Giudice di Torino fa ricorso: “Somma insufficiente a garantire le elementari esigenze di vita, violato il principio di uguaglianza”

Versare una pensione da 285 euro al mese a un invalido al cento per cento, e aspettarsi che riesca a a viverci “è contro la Costituzione”. Sarà la Consulta a pronunciarsi, la prossima settimana, sull’adeguatezza dell’importo e sui requisiti anagrafici per la concessione delle pensioni per l’invalidità totale. Nell’udienza pubblica di martedì, infatti, i giudici costituzionali esamineranno due questioni di legittimità sollevate dalla sezione lavoro della Corte d’appello di Torino, inerenti l’articolo 12, primo comma, della legge del 1972 sugli invalidi civili e l’articolo 38, comma 4, della legge Finanziaria 2002: la prima delle due disposizioni censurate riconosce ai mutilati e invalidi civili di età superiore a 18 anni, dei quali sia stata accertata una totale inabilità lavorativa, la concessione della pensione di inabilità.

L’importo, originariamente stabilito in 234mila lire annue, è stato elevato, nel tempo, attraverso specifici provvedimenti legislativi ed è soggetto a perequazione automatica. Il giudice rimettente solleva dubbi di legittimità costituzionale in riferimento all’articolo 38, primo comma della Costituzione, con riguardo all’importo della pensione di inabilità, considerato “insufficiente a garantire il soddisfacimento delle elementari esigenze di vita” (il giudice ricorda che, nella causa da lui trattata la pensione ammontava, nel 2019, a 285,66 euro per tredici mensilità).

La stessa disposizione viene censurata con riferimento all’articolo 3 della Costituzione per “violazione del principio di uguaglianza, ponendo a confronto l’importo della pensione di inabilità, corrisposta agli inabili a lavoro di età compresa tra i 18 e i 65 anni, e l’importo dell’assegno sociale corrisposto ai cittadini di età superiore a 66 anni in possesso di determinati requisiti reddituali, meno favorevoli di quelli di riferimento per il riconoscimento della pensione di inabilità”.

Secondo il giudice rimettente, considerata la sostanziale assimilabilità dei due benefici, sarebbe “irragionevole” riconoscere al soggetto inabile al lavoro infrasessantacinquenne un trattamento sensibilmente inferiore a quello dell’assegno sociale nonostante la comune situazione di bisogno determinata dalla inabilità al lavoro.

Inoltre, con la sua ordinanza, la Corte torinese evidenzia “contrasti” con gli articoli 10, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione in riferimento alla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità e agli articoli 26 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

La seconda disposizione censurata, invece, dispone la concessione, in presenza di determinate condizioni reddituali, di benefici incrementativi dei trattamenti riconosciuti, tra gli altri, agli invalidi civili totali di età superiore a sessanta anni. Anche tale disposizione, a parere del rimettente, risulterebbe “irragionevole” e in contrasto con gli articoli 3 e 38, primo comma della Costituzione, con “particolare riguardo alla situazione di quegli invalidi civili che, anteriormente al compimento del sessantesimo anno di età, si trovano in condizioni di gravissima disabilità e privi della benchè minima capacità di guadagno”.

 

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