In queste settimane segnate dal coronavirus, le dirette Facebook di Luca Zaia dalla sede della Protezione civile di Marghera hanno ascolti da telegiornali. Tanto da far diventare popolare l’interprete della lingua dei segni sempre alla destra del governatore. Chiara Sipione, 37 anni di Conegliano, docente agli istituti «Besta» di Treviso e Itc di Vedelago, è la presidente regionale dell’Associazione interpreti di lingua dei segni, l’Anios. Il 24 marzo, per venire incontro alle richieste arrivate sui social, la Regione l’ha chiamata per 30 incontri.
Come si rende la parola «coronavirus» con il linguaggio dei segni?
«Non è un linguaggio, è una lingua! È un errore abbastanza comune ma ci tengo a precisarlo. In ogni caso, “coronavirus” è un neologismo, è abbastanza difficile spiegarlo a parole. I video lo mostrano».
Quali sono i concetti che ha trovato più difficile da tradurre?
«Il presidente Zaia usa molti modi di dire che sono caratteristici del nostro territorio. La traduzione non è solo il passaggio da una lingua a un’altra ma anche da una cultura a un’altra. Alcune sue espressioni o modi di dire non si usano nella comunità sorda e quindi bisogna mettere in atto alcune strategie per poter passare il concetto».
Ci faccia un esempio… «Può essere una perifrasi o un altro modo di dire similare che però funziona nella comunità sorda».
Qual è stato, invece, il concetto emotivamente più difficile da tradurre?
«Sicuramente l’aspetto delle case di riposo, perché in quelle strutture ci sono le persone più deboli».
Conosceva già il presidente Zaia?
«Solo per il suo ruolo, non avevo mai lavorato con lui. Per le dirette ho avuto modo di confrontarmi con i suoi collaboratori sulla posizione più adatta dove collocarmi».
Quali raccomandazioni ha fatto?
«Nessuna. Da parte mia ho solo chiesto di moderare la velocità, il presidente Zaia si è sempre mostrato molto gentile nonostante i tempi siano stretti e le informazioni da dare tante».
A quale pubblico si rivolge con la lingua dei segni?
«In Italia ci sono 60 mila persone sorde, non so darle un dato per il Veneto. Ma mi lasci sfatare un altro luogo comune».
Prego. «La lingua dei segni è per tutti. La usano i muti o chi ha difficoltà nella produzione delle parole. Poi ci sono gli oralisti, cioè le persone sorde che usano il labiale».
Lei quando ha imparato questa lingua?
«Io sono madrelingua Lis (lingua dei segni italiana, ndr) e sono bilingue italiano-Lis. Mi sono qualificata come interprete di lingua dei segni nel 2007 a Ca’ Foscari».
Quindi non l’ha appresa dai suoi genitori?
«Nessun genitore insegna la propria lingua. I suoi genitori non le hanno insegnato l’italiano, lo hanno usato come lingua e lei lo ha semplicemente acquisito. La modalità alla fine è la stessa. Ma mentre l’italiano è una lingua acustica-verbale, la Lis usa un altro canale, quello visivo-gestuale».
Lei ha detto di essere bilingue… «Sono bilingue perché conosco le due lingue e le ho imparate allo stesso tempo, come i figli di coppie che hanno una diversa lingua materna. Mi lasci sfatare un altro luogo comune: noi non cresciamo in un mondo di silenzio. I miei genitori sono sordi ma parlano molto bene, poi c’è la scuola. Io a sei mesi ero già al nido».
Molti si sono incuriositi per le espressioni sul suo viso. Che significato hanno?
«Contano molto. Le espressioni del viso fanno parte della grammatica della lingua, senza non avremmo le frasi interrogative o le ipotetiche. Le domande si esprimono corrugando oppure alzando le sopracciglia a seconda se la domanda sia aperta o chiusa».
Quando arriverà quel giorno, in quale modo tradurrà la frase di Zaia che l’emergenza è cessata?
«Dipende da come la dirà lui. Se esulterà lo farò anch’io, ovviamente con le espressioni del viso. Se invece lo dirà in modo asettico seguirò il suo stile».
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