La lingua dei segni permette di comunicare senza utilizzare la voce: non è un linguaggio mimico, ma possiede una grammatica e una sintassi con regole precise che possono variare da una lingua dei segni all’altra (a diverse nazioni, infatti, corrispondono diverse lingue dei segni). La Lingua dei Segni Italiana (LIS) è usata soprattutto dalle persone sorde. Altre lingue dei segni, in altri paesi come Regno Unito e Stati Uniti, hanno invece un uso non limitato alle persone che non ci sentono e vengono utilizzate nei diversi casi di disturbo del linguaggio: con persone, per esempio, che hanno patologie caratterizzate anche ma non solo dall’assenza della possibilità di vocalizzare e di verbalizzare. In Italia è partito un progetto simile, con l’obiettivo di abilitare al linguaggio e alla comunicazione attraverso la LIS.
L’intervento è in fase di sperimentazione e si chiama I-SPK: Io Se Posso Komunico.
Nel primo anno di vita, finché il bambino non sa parlare, genitore e neonato trovano diversi modi di comunicare, grazie ai quali il lavoro di cura piano piano comincia ad anticipare i segnali del bambino interpretando i suoi bisogni. La “naturale” acquisizione del linguaggio, che normalmente avviene nei primi tre anni di vita del bambino, permette poi che la comunicazione diventi sempre più semplice e meno unilaterale. Ci sono alcuni casi, però, in cui questa “naturale” acquisizione è compromessa.
Ci sono per esempio malattie genetiche e sindromi che hanno fra i loro sintomi l’assenza del linguaggio verbale e un deficit della comunicazione, per cui in molti casi il bambino non è assolutamente in grado di parlare. La sindrome di Angelman, quella di Coffin Siris o l’autismo, per esempio, sono patologie che ostacolano la comunicazione di moltissimi bambini e ragazzi già con gravi deficit motori o cognitivi, che costringono alla costante interpretazione e che non permettono di conseguenza alcuna interazione. Spesso accade che in queste patologie l’assenza del linguaggio verbale venga considerata una delle varie caratteristiche della persona, un sintomo alla pari degli altri. La facoltà comunicativa, invece, secondo gli esperti va presa in considerazione come base del processo di sviluppo di qualsiasi essere umano.
Tre brevi premesse
La LIS non è un linguaggio mimico. Le Lingue dei Segni utilizzano un canale visivo-gestuale, che permette al “segnante” (chi segna, cioè chi parla) una piena padronanza e autonomia del messaggio in entrata e in uscita: gli occhi ascoltano, le mani producono. Spesso però questo utilizzo del corpo viene interpretato in modo sbagliato come un linguaggio mimico: stiamo parlando invece di una vera e propria lingua, con regole di grammatica e una sintassi. La LIS non è una lingua universale: le lingue segnate sono differenti per ogni paese esattamente come le lingue vocali e sono ricche di variabili dialettali; ciascuna Lingua dei Segni ha sviluppato negli anni caratteristiche proprie, legate alla particolare cultura in cui viene usata.
Va precisato, poi, che la ricerca linguistica ha mostrato come la “facoltà del linguaggio” sia indipendente dall’apparato fono-articolatorio e che quindi un bambino esposto ad una lingua segnata, la apprenderà come qualsiasi altra lingua vocale, acquisendo una forma di comunicazione che gli permetterà di soddisfare tutti i suoi bisogni cognitivi e comunicativi. Ci sono insomma sostanziali analogie nell’acquisizione e nello sviluppo del linguaggio di un bambino esposto a una Lingua dei Segni e di uno esposto a una lingua vocale.
La possibilità di entrare in comunicazione con l’altro, infine, non è una questione solamente linguistica. Il ruolo dello sviluppo del linguaggio nei primi anni di vita del bambino è fondamentale per uno sviluppo egosintonico: l’impossibilità o l’interruzione di questa capacità ha conseguenze infatti su tutte le aree dello sviluppo, da quello cognitivo a quello psichico. Non poter esprimere i propri pensieri, porta la persona a dover usare il corpo per esternare le emozioni producendo condotte aggressive verso se stessi o gli altri, disturbi del comportamento, ma anche sintomi legati alla somatizzazione (dolori fisici cronici, eczemi, asma e dermatiti).
Il progetto
I-SPK è un progetto nato a gennaio dello scorso anno grazie a un gruppo composto da giovani terapeute e interpreti LIS che hanno usato la Lingua dei Segni con i bambini che non possono parlare a causa di deficit o danni biologici e neurologici e che hanno un blocco linguistico riconducibile non in modo specifico alla sordità, ma a diverse altre cause.
Per chi si trova in questa situazione oggi ci sono diverse opzioni che rientrano nella cosiddetta “comunicazione aumentata alternativa”, ma comportano l’essere dipendenti da un tablet o da un numero limitato di immagini e di simboli, cosa che restringe di molto il concetto di comunicazione e linguaggio.
Valentina Colozza, psicologa e interprete di Lingua dei Segni italiana, ha raccontato al Post di aver visto «bambini scegliere cosa mangiare indicando una fra le figure proposte e bambini riuscire a esprimere i propri desideri e le proprie scelte a prescindere da qualcosa che gli viene proposto. Inoltre si vedono spesso genitori costretti a interpretare i bisogni del proprio figlio per tutta la vita, senza mai vederlo aprirsi al mondo, libero di esprimere pienamente i propri bisogni e i propri desideri».
Il progetto elaborato da I-SPK si basa su un protocollo sperimentale che prevede di conoscere il bambino o la bambina, di approfondire le sue risorse e i suoi limiti, così come quelli della famiglia, e di creare un percorso specifico fatto di ascolto, sostegno e abilitazione al linguaggio. Dopo una fase di ricerca su studi nazionali ed internazionali il gruppo di I-SPK ha redatto un protocollo basato su presupposti scientifici.
In Italia sono pochissime le esperienze simili. La letteratura internazionale presenta invece diversi studi sperimentali dove la LIS è stata utilizzata per la riabilitazione del linguaggio e della comunicazione con bambini con sindrome di Down o autistici, con bambini affetti da deficit dello sviluppo o con disabilità fisiche.
Il caso
L’idea di questo progetto è nata dall’esperienza terapeutica fatta con una bambina affetta dalla sindrome di Coffin Siris che attualmente, dopo due anni di intervento, è in grado di produrre frasi in Lingua dei Segni che possono esprimere emozioni, desideri, ironia, curiosità: è cioè in grado di comunicare intenzionalmente, cosa che ha a sua volta avuto la conseguenza di un recupero sia sul piano cognitivo e delle funzioni esecutive, sia sul piano psichico.
F. è una bambina di 9 anni affetta dalla sindrome di Coffin Siris, «una malattia genetica multi-sistemica congenita rara, caratterizzata da aplasia o ipoplasia della falange distale o dell’unghia del quinto dito, ritardo dello sviluppo, disabilità cognitiva, facies grossolana e altri segni clinici variabili». Nel giugno del 2015 F. si è presentata nella scuola di Lingua dei Segni italiana e interpretariato di Napoli.
La capacità di espressione verbale di F. era completamente assente, era dunque una bambina a-verbale che aveva però una buona capacità di comprensione dell’italiano: comunicava attraverso l’uso del tablet, di alcuni gesti e della scrittura. «In qualità di psicologa», ci ha spiegato Valentina Colozza, «mi è stato affidato il suo caso nel settembre del 2015». Il programma pensato per F. prevedeva l’insegnamento della LIS a casa (a lei, ai genitori, alla logopedista che fino a quel momento l’aveva seguita) e anche nella sua scuola: «Sono stati fatti dei laboratori di LIS anche nella classe di F. e sia lei che la sua famiglia sono stati seguiti e sostenuti psicologicamente», racconta Colozza.
Dopo soli quattro o cinque mesi F. è stata in grado di riprodurre segni, prima senza contesto e poi stimolati o dal contesto o dalle sue necessità. Ha utilizzato frasi, dopo il terzo mese, sia spontaneamente che in risposta a domande segnate o parlate. La prima frase, riportata dai genitori, è stata «Cane nonna gioco», cioè “vorrei andare da nonna a giocare con il cane”. Ha iniziato a usare alcuni segni anche nel contesto scolastico e con degli amici dei genitori e mentre inizialmente la riproduzione si riferiva a singoli segni, F. è poi diventata capace di riprodurre soggetto, oggetto e verbo, seguendo la corretta costruzione della frase in LIS. E questo ha avuto su F. anche altre conseguenze: non dimostra più un sorriso indifferenziato verso chiunque e ha iniziato a chiedere “perché”. «Alla fine del primo anno», ci ha raccontato Valentina Colozza, «la famiglia aveva preannunciato l’arrivo della nuova operatrice a un determinato orario. Nel capire questo, F. dopo poco aveva chiesto a che ora la signora sarebbe arrivata e, quando le è stato risposto che l’operatrice sarebbe arrivata in ritardo, F. ha chiesto: “Perché?”. A quel punto le è stato spiegato che si era fermata la metropolitana. Soddisfatta della spiegazione, la bambina ha ripreso il gioco aspettando l’arrivo dell’operatrice. Questo due anni fa non sarebbe stato possibile: F. si sarebbe agitata fino all’arrivo della persona attesa».
Colozza ci spiega che grazie all’acquisizione della LIS ci sono stati netti miglioramenti in F. anche dal punto di vista motorio, cognitivo, relazionale e psichico. Ora è in grado di mentalizzare stati emotivi, di entrare in comunicazione con i suoi compagni e con i genitori: «Visti questi risultati abbiamo ritenuto necessario dover estendere il protocollo ad altri bambini per dar loro la possibilità di incrementare non solo lo sviluppo linguistico ma anche quello cognitivo e psichico, punti dirimenti per un armonico sviluppo globale». Colozza dice anche che stanno «decentrando il protocollo da Roma ad altre città, come Napoli e Potenza: siamo quindi in continua ricerca di associazioni ed enti con i quali collaborare per completare la fase della sperimentazione. Se i risultati confermeranno le ipotesi faremo il possibile affinché il protocollo diventi prassi. Ma siamo anche alla ricerca di persone e famiglie che vogliano partecipare al protocollo, così come di finanziamenti, visto che il nostro intervento, completamente privato, per ora, ha un costo non sostenibile da tutti».