Ci possono chiamare pure “Sua Maestà”, ma se ci si ferma a questo si getta solo fumo negli occhi
“Ci sono due passaggi che sembrano banali ma sono importanti: l’eliminazione della parola ‘handicappato’ e ‘portatore di handicap’ da tutte le leggi ordinarie italiane.
Un risultato che ci porta in una dimensione diversa della presa in carico: dall’assistenzialismo alla valorizzazione della persona con disabilità. Sostituiamo quei termini con ‘persona con disabilità’ e questo cambia la prospettiva anche per il futuro”. A dirlo qualche giorno fa con grande entusiasmo è stata la ministra per la Disabilità Alessandra Locatelli
Questa dichiarazione è stata rilasciata dopo il Consiglio dei Ministri in cui è stato approvato in maniera definitiva l’ultimo decreto attuativo della legge delega in materia di disabilità che riguarda il “Progetto di vita” individuale e personalizzato. Quando l’ho letta mi è tornata in mente una domanda che mi hanno posto qualche anno fa, mi hanno chiesto cosa, secondo me, rendesse più difficile la vita di una persona con disabilità.
Avevo tre opzioni: il linguaggio che si usa per definire la disabilità, la burocrazia che, in tanti casi, è lenta e sorda alle nostre necessità e ai nostri diritti, le barriere architettoniche.
Di certo, il linguaggio è stata l’ultima opzione che avrei scelto. Le parole sono importanti, ma per non restare solo parole devono essere supportate da azioni e fatti e, purtroppo, azioni e fatti ne vediamo sempre troppo pochi. Ritengo anche offensivo pensare di “valorizzare una persona con disabilità” solo sostituendo un termine con un altro quando, poi, non le garantisci cure e assistenza adeguate, il diritto all’istruzione, al lavoro, alla mobilità e ad avere una vita sociale come tutti gli altri.
Quando non fai rispettare le leggi che esistono, la costringi a stare segregata in casa perché non imponi seriamente l’abbattimento delle barriere architettoniche e l’applicazione dei PEBA (Piani per l’abbattimento delle barriere architettoniche) in vigore dal 1986 e attuati in pochissimi comuni o, ancora, le fai elemosinare un ausilio che le consente di vivere una vita piena e appagante perché non rientra nei costi previsti dal Nomenclatore tariffario del Servizio sanitario nazionale, che molte volte sperpera il denaro in cose poco utili.
Questi sono solo alcuni dei tanti esempi di cose che davvero possono semplificare la vita di una persona con disabilità, molto più dell’uso di una parola rispetto a un’altra. Ci possono chiamare pure “Sua Maestà”, ma se ci si ferma a questo si getta solo fumo negli occhi per tentare di nascondere la realtà e i veri problemi e non si rispettano tante persone che, ogni giorno, vivono difficoltà ben più serie e gravi di essere chiamate in un modo piuttosto che in un altro.
Redazione Palermo Repubblica
di Patrizia Gariffo
Anche l’Accademia della Crusca conferma che la legge non sostituisce la parola sordomuto con sordo