Alcuni bambini nascono ipoacusici già alla nascita ed in questo caso di parla di ipoacusia congenita che interessa circa 1 neonato su 1000, ma una diagnosi precoce offre una correzione ottimale di questa patologia.
Redazione nostrofiglio
Ne parliamo con la dott.ssa Eliana Cristofari, Responsabile della Struttura Semplice Dipartimentale di Audiovestibologia Pediatrica dell’ASST Sette Laghi di Varese.
Ipoacusia nei neonati
Con il termine ipoacusia si intende una perdita uditiva neurosensoriale dovuta a una disfunzione dell’orecchio. Se l’ipoacusia è presente già alla nascita, si parla di ipoacusia congenita che può riguardare un solo orecchio o entrambi. “Quando parliamo di ipoacusia congenita, ci riferiamo a bambini che nascono già sordi – spiega la dott.ssa Cristofari – e che quindi sono sordi fin dalla 26° settimana di vita intrauterina epoca nella quale il feto ha già sviluppato l’orecchio interno, cioè l’organo dell’udito”.
Nel nostro paese l’ipoacusia congenita interessa, secondo i dati Istat circa un bambino su 1000, ma vi sono anche neonati che diventano sordi poco dopo la nascita o nei primi anni di vita e questo fenomeno riguarda circa 10 bambini su 1000.
Ma quali sono le cause dell’ipoacusia congenita? Vediamole insieme.
Le cause dell’ipoacusia nei neonati e nei bambini
“L’ipoacusia congenita può avere cause genetiche, ma anche infettive, tossiche o malformative che provocano il malfunzionamento dell’organo dell’udito” spiega Cristofari.
Ipoacusia congenita genetica
Molte forme di ipoacusia congenita sono genetiche, significa che i bambini che nascono con questa patologia l’hanno ereditata dai propri genitori. Questa trasmissione di difetti genetici, cioè difetti del DNA, provoca una perdita di funzionalità delle cellule uditive.
“La più comune è la sordità genetica da mutazione del gene connessina 26 – precisa la dott.ssa Cristofari – capita infatti che i genitori siano portatori sani e che quindi il bambino nasca sordo. Ci sono poi tanti altri geni responsabili della sordità, ma questo è il più comune”.
L’ipoacusia dovuta a difetti genetici può essere presente alla nascita, oppure può svilupparsi successivamente nel corso della vita.
Ipoacusia congenita non ereditaria
“L’ipoacusia congenita può avere anche cause infettive o tossiche. In particolare, la causa più frequente di sordità congenita, dopo le cause genetiche, è l’infezione da citomegalovirus che la mamma ha contratto o riattivato il virus, durante i primi tre mesi di gravidanza” spiega Cristofari. Nel caso dell’infezione congenita da citomegalovirus, il bambino può nascere udente e, quindi, superare lo screening audiologico neonatale, ma diventare sordo successivamente.
L’ipoacusia congenita può essere causata anche da altre infezioni virali contratte dalla madre come la rosolia, la toxoplasmosi e il morbillo.
Tra le altre cause di sordità congenita, vi sono anche quelle definite tossiche, “significa cioè che la madre durante la gravidanza ha assunto farmaci troppo aggressivi oppure ha fatto uso di sostanze stupefacenti o abusato di fumo e alcoolici”.
Infine, un’altra causa importante di ipoacusia sono le malformazioni congenite. “In questo caso abbiamo dei bambini che non sviluppano completamente o non correttamente il loro orecchio interno e quindi nascono con una malformazione. Questi bimbi sono già sordi alla nascita e la causa si scopre solo con indagini morfologiche come la risonanza magnetica o la tac” aggiunge la dott.ssa Cristofari.
Quando l’ipoacusia compare dopo la nascita
Come precisa il Ministero della Salute, vi sono poi alcune sordità che non sono presenti alla nascita, ma sono acquisite in epoca peri-natale (1° mese di vita) a causa di ittero o di terapie antibiotiche per via endovenosa necessarie per trattare gravi infezioni.
Le ultime linee guida del Joint Committee on Infant Hearing (Comitato internazionale multidisciplinare sulle ipoacusie infantili), sottolineano che la perdita dell’udito nei bambini può essere dovuta anche a malattie infettive come la meningite o, più raramente, a infezioni come parotite e morbillo.
Come si manifesta l’ipoacusia
I genitori hanno un ruolo fondamentale nel riconoscere i primi possibili campanelli d’allarme. Al di sotto dell’anno di vita, in assenza di diagnosi precoce (come spieghiamo dopo) il genitore potrebbe notare che il bambino non reagisce agli stimoli vocali o ai comuni rumori ambientali. “Già a partire dai 6-7 mesi i bambini iniziano la lallazione e producono quindi dei vocalizzi, spontanei o per imitazione – spiega la dott.ssa Cristofari. Anche i bambini sordi inizialmente producono questi vocalizzi, ma la loro lallazione è limitata, mentre i bambini udenti proseguono il loro percorso verso l’acquisizione del linguaggio. Il fatto che un bambino intorno all’anno di vita non reagisca ai suoni e non produca alcuna forma di vocalizzo deve allertare i genitori, i quali devono informare immediatamente il pediatra ed essere indirizzati verso un centro di audiologia infantile. Nel caso di bimbi più grandicelli che frequentano la scuola dell’infanzia, invece, a volte sono gli insegnanti a notare qualcosa di strano nel comportamento del bimbo. Possono accorgersi, ad esempio, che il bambino è iperattivo oppure tende ad isolarsi. Se gli insegnanti o i genitori hanno un dubbio, anche minimo, non devono attendere perché prima si arriva a una eventuale diagnosi di ipoacusia e meglio sarà per il futuro del bambino”.
Lo screening audiologico neonatale in Italia
Al giorno d’oggi è possibile sospettare una ipoacusia congenita fin dai primi giorni di vita del bambino grazie allo screening audiologico neonatale con le “otoemissioni acustiche”. “In Italia nel 2017 sono stati aggiornati i livelli essenziale di assistenza (LEA) e lo screening audiologico neonatale è stato inserito fra le prestazioni da eseguire a tutti i nuovi nati” dice Cristofari, che poi continua “si tratta di un’indagine davvero molto rapida ed efficace che si esegue nel giro di pochi minuti, appoggiando una piccola sonda che emette suoni all’orecchio del neonato e che registra al contempo i suoni emessi dalla sua coclea”.
Se il neonato supera questo primo test, e non ci sono altri fattori di rischio noti (familiarità, nascita prematura, infezioni in gravidanza, ittero o positività al citomegalovirus o alla toxoplasmosi, per esempio), viene dimesso dal programma di controllo e si consegna ai genitori un documento in cui sono indicati i comportamenti che i bambini udenti hanno fino ai primi tre anni di vita.”Se invece lo screening neonatale non viene superato, si ripete l’esame dopo 15 giorni e, nel caso risulti nuovamente dubbio sarà indirizzato ad un centro di audiologia infantile per la diagnosi definitiva”.
Ci sono poi dei bambini che in realtà superano il test, ma che nella loro storia presentano dei fattori di rischio:
- figli di genitori o che in famiglia hanno dei sordi congeniti;
- basso peso alla nascita;
- sofferenza alla nascita;
- infezione da citomegalovirus nella mamma o nel neonato alla nascita.
Tutti questi bambini entrano in un programma di monitoraggio fino a che non si è sicuri che il bimbo non sviluppi una sordità legata a quei fattori di rischio.
La diagnosi di ipoacusia nel neonato e nel bambino
Come dicevamo poco sopra, oggi tutti i neonati nati negli ospedali italiani vengono sottoposti allo screening audiologico neonatale che permette di individuare i neonati a rischio di ipoacusia e di indirizzarli ad un centro di audiologia infantile per la diagnosi precoce entro i primi 3 mesi di vita.
“Se l’ipoacusia viene sospettata qualche mese o qualche anno dopo la nascita, per arrivare a una diagnosi certa bisogna seguire alcuni step – spiega Cristofari – la prima cosa che si fa è osservare il bambino, come si muove, come si comporta e come comunica, dopodiché si passa all’anamnesi, cioè si pongono delle domande ai genitori per capire la storia del bambino e della famiglia. Dopo la visita si parte con una serie di esami che variano a seconda dell’età del paziente.” Si faranno quindi indagini:
- oggettive: cioè esami strumentali come l’impedenzometria, le otoemissioni acustiche e i potenziali evocati uditivi;
- soggettive: che dipendono cioè dal tipo di risposta che dà il bambino. Ad esempio, si mandano dei suoni in un ambiente e si vede come il bambino risponde (audiometria comportamentale).
Di fondamentale importanza è la diagnosi comunicativa per capire e quantificare quanto la sordità impatti sul suo sviluppo comunicativo e sull’acquisizione del linguaggio verbale.
Una volta ottenuti tutti i dati necessari è possibile fare una diagnosi sia audiologica che comunicativa e definire così la modalità di intervento.”È importantissimo che i genitori non sottovalutino alcuni possibili campanelli d’allarme e che in caso di dubbio contattino il pediatra perché prima si arriverà alla diagnosi e migliore sarà il risultato finale”.
Come si interviene in caso di ipoacusia?
“Tutto dipende dalla diagnosi che viene posta, ma attualmente esistono soluzioni per quasi tutti i tipi e gradi di ipoacusia. Nei bambini con ipoacusia lieve o di media entità si interviene con delle protesi acustiche e con dei sistemi wireless che consentono di abbattere l’effetto negativo del rumore ambientale” spiega Cristofari. “Se, invece, l’ipoacusia è di grado grave o profondo, le protesi acustiche non saranno in grado di compensare il deficit uditivo e si potrà ricorrere all’impianto cocleare“. È il cosiddetto “orecchio bionico”, un dispositivo che viene posizionato nell’orecchio interno mediante un intervento chirurgico e che stimola le fibre del nervo uditivo. “In questo modo anche i sordi profondi possono avere una vita comunicativa identica a quella delle persone udenti. Fondamentale, lo ribadiamo, è una diagnosi tempestiva così che il bambino possono seguire un percorso riabilitativo finalizzato all’acquisizione del linguaggio verbale come i bambini udenti di pari età” conclude la dott.ssa Cristofari.