L’AQUILA – “Stai tranquilla, stai bene”. Il messaggio prende forma nella lingua dei segni, riesce a superare le barriere di quelle mascherine che lasciano scoperti solo gli occhi, e accendono una scintilla di speranza in una stanza del reparto Covid del Policlinico Gemelli di Roma.
“Il ‘dizionario’ ha funzionato” ha pensato in quel momento l’aquilano Marco D’Angelo, 28 anni, medico specializzando alla Scuola di Medicina interna della Cattolica di Roma, che per comunicare con una paziente sorda di appena 37 anni, positiva al covid, ha deciso di imparare in poco tempo quei segni che almeno gli consentissero di accoglierla e assisterla in fase di ricovero. Dal pronto soccorso arrivano nel reparto pazienti positivi che hanno bisogno di terapie per gestire la polmonite da covid: “da lì ci hanno chiamato per comunicarci che sarebbe arrivata una paziente sorda, in una fase acuta della malattia. Ho cominciato a preoccuparmi e a chiedermi in che modo avremmo potuto comunicare, visto che è già difficile potersi capire in questo periodo a causa dei dispositivi di protezione.
Circa mezz’ora per studiare i rudimenti della lingua dei segni prima di visitarla, “mi sono affidato, anche con un po’ di perplessità, ad un sito che fortunatamente si è rivelato attendibile”. “Hai dolori?”, “fai fatica a respirare?”, è riuscito a chiedere alla giovane paziente.
In quel momento, spiega D’Angelo ad AbruzzoWeb, “dopo il primo iniziale momento di smarrimento, ha spalancato gli occhi e mi ha sorriso. Allora ho capito che bastano pochi semplici segni per cambiare il corso delle cose, per trasmettere un messaggio positivo e infondere ottimismo in un momento così duro. Le cure non bastano in certi casi, una parola di conforto, nel momento giusto, può davvero fare la differenza e spingere qualcuno a non arrendersi, a continuare a lottare”.
D’Angelo, figli del noto imprenditore edile Ivo, è sul “campo” da fine ottobre, nel pieno della seconda ondata, specializzando al secondo anno alla Scuola di Medicina interna della Cattolica di Roma, diretta da Antonio Gasbarrini, nel presidio Columbus diretto dal professor Giovanni Addolorato.
Una storia accaduta la scorsa settimana, che ha destato particolare interesse ed è stata raccontata da quotidiani e tg nazionali, e che fa sperare in un lieto fine: “fortunatamente la paziente è migliorata, la malattia era in una fase abbastanza avanzata, quindi ha anche dovuto fare un paio di giorni in terapia intensiva. Poi è tornata nel nostro reparto, da qui verrà dimessa nel giro di qualche giorno e potrà finalmente tornare a casa”. (a.c.)