Uscirà ad aprile, con proiezioni sottotitolate e audiodescritte, “Un’estate in Provenza” commedia diretta da Rose Boche e interpretata da Anna Galiena e Jean Reno. Tre fratelli in vacanza “forzata” dal nonno in campagna, “senza connessione”. Il più piccolo è sordomuto: e lo è anche il piccolo attore
“Un’estate in Provenza” è un film sul dialogo e sull’incontro, al di là delle barriere ‘linguistiche’, ma anche generazionali: tre ragazzi “digitali”, un nonno campagnolo e burbero, lo scontro iniziale, l’apparente impossibilità di un rapporto e poi la graduale, faticosa e sorprendente costruzione di una relazione. A partire dal più piccolo, Théo, e il più anziano, il nonno Paul. Tra chi non sa sentire e non parlare, Théo, e chi a modo suo, non vuole né sentire né parlare: il nonno. Perché Théo è sordomuto e il nonno sembra non ascoltare neanche chi sa parlare. Figuriamoci chi si esprime solo a gesti. Eppure, l’inaspettato accade.
Prodotto da Ilan Goldman, diretto da Rose Boche e interpretato, tra gli altri, da Anna Galiena e Jean Reno, il film uscirà nelle sale il prossimo 13 aprile, con proiezioni sottotitolate e audiodescritte. La sordità è il nodo intorno al quale si svolge la trama: non quella del piccolo Théo, sordo e muto dalla nascita, ma quella che accomuna tutti, nonno e nipoti, in un incontro improvviso, non annunciato e non voluto, ma reso necessario dalle difficoltà e dalla separazione dei genitori dei tre ragazzi. Una vacanza obbligata, quindi, quella che vanno a trascorrere a casa del nonno, lontano dalla città e privo di “connessione”, “scollegato” dalla rete e dal mondo: una condizione impensabile e inaccettabile per la loro generazione digitale. E’ un inizio che lascia poche speranze: i cavi del portatile del nipote sono letteralmente un “inciampo” per il nonno, mentre il caldo, la polvere, il cane che entra in casa e la distanza, geografica e culturale, preannunciano ai ragazzi una convivenza impossibile. Ma giorno dopo giorno, l’incomprensione lascia spazio all’interesse, la curiosità prende il sopravvento e la diversità diventa non più un ostacolo, ma una ragione e un fondamento per la conoscenza reciproca. E l’incontro avviene.
Un incontro che non è solo intreccio del film, lieto fine di una storia che nasce come commedia: ma avviene anche nella realtà, sul set, dove un attore dal lungo curriculum come Jean Reno dialoga con un bambino di sette anni che non può sentirlo e non può parlargli. Perché questa è una delle scelte più coerenti del film e di chi lo dirige: Lukas Pélissier, il giovanissimo attore che interpreta Théo, è davvero sordomuto. Una scelta diversa, per esempio, da quella fatta nel recente film “La famiglia Bélier”, che pure trattava di sordomutismo ma lasciava che a interpretare le parti fossero attori udenti: una scelta allora contestata dalla comunità sorda, che avrebbe apprezzato di più l’ingaggio di attori realmente sordi. In questo caso, la scelta è coerente: la lingua dei segni, che nel film appare in tante scene, non è un ornamento, non è un espediente narrativo, ma il vero linguaggio del giovanissimo attore. Un linguaggio che sul set viene condiviso, tanto che lo stesso Jean Reno lo fa proprio. Come si vede in questo breve filmato del backstage.
Abbiamo chiesto alla regista, Rose Boche, perché abbia scelto proprio un attore sordomuto. “All’inizio ho creduto che il personaggio del piccolo Théo fosse un’ispirazione proveniente dalla lavorazione del film ‘Vento di primavera’, dove ho avuto modo di dirigere un piccolo attore sordo. Poi ho realizzato che in un certo senso anche io sono stata una bambina ‘sorda’, dato che mio padre mi parlava in catalano. Quando mi chiedeva una mano a lavorare l’orto, non comprendevo nulla di quello che diceva”. E come ha lavorato per dirigere un attore sordo? “Mi interessava inserire all’interno del film un bambino che parlasse un’altra lingua. Il film non ruota attorno alla disabilità di Thèo. Ho semplicemente ingaggiato un attore. Lukas Pélissier è pieno di vita, determinato, ha senso dell’umore ed è scrupoloso e preciso quando recita”. Ed è anche grazie al suo linguaggio “misterioso” e alla sua silenziosa diversità, che avviene l’incontro e l’avvicinamento tra chi era tanto distante: i giovani e l’anziano, la città e la campagna, la parola e il gesto. (cl)
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