmi sopraffare dalla depressione oppure reinventarmi. Così decisi di reinventarmi dedicandomi alla mia passione di sempre: la fotografia. Iniziai come fotoamatore fino a diventare un fotografo vero e proprio. Adesso è il mio lavoro.»

Così nel 2014 intraprende un corso di formazione dedicato con Shoba Battaglia, figlia della più nota fotografa palermitana Letizia Battaglia. Sì, dedicato perché Ettore è una persona con una disabilità motoria.

«Shoba mi ha permesso di formarmi in campo fotografico, insieme abbiamo fatto un lavoro di cinque giornate, che è poi sfociato nella realizzazione del progetto “Un sorriso per Caltanissetta” con l’obiettivo di creare e sviluppare il senso di collaborazione e partecipazione tra i nisseni.

Ci tenevo tanto a quel progetto. Io uscivo da una crisi economica che mi ha costretto a chiudere la mia azienda, ma mi sono fatto forte ed io penso che il sorriso non debba mai mancare, a nessuno. Così ho deciso di donare un sorriso a tutte quelle persone che stavano vivendo la mia stessa situazione precaria.

Scattai circa 1700 fotografie, le persone scelte erano le più disparate e le ho ritratte mentre sorridevano tenendo in mano una cornice che inquadrava il loro volto. Poi assieme a Shoba e Letizia, dopo aver revisionato tutti quegli scatti e scelto i migliori, organizzammo una mostra fotografica e fu proprio quella mostra che mi ha permesso di farmi conoscere come fotografo.»

In seguito a questa esperienza e consapevole delle sue doti nell’arte della fotografia, Ettore decise di aprire uno studio fotografico, dove ancora oggi invita persone diverse per età, sesso e religione per essere ritratte dalla sua mano sapiente e capace.

«A me piace tanto raccontare le persone. I miei ritratti non cercano il bello in sé, ma raccontano le persone attraverso i loro racconti. Per me la ritrattistica è un percorso, è una narrazione del sé».

A proposito del sé, ho chiesto ad Ettore come affronta quotidianamente la sua disabilità.

«Non esiste un’alternativa di un me normale – spiega -. La disabilità mi limita nella mobilità però sono consapevole dei miei limiti, ho cercato di ascoltare la mia diversità attraverso la mia sensibilità.

Sono stato molto fortunato, perché nella mia famiglia non mi hanno mai trattato come un diverso, mi hanno cresciuto come un normodotato, ma con la consapevolezza dei miei limiti e mi hanno sostenuto a tal punto da fare della mia disabilità un punto di forza. Se fai caso alle mie foto, queste vengono riprese da una prospettiva dal basso e proprio questa particolarità è diventata lo strumento per raccontare il mio modo di vedere.»

Ettore affronta la sua diversità con ironia e serietà così come affronta la fotografia e l’arte in particolar modo.

«L’arte deve avere un ruolo sovversivo, ovvero deve provocare, deve andare oltre la condizione che ci si era prefissati prima di giungere all’obiettivo finale. Oggi l’arte ha un ruolo fondamentale perché rappresenta l’utopia, il sogno, l’irrealizzabile.»

I suoi ritratti fotografici, infatti, sono spesso provocatori e sovversivi. Così come lui stesso risulta essere un provocatore e questa sua caratteristica, a volte, non viene compresa dalla massa, ma da pochi.

«Io sono un poliedrico, io spingo talmente tanto avanti una discussione, un pensiero che la gente non è, spesso, in grado di discernere e per me questa è una grande sofferenza. Io però sono consapevole che non detengo alcuna verità, ma mi piace innescare il dubbio.

Così come nella fotografia: io non fotografo tanto per fotografare, ma per me quella fotografia ha un senso; utilizzo spesso dei simbolismi elementari ma significativi, per me è l’’sasperazione di quello che non siamo abituati a vedere. Inoltre, la mia è una ricerca costante e frequentemente la mia fotografia si scontra con l’antropologia, infatti io spesso racconto le persone attraverso i luoghi, ma dietro c’è uno studio approfondito.»

Ettore Garozzo fa parte, a pieno titolo, della cittadinanza attiva della città di Caltanissetta. Infatti, è sempre presente ad eventi di ogni tipo ed è stato anche politicamente attivo come consigliere comunale a Caltanissetta tra il 1993 ed il 1997 per la lista civica “Patto per la Città”. Nel 2019 era stato indicato assessore nella lista “PROVIAMOCI” capitanata dal candidato a Sindaco Salvatore Messana, ma senza risultati.

Oggi, il suo impegno politico in senso ampio continua: «Scopro il piacere di fare politica attraverso la fotografia. Se ci pensi la fotografia è uno strumento di grande potere, maggiore della parola stessa. Per me fare politica significa essere al servizio della collettività e la fotografia è lo strumento ideale. Fotografare significare generare un messaggio ex novo».

A tal proposito ho chiesto ad Ettore cosa ha significato per lui la pandemia e cosa ha fatto per continuare la sua militanza di cittadino attiv.:

«La pandemia mi ha arricchito. Io mi ritengo una persona molto fortunata, nonostante tutto, anche perché non avendo più un’azienda non dovevo preoccuparmi dei miei dipendenti. Quei mesi sono stati importanti per me perché ho avuto modo di pensare ai nuovi progetti. Sono consapevole anche del ruolo che ho avuto sui social, attraverso i quali sono riuscito a sdrammatizzare sui problemi di quel determinato periodo».

Dal 2014 al 2018 Garozzo ha realizzato parecchi progetti fotografici e tutti con tematiche importanti: dai migranti ai bambini alle donne vittime di violenza ai progetti a scopo prettamente benefico. Ha organizzato anche dei corsi di fotografia, di cui uno con un gruppo di bambini, che lo hanno arricchito dal punto di vista formativo, e spera di poterne organizzare altri al più presto coinvolgendo persone di tutte le fasce di età, dai bambini agli anziani.

Si è dovuto fermare a causa della pandemia, ma è in fase di ricerca costante e in cantiere ha importanti e nuovi progetti.

 

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