Anziana uccide figlia disabile. Ennesimo dramma di solitudine e abbandono

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Accade ad Orbassano alle porte di Torino che una madre di 85anni, durante la notte, infierisce sulla figlia di 44anni, disabile dalla nascita, colpendola con un martello.

Il marito di 87anni, riposava nella stanza accanto ed ha dato l’allarme al mattino, quando al risveglio si è trovato dinnanzi ad una scena spaventosa. La donna, dopo aver colpito la figlia ha preso una forte dose di farmaci ed è stata trasportata all’ospedale di Orbassano. Il martello era sul comodino, la giovane donna era priva di vita. Saranno stati molteplici i pensieri di questa madre, così come altrettante le richieste di aiuto inviate a “sordi” uditori. Storie queste di drammi famigliari a cui è difficile dare spiegazioni, ed ancor più difficile l’immedesimazione. Crescere per 44anni un figlio disabile non è cosa semplice.

Una vita che si rivoluziona completamente. Il tempo che non porta miglioramenti, ma che accentua le problematiche già esistenti. L’isolamento a cui inevitabilmente si viene sottoposti, sì perché giudicare è semplice ma esserci è estremamente complicato. Generalmente sentiamo dire che è un dolore devastante la perdita di un figlio, così come pure è devastante dovergli sopravvivere. Due anziani genitori che hanno scelto di averla questa figlia, che si sono prodigati affinché non le mancasse nulla. Due anziani che forse avrebbero avuto loro bisogno di assistenza, di conforto, di ascolto. Trascorrono i giorni e con l’età che avanza sicuramente ci si ritrova a pensare che non si vivrà in eterno e che quella figlia si ritroverà senza i suoi punti di riferimento, e questo spaventa, lacera l’anima, fa sprofondare in quel tunnel buio del cosa né sarà di lei domani, quando non ci saremo più. Una madre che vede in questa estrema decisione una sorta di liberazione. Una madre che sa perfettamente di compiere qualcosa che risulterà difficile da comprendere, una madre che condanna alla morte, andando a cercare anche la sua. Quasi come a non voler, nonostante tutto, abbandonare questa figlia, trasportando quello che fino a pochi istanti prima, era stato un amore terreno, in un’altra dimensione. Quella dimensione in cui la tribolazione diventa pace, dove nessuno giudica, dove i silenzi non sono più interrogativi a cui non si trova risposta. Vite spezzate, ma anche vite non pienamente vissute. Visite mediche da cui si portano a casa riscontri sempre meno esaltanti, e quel continuo esserci, quell’organizzarsi, quel creare un ambiente atto a non trasmettere solo negatività.

Si può solo immaginare la desolazione, lo sconforto, le ore di sonno perse, e quella vita che ti scorre accanto ma che non si riesce ad afferrare mai. Chissà, forse per questa madre, questa dolorosa scelta è stata vista come la fine di una sofferenza, troppo grande da continuare a trasportare, su spalle che con il trascorrere degli anni diventano sempre più deboli e curve. Storie come questa meritano rispetto ed attenzione. Storie come questa fanno “salire in cattedra” chi è sempre stato da altre parti del mondo intanto che in quel contesto di aiuto c’era bisogno. Storie come questa aprono scenari su cui non calare mai l’attenzione. Sono molte infatti le famiglie in cui ci sono disabili. Famiglie che si sono dovute mettere in gioco con le loro forze, magari non raggiungendo grandi risultati ma continuando a regalare amore e disponibilità. Non bisogna trascurare l’assistenza e gli aiuti che dovrebbero essere elargiti da Regioni e Comuni. Aiuti che tendono a scarseggiare, che non sono uguali in tutte le regioni del nostro paese. Aiuti che diventano fondamentali anche per la sanità mentale di chi prendendosi cura del “suo” disabile non né ha più per se stesso.

Città che continuano ad avere barriere architettoniche difficili da superare e che rendono dei brevi spostamenti un’ardua impresa. Farmaci specifici che incidono sul bilancio familiare, attrezzature non sempre disponibili gratuitamente. Disposizioni degli spazi in casa da reinventare, se si ha lo spazio. E da ultimo il grande parlare che difficilmente si traduce in aiuto reale. Sì perché a volte si diventa maestri delle difficoltà altrui, oppure le sminuiamo, senza renderci conto che basterebbe un solo giorno vissuto in una situazione simile a farci capitolare. Chi si ritrova un disabile in casa si deve trasformare in infermiere, fisioterapista, accompagnatore, logopedista. Questo perché anche nelle città in cui è presente l’assistenza le liste d’attesa sono lunghe, le sedute concesse non sono più di dieci. Ed allora, quando si ha la “fortuna”di averle, si cerca di osservare, di portare via il lavoro dalle mani di chi lo svolge, già consci che questo beneficio avrà un termine e che a breve ci si ritroverà nuovamente soli a fronteggiarsi con i problemi.

Burocrazie, pratiche da aprire, documenti da consegnare, tutto relativamente fattibile fino a che si è giovani, ma in avanzata età è chiaro che non può più essere la stessa cosa. Ovvietà a cui nessuno pensa, a cui si risponde che molte cose si possono fare online. Ma quanti ad 85 anni possiedono questa dimistichezza con la tecnologia? Si vive in un paese che ha bisogno di assistenza ma che non è in grado di darla, si vive nella competizione dimenticando chi non riesce a tenere il nostro passo, o chi non cammina proprio più. Si nascondono e male, le nostre mancanze dietro deboli e poco credibili scuse. Ancora vittime di pregiudizi verso chi ha un handicap, ci dimentichiamo della loro sofferenza e di quanto basterebbe poco per donare un po’ di sollievo a chi di questo sollievo ha realmente bisogno. Come sempre, quando ci si imbatte in notizie come questa si resta colpiti, ci si dice sconvolti, si giudica il dolore con dosi di acredine da stroncare un elefante. Non si può né si deve giudicare, sarebbe il momento invece di riflettere e per chi può di aiutare. Magari con una visita in più, magari offrendosi per svolgere qualche commissione, magari semplicemente attraverso un piccolo ed inaspettato dono.

Ma siamo fatti così, scegliamo sempre i tempi ed i modi sbagliati, facendo sentire sbagliati coloro che hanno affrontato scelte coraggiose, mettendoci quel coraggio che noi non conosceremo mai.

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