Napoli – Il logopedista ‘figura chiave’ dopo la terapia intensiva neonatale
Ogni anno in Italia circa 50 mila bambini nascono prematuri: uno su cinque riporterà conseguenze gravi nel lungo termine, dalla sordità a quadri di disturbi comportamentali, fino al 50% avrà ripercussioni più lievi ma comunque invalidanti come disturbi del linguaggio o difficoltà di apprendimento. Alcune conseguenze possono essere scongiurate con un intervento del logopedista, integrato nell’équipe della terapia intensiva e nella continuità delle cure
Napoli, 17 maggio 2018 – In Italia ogni anno 50 mila neonati, pari a un neonato su dieci, nascono prima della 37a settimana. Sono piccoli e fragili, da trattare con cura speciale, di basso peso e/o con danni neonatali, per cui prima di tornare a casa con mamma e papà trascorrono giorni o settimane ricoverati in una terapia intensiva dove si decide il loro destino. Un prematuro su cinque, infatti, avrà danni a lungo termine anche gravi, dalla sordità alla paralisi cerebrale e deficit mentali, e fino a uno su due presenterà ripercussioni più lievi, ma invalidanti, come disturbi del linguaggio, difficoltà di apprendimento o deficit dell’attenzione e iperattività, e l’80 per cento avrà difficoltà nell’alimentazione orale, con un rischio di conseguenze molto elevato nei grandi prematuri, che nascono prima della 32a settimana e sono il 2% del totale. Una cura a 360 gradi che tenga conto di tutte le esigenze di questi piccoli può fare la differenza: la presenza di un logopedista in terapia intensiva può rivelarsi decisiva per accorciare la degenza, riducendo problemi come le difficoltà nell’alimentazione autonoma e nella comunicazione, o i possibili disturbi nello sviluppo neuropsicologico. Soprattutto a rappresentare una sfida particolarmente difficile per i neonati prematuri, e che rende importante la figura del logopedista, è il passaggio dall’alimentazione parenterale o enterale a quella orale. Per questo la Federazione Logopedisti Italiani (FLI) propone che in tutte le terapie intensive neonatali sia disponibile il supporto logopedico, da garantire poi anche dopo la dimissione dall’ospedale, per seguire anche successivamente al ricovero la crescita di questi bimbi così delicati e ridurre al minimo gli esiti di una nascita troppo precipitosa. La proposta nasce da uno studio di Sara Panizzolo, Logopedista Magistrale presso l’Unità Operativa Complessa di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale all’Ospedale Monaldi di Napoli, pubblicato sulla rivista Logopedia e Comunicazione e presentato nell’ambito del congresso nazionale della Società Italiana di Otorinolaringologia in corso a Napoli.
“Nonostante i progressi fatti nel settore dell’area materno-infantile – spiega Tiziana Rossetto, presidente della FLI – la prevalenza di nascite premature non diminuisce nel tempo, anzi la loro sopravvivenza aumenta grazie a cure mediche e tecnologiche innovative; tuttavia la prematurità e il basso peso alla nascita rappresentano tuttora ben il 63% delle cause di mortalità sotto i 5 anni di vita e possono comportare conseguenze serie per la salute a lungo termine del bambino, molto variabili da caso a caso”.
“I piccoli prematuri ricoverati in terapia intensiva – precisa Sara Panizzolo, Logopedista Magistrale presso l’Unità Operativa Complessa di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale all’Ospedale Monaldi di Napoli – sono sottoposti spesso a manovre invasive come l’intubazione oppure devono assumere farmaci che possono compromettere la vigilanza, la capacità di muovere e usare correttamente la bocca. Possono infatti mancare i riflessi orali o della tosse, ci può essere uno scarso tono muscolare di lingua, guance e labbra, o ancora una scarsa coordinazione e autoregolazione nell’alimentazione. Fino all’80% dei neonati prematuri ha difficoltà nell’alimentazione orale, fino al 49% ciò può avere conseguenze gravi nell’immediato, come un ritardo di crescita o una maggior suscettibilità a malattie croniche; le difficoltà nell’alimentazione – prosegue la dr.ssa Panizzolo – rappresentano anche una delle cause più frequenti di dimissione posticipata: il passaggio dal sondino gastrico all’alimentazione per bocca è molto critico nei nati prematuri e per diventare del tutto autonomi possono occorrere mesi. Inoltre, se le difficoltà non vengono trattate precocemente si possono ripercuotere sulla salute futura del piccolo: la bocca per esempio può presentare un ritardo nello sviluppo di masticazione, lallazione a articolazione verbale che può evolvere in disturbi del comportamento alimentare e del linguaggio. Il logopedista è il professionista più qualificato per la valutazione, il trattamento e la prevenzione di disturbi oro-alimentari e della comunicazione nei neonati prematuri e nei bambini con storia di prematurità: una sua presenza all’interno delle terapie intensive neonatali può consentire un intervento tempestivo e adeguato, tale da permettere una riduzione del tempo di degenza e delle possibili sequele a lungo termine”.
Il trattamento è un lavoro congiunto con l’equipe medica che coinvolge logopedista, madre e infermiere con interventi su misura sul neonato, per esempio individuando strategie, posture e manovre o ausili (ciucci, tettarelle o biberon spesso diversi da quelli usati in reparto), che il logopedista può identificare in base alla morfologia e alla motricità orale del bambino in cura per promuovere la coordinazione utile all’ alimentazione orale. In questo modo si può raggiungere un’alimentazione autonoma e sicura, ridurre il tempo di ospedalizzazione, ma anche prevenire ripercussioni sul linguaggio.
“Un trattamento precoce – riprende la dr.ssa Panizzolo – significa ridurre la probabilità che le alterazioni funzionali si protraggano nel tempo, con ripercussioni negative sulla sfera evolutiva ma anche su quella affettiva e sulla relazione mamma/bambino, per cui Il logopedista dovrebbe poter intervenire precocemente anche in tutte le situazioni in cui ci siano patologie del complesso oro-facciale, dalla sindrome di Down alle malformazioni genetiche, dalle paralisi cerebrali alle paralisi facciali. Inoltre, il logopedista deve essere coinvolto anche dopo la dimissione del bambino dal reparto di terapia intensiva neonatale perché attraverso una valutazione adeguata, per esempio con test e osservazione del piccolo o colloqui e questionari per i genitori, collabora a individuare gli indicatori di rischio per le sequele neuro evolutive a medio e lungo termine. In questo modo si può predisporre un programma individualizzato per prevenire disabilità comunicative o linguistiche, alimentari, cognitive e neuropsicologiche e, nei casi in cui un danno sia già presente, definire un percorso per il recupero delle competenze alterate o non raggiunte”.
L’essenziale dunque è un coinvolgimento precoce del logopedista, perché solo così si possono ridurre al minimo le conseguenze a lungo termine per il bimbo prematuro.
“Purtroppo, però – conclude la presidente Rossetto – nel percorso clinico dei bambini con patologie neonatali il logopedista è tuttora una figura professionale poco considerata in maniera stabile nelle fasi precocissime di intervento: è infatti ancora diffuso un modello di medicina di attesa anziché di iniziativa, perfino nei confronti di questa specifica popolazione sanitaria altamente e prevedibilmente a rischio. Il logopedista spesso è coinvolto solo tardivamente, a danno evidente e alterazioni funzionali già conclamate: così il trattamento è chiaramente più complesso e può essere solo una riabilitazione per disfunzioni stabilizzate o su funzioni già molto compromesse”.