Le persone sorde in un mondo di mascherine

Per loro sono un grande ostacolo comunicativo, e non esistono soluzioni facili

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Nelle settimane in cui c’erano quotidiane conferenze stampa della Protezione Civile, molti hanno notato la presenza di un’interprete che traduceva le parole pronunciate in LIS, la lingua dei segni italiana. Non tutti però potrebbero aver pensato o notato – allora come in questi giorni – a quanto quel positivo segnale di attenzione si stesse accompagnando a un enorme problema per le persone sorde: le mascherine usate per limitare le possibilità di contagio sono per loro un gigantesco ostacolo comunicativo.

In Italia e all’estero, in ogni contesto in cui è giustamente previsto l’uso di mascherine, per le persone sorde viene meno la possibilità di leggere il labiale altrui. Se l’interlocutore ha la bocca e buona parte del viso coperti da una mascherina, chi è sordo – anche chi beneficia dell’ausilio di protesi acustiche o impianti cocleari – si trova notevolmente ostacolato nella comprensione di quello che gli viene detto, anche perché la sordità è una disabilità “nascosta”, in quanto non immediatamente visibile agli altri.

Le prime soluzioni che vengono in mente, le più immediate, sono due: concedere alle persone sorde e a chi si trova a interagire con loro di abbassarsi la mascherina, anche al chiuso: ma appunto, non tutti sanno che stanno interagendo con una persona sorda finché questa non lo dichiara; oppure diffondere mascherine trasparenti. Nessuna delle due è una vera soluzione: la prima finisce per discriminare le persone sorde e chi sta loro intorno, mettendoli più a rischio di altri; la seconda perché è oggettivamente di difficilissima attuazione.

A proposito dell’eventualità di rinunciare alla mascherina, Jennifer Finney Boylan, che perse gran parte del suo udito diversi anni fa, ha scritto sul New York Times: «Lasciate che sia chiara: anche con tutte le difficoltà che si portano dietro le mascherine, preferisco vivere in un mondo in cui la gente le indossa che in uno in cui non le indossa».

Se la proposta di far togliere le mascherine alle persone sorde e a chi interagisce con loro è stata subito scartata, ha invece avuto più presa quella relativa alla diffusione di mascherine trasparenti: gli articoli sull’argomento sono stati davvero molti e Irene Coppola, una sarta di Gallipoli, è stata insignita dellonorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica proprio per aver realizzato maschere trasparenti. Tuttavia, anche in questo caso ci sono dei problemi: a cominciare dal fatto che le mascherine trasparenti coprono comunque parte del viso, rendendo difficile carpire al meglio tutte le espressioni di chi parla, che in molti casi sono parte integrante della “grammatica” della lingua dei segni.

Inoltre, le mascherine trasparenti sono spesso descritte come più scomode (in breve: sono più rigide e si appannano) e di più difficile omologazione. Soprattutto, poi, per essere utili le mascherine trasparenti – o altri tipi di protezioni e visiere che non nascondano la bocca – dovrebbero avere una larghissima diffusione: è piuttosto impossibile pensare, specie dopo aver visto i problemi nella diffusione di quelle non-trasparenti, che si possano diffondere in tempi ragionevolmente brevi.

Enti e associazioni, compreso l’ENS (Ente Nazionale Sordi), si sono mossi in molti modi – a livello internazionale, nazionale e locale – per incentivare l’uso di mascherine trasparenti, ma fin qui senza grandi risultati. E visto che è altamente probabile che di mascherine si continuerà a parlare a lungo, continuerà a esserci anche il problema di come unire la protezione fornita dalle mascherine con le necessità di interazione delle persone sorde.

Come ha scritto sul Washington Post la scrittrice Sara Nović, «offrire le maschere trasparenti come una “soluzione” fa parte della troppo diffusa convinzione che sia più facile accumulare strumenti, tecnologie e supporti individuali per le persone sorde e le altre persone con disabilità, rispetto ad agire per rendere più generalmente accessibile l’intera società».

Una soluzione facile non esiste, ma secondo Nović serve che «il peso della comunicazione» debba smettere di cadere soprattutto sulle spalle delle persone sorde, che in genere, quando devono parlare con persone che ci sentono, «finiscono spesso per dover fare la maggior parte del lavoro». Come ha spiegato la sezione lombarda dell’ENS, anche all’estero «la situazione è analoga a quella italiana», senza facili soluzioni, con «qualche privato che sperimenta la produzione di mascherine trasparenti» e «nessun impegno da parte dei governi per la certificazione e distribuzione delle stesse».

Servirebbe, per esempio, che più persone imparassero almeno le basi della lingua dei segni, così da poterla usare per interagire meglio con le oltre 90mila persone non udenti che si calcola ci siano in Italia, per esempio. Oppure, per iniziare, tenere a mente alcune semplici regole proposte dall’ENS.

 

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