Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire

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Per redigere la tesi “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”, ho raccolto quanti più documenti possibili riguardanti i dibattiti e le controversie giuridiche, educative, sociali e religiose sulla sordità, analizzando e spiegando come gli stereotipi e i pregiudizi hanno influenzato la storia dei sordi.

di Simona Pacifico

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La sordità è soggetta a diversi interessi da parte della società, e anche se scientificamente e tecnologicamente sono stati fatti molti passi avanti per colmare le lacune biologiche delle persone sorde, culturalmente ci troviamo ancora in uno stato di blocco mentale che non ci permette di guardare la sordità con il rispetto e il riconoscimento che merita. Prendendo in analisi degli esempi concreti e quotidiani, si può comprendere meglio quanto la chiusura e il pregiudizio rendano complesso il rapporto tra le persone udenti e i sordi, e addirittura tra i sordi stessi. Inoltre, le testimonianze di persone sorde, articoli di testate giornalistiche, norme giuridiche e le mie esperienze personali, renderanno ancora più vivide le problematiche riguardanti questo argomento.

La sordità, scientificamente chiamata ipoacusia, è il deficit sensoriale che comporta la riduzione o la mancanza del senso uditivo; interessa 360 milioni di persone, circa il 5% della popolazione mondiale.

Per quanto tutt’ora l’origine della patologia non sia sempre chiara, le sue cause possono essere raggruppate in congenite o acquisite e in base alla quantità di decibel mancanti, il livello sordità è classificato come lieve, medio o profondo. Nonostante la storia abbia scardinato la convinzione che i sordi siano incapaci di intendere e di volere, di comunicare e quindi di lavorare, troppo spesso la persona sorda, se non sottoposta già in età preverbale ad una terapia riabilitativa, viene lasciata ai margini della società e relegata ad una vita scarsa di interazioni e relazioni sociali. Già dall’età moderna, Fabrizio D’acquapendente e Stefano De Castro avevano capito che il mutismo del sordo non era collegato alla sua sordità e l’educatore Gerolamo Cardano da Pavia, provò che con il giusto livello di educazione e istruzione, anche le persone sorde potevano essere integrate nella vita sociale, in quanto potevano esprimere i propri pensieri con la scrittura e a volte addirittura con la parola stessa.

Fu solo dalla metà del XVIII secolo però che si arrivò ad una svolta nell’educazione delle persone sorde con la fondazione di istituti speciali; grazie anche alle opportunità di scambi culturali internazionali, fu conseguenziale un arricchimento e uno sviluppo dei metodi educativi. In seguito a dibattiti, confronti, accese controversie dottrinali, e soprattutto agli studi di William Stokoe, venne attribuito uno specifico vocabolario alle lingue non verbali, arrivando infine alla denominazione di “Lingua dei Segni”, che sostituì definitivamente ogni altra definizione, e fu di fatto approvata e utilizzata con una sua specifica struttura, grammatica e logica.

La mancanza di una corretta informazione rende di fatto ancora poco utilizzata questa denominazione, cambiando la lingua in linguaggio e il segno in gesto, fuorviando quindi la corretta interpretazione di quella che è effettivamente una lingua e non un insieme di gesti iconografici universali. Nonostante ci siano leggi europee riguardo l’approvazione della lingua dei segni come vera e propria lingua legata ad un contesto culturale, in Italia non è stata ancora riconosciuta a causa di una faida interna tra i sordi oralisti, segnanti e bilingue.

La scelta di schieramento di una persona sorda è spesso determinata dal suo contesto familiare e sociale; l’essere nato quindi da una famiglia sorda o udente, comporta delle dinamiche psicologiche riguardanti l’accettazione della sordità, la protesizzazione del bambino e di conseguenza il percorso educativo.

Accettare la sordità e affrontarla non come un problema irrisolvibile, ma come un percorso differente di interazione, è però tutt’altro che semplice, poiché la negazione è di solito la prima barriera da abbattere; è solo dopo aver preso consapevolezza della situazione e dopo aver superato i possibili sensi di colpa che si comincia ad affrontare un cammino di stimoli positivi che porteranno il bambino sordo a ricevere una educazione adeguata e un supporto protesico. Col passare del tempo, i genitori potranno recuperare la stima in se stessi e riconosceranno il proprio figlio non come un problema. Di basilare importanza è fornire al sordo la possibilità di recuperare quanto più possibile la funzione uditiva, scegliendo tra l’utilizzo della protesi acustica o dell’impianto cocleare, e conseguentemente il metodo educativo più consono.

Dopo aver analizzato il percorso della persona sorda dalla sua nascita al suo sviluppo educativo, culturale e psicologico, viene approfondito il tema della cattiva informazione legata ai pregiudizi e agli stereotipi riguardanti la sordità e le persone sorde.

Molto spesso le persone udenti credono che i sordi siano muti e ritardati e altrettanto spesso trattano i sordi non come loro pari, facendo così scattare nei sordi un meccanismo di difesa che li porta inevitabilmente a creare nuovi pregiudizi nei confronti degli udenti.

I pregiudizi però non riguardano solo gli udenti nei confronti dei sordi e viceversa bensì anche tra le diverse fazioni di sordi: un sordo segnante infatti può vedere un sordo oralista come una sorta di “traditore” mentre un sordo oralista può vedere un sordo segnante come una persona chiusa nel suo handicap. Questi sono soltanto alcuni dei pregiudizi presi in analisi nel testo completo: basti pensare alla meraviglia che suscita un sordo in un udente quando quest’ultimo scopre che un sordo può parlare, essere autonomo e condurre una vita normale.

FONTE: Rivista in allegato: audioprotesista40_web

207f246Simona Pacifico è nata a Roma nel 1985. È cresciuta a cresce a stretto contatto con suo fratello minore sordo profondo e di conseguenza con il mondo della sordità. Frequenta già da piccola istituti speciali insieme al fratello, impara la lingua dei segni italiana e terminata la scuola superiore, intraprende studi specialistici presso strutture come il SILIS, l’ISISS di Roma, il CNR, l’ENS e la AFISBI. Lavora dal 2007 nelle scuole speciali di Roma e si laurea presso l’università «La Sapienza» con una tesi sulla sordità. Nel 2014 si trasferisce in Belgio al fine di allargare i suoi studi nel panorama europeo e lavora tutt’oggi per l’IRSA (Istituto reale per sordi e ciechi).

 

Inviata da Simona Pacifico – Educatrice- Formatrice

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